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Solennità di San Francesco d’Assisi: il suo messaggio è di carità, altruismo e preghiera

di Sr. Ch. Cristiana Scandura osc

Carissimi Fratelli e Sorelle,

l’esperienza spirituale di san Francesco D’Assisi, Patrono d’Italia e d’Europa, di cui giorno 4 Ottobre ricorre la festa liturgica, è tutta fondata sul proprio rapporto con Gesù Cristo.

Francesco mettendosi alla sua sequela, lasciandosi ammaliare dal Cristo povero e crocifisso, scopre quell’amore di Dio Padre che regge ogni cosa e che dà senso alla stessa incarnazione del Figlio.

Questa sequela va unita all’imitazione, all’umile ma tenace ricerca di quel Volto di Cristo che è anelito dell’uomo e che diviene scoperta di Cristo nel fratello come frutto di una ricerca che arriva al compimento: in quel volto vi è il Volto stesso di Cristo.

Sequela, imitazione, conformazione. Il cammino di Francesco arriva alla Verna, con questa riprova: quella di essere configurato nella carne con quei segni della passione che ricordano l’amore e il dolore di Gesù Cristo stesso per l’umanità e che diventano i segni di una vita vissuta in Lui, e avente in Lui ogni senso e significato.

Cosa significa per Francesco che Cristo sia il centro di tutto? Cos’è per Francesco il cristocentrismo? È l’evento all’interno del quale o partendo dal quale tutto è compreso. È quel mistero eterno della volontà di Dio che di fatto ha organizzato il tutto in rapporto a Cristo.

Il cristocentrismo è la rocca teologica sulla quale il Francescanesimo ha eretto la propria concezione di vita ed è la sua conquista più alta. San Francesco lo attinge particolarmente da San Paolo.

Con l’intuizione illuminata di un’anima che è guidata dallo Spirito di Dio, egli vede che ogni bene – la vita, la grazia, la redenzione dalla colpa, la gloria del Paradiso – ci viene dal Padre “datore di ogni dono perfetto”, ma tutto attraverso il Figlio suo; e a questo Figlio, Uomo-Dio, Cristo Gesù, che forma la compiacenza del Padre, e che solo gli basta in tutto, Francesco supplice si rivolge, pregandolo di ringraziare Dio, Egli che solo può farlo degnamente perché noi, miseri e peccatori, non siamo degni neppure di nominarlo (Cfr. I Reg. di San Francesco, cap. XXIII).

Qui c’è, in germe, tutta la dottrina francescana del primato del Cristo, intuita e vissuta prima di qualsiasi speculazione teologica e fatta motivo ispiratore di vita interiore. L’unione con Dio non si può raggiungere se non per mezzo del Cristo.

Se per Francesco non vi è posto nei suoi pensieri se non per Gesù Cristo, per la sua incarnazione, per la sua passione, per la sua umiliazione (cfr 1Cel 84), ciò significa che la vivente esperienza di Francesco incentrata sul Cristo, modella la sua mente, il suo cuore, le sue scelte, la sua vita. Non si può non ricordare che Gesù Cristo ‘dalla sede regale’ del suo essere Dio, per nostro amore, giunse a porsi ‘nel grembo della Vergine Maria’ (cfr Am 1) come estremo atto di umiltà, di kenosis.

Partendo dall’esperienza del serafico Padre San Francesco, i Dottori francescani, da Alessandro di Hales a San Bonaventura, al Beato Giovanni Duns Scoto, hanno fissato il loro sguardo nella figura umano\divina del Cristo, contemplandola in tutto il suo splendore nel disegno di Dio prima ancora che nella storia del mondo.

San  Bonaventura diceva che Dio ha creato l’uomo a partire da un’immagine.

E dunque c’è un centro sul quale si organizza la creazione dell’essere umano.

Direbbe Scoto che Cristo è il “voluto iniziale, “fatto” alla fine, il primo voluto e l’ultimo realizzato. L’Amore di Dio fin dall’eternità si posa su quel Cuore che infinitamente deve amarlo. Lo elegge primo fra tutti all’unione con la divinità. Egli è il primogenito”, cioè il primo di tutte le creature in quanto causa esemplare e finale di esse. Quando formava l’uomo, Dio esprimeva una similitudine del Cristo futuro, cioè il Cristo era il modello, l’originale, il conio della nostra esistenza.

Tutto quanto è stato creato, lo è in vista di Lui e per mezzo di Lui.

L’incarnazione del Verbo non è stata condizionata dal peccato, essa corrisponde invece al progetto eterno di Dio.

Il peccato dell’uomo non ha fatto ritirare questo progetto di Dio, al contrario Cristo lo ha abbracciato fino in fondo, nonostante i suoi non lo abbiano accolto.

Questa visione teologica, fortemente “cristocentrica”, ci apre alla contemplazione, allo stupore e alla gratitudine: Cristo è il centro della storia e del cosmo, è Colui che dà senso, dignità e valore alla nostra vita!

Il cristocentrismo deve condurre alla piena conformazione a Cristo.

A chi vuole seguirlo, frate Francesco non addita che un libro solo: Cristo crocifisso. San Bonaventura chiama la croce “libro di sapienza” e afferma che “molto sarebbe infiammato all’amore chi di frequente leggesse questo libro. E il beato Francesco che sempre lesse in questo libro, così ebbe il cuore soprammodo infiammato”.

Non ad altro mira il desiderio, il lavoro, la povertà, l’umiltà, la preghiera, la penitenza, l’opera di Francesco, come pure di Chiara d’Assisi, sua pianticella: accrescere in sé e negli altri la vita di Gesù verso il quale si sentirono attratti con potenza.

San Bonaventura a questo riguardo ha una parola rivelatrice: il Cristo “assorbì” Francesco. Il Cristo entra in Francesco come elemento vitale per comunicargli la sua vita, per elevarlo alla conformità con Se stesso. Il Cristo attrae, rapisce, assorbe l’uomo Francesco, sicché egli è pieno del Cristo: “Gesù portava sempre nel cuore, Gesù sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nelle mani, Gesù in tutte le altre membra” (Tommaso da Celano, Vita I, cap.IX).

Questa esperienza di configurazione al “proprio” Signore deve essere ricordata come una vita di amore che Francesco, scopre, accoglie, vive, propone. La delicatezza, l’attenzione, il carattere di un’umanità-divinità che in Cristo ci chiama ad essere come Lui (sequela), diventano in Francesco riverberi del suo grande amore, per Dio, per l’uomo  e per tutte le creature.

Perché Gesù sia luce, guida e sorgente di vita anche per noi, sì da poter dire anche noi con San Paolo: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”, bisogna che i nostri pensieri non siano che i suoi pensieri: cercati, fatti propri, divenuti luce che illumina la nostra mente. La nostra volontà, molla delle nostre azioni, non deve essere che la Sua volontà, che conforma la nostra a quella del Padre celeste. I nostri sentimenti un’eco e un prolungamento dei Suoi sentimenti nel tempo. Le nostre richieste devono essere le domande di Gesù, formulate lungo i secoli. I nostri affetti altro non devono essere che i Suoi affetti, le Sue predilezioni, le Sue amicizie.

Altissima meta: la si raggiunge ad una condizione: la donazione reciproca. Il dono totale di Gesù chiede all’anima il dono totale di sé. Dio si dona nel Cristo ad ogni uomo che Lo cerca con cuore sincero; ma poiché tutto Egli ci ha dato, vuole che andiamo a Lui con tutto quello che siamo.

L’anima che Lo cerca appassionatamente, Lo troverà. Giova dare tutto per tutto: la ricchezza, la salute, le forze nostre. La ricerca di Francesco è appassionata, viva: c’è in essa tutto l’uomo con le sue doti di natura e di grazia; disposto ad affrontare ogni disagio, ad offrirsi alle derisioni dei sapienti del mondo, ad apparire pazzo, a perdere tutto, gli amici, il padre, l’onore stesso, pur di trovare l’Amato. DIO NON SI TROVA SE NON INNAMORANDOSI DI LUI[1], dirà uno dei suoi figli.

            Con fraterno affetto.


[1] Detto del Ven. Bartolomeo Cambi di Salutìo.

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