Molte le buone pratiche già in atto per contrastare la piaga della dispersione scolastica. Se ne è parlato anche al convegno nazionale del 3 ottobre nella Sala degli Atti Parlamentari della Biblioteca del Senato della Repubblica. Dai diversi esperti presenti al forum si è voluta focalizzare l’attenzione proprio sulle buone pratiche in corso e su quelle ancora da avviare.
Cari lettori, non vi tedierò con i numeri né vi propinerò noiosi elenchi, ma andrò dritto al cuore del problema: che cosa possono fare veramente gli insegnanti di oggi nelle scuole? Soldi ne arrivano pochi. Il PNRR sta aiutando molto le scuole, ma cosa succederà quando finiranno questi fondi? E soprattutto quanto è facile – o forse dovremmo dire quanto è difficile – oggi per un insegnante salvare un alunno dalla dispersione? Eh già, perché la scarto tra le teorie degli studiosi e la pratica dei Dirigenti Scolastici e degli insegnanti talvolta è enorme.
Partiamo dall’inizio. Il senatore De Poli nel suo discorso di apertura del convegno romano ha detto: “Anche un solo studente che abbandona la scuola è un fallimento per tutti.” Aggiunge Don Milani dal Paradiso: “Se ognuno fa qualcosa, allora possiamo fare molto”. Ma realmente cosa possono fare quegli insegnanti di frontiera quando si sentono dire da un ragazzino di terza media che non può andare a scuola perché deve andare a lavorare dal momento che il papà è in carcere e la mamma è casalinga. O quando nessuno lo aiuta nei compiti e lui sta in strada e guadagna qualcosina vendendo bustine ai ragazzi più grandi o rombando con la moto su due ruote. Non parliamo poi di quando i professori decidono di bocciarlo al primo superiore perché non fa niente e non viene mai a scuola e quando viene a scuola causa un sacco di problemi.
Poi ci sono i ragazzi che a scuola si sentono prigionieri perché costretti dal sistema e fanno di tutto per dare fastidio deliberatamente. Questo succede spesso tra i 14 e i 16 anni. E’ qui che si passa dalla teoria alla pratica. La prima domanda che mi viene in mente è: come giustifica un docente la promozione di un alunno in dispersione agli occhi degli altri alunni? Non si sentiranno questi ultimi autorizzati a non studiare perché tanto vengono promossi tutti?
Dietro l’abbandono la povertà delle famiglie
Gli addetti ai lavori sanno che dietro l’abbandono della scuola spesso c’è una povertà culturale e sociale quando non totale della famiglia. Bisognerebbe dare ai ragazzi i libri gratis. Sì, ma chi scriverà questi libri se gli autori prestigiosi non verranno più pagati? Lo stato non può certo sostenere queste spese. E qui scatta l’ideologia. Quella politica: di destra o di sinistra. Ma i dirigenti scolastici si inventano il comodato d’uso e fanno i salti mortali per trovare i soldi per comprare i libri a questi poveri ragazzi che sennò non possono pagarseli. La cara vecchia cedola del comune quasi mai copre i costi per intero. Il problema rimane, perché col comodato d’uso devi tenerli per anni e nel frattempo diventano obsoleti. Analogo problema per la mensa e per i costi dei trasporti. Per non parlare degli immigrati minorenni non accompagnati!
Ma spostiamo un attimo il focus della questione. Parliamo degli stipendi. Perché un medico ospedaliero può prendere quattromila euro al mese e l’insegnante solo millequattrocento? Eppure i genitori affidano il benessere psico-fisico dei loro amati figli nelle mani di sconosciuti insegnanti. Talvolta li delegano proprio del tutto a questo compito. Dove sta la differenza tra un bambino innocente e un adulto malato? La gente comune si è mai chiesta quanta fatica fa un docente a smettere di insegnare per fare l’educatore, lo psicologo, il pedagogista, l’assistente sociale, il tutor didattico? Cinque professioni contemporaneamente, tutte mal pagate. Eppure gli insegnanti continuano a fare questa meravigliosa professione. E sapete perché? Perché non c’è gioia più grande per un insegnante che vedere un proprio alunno che sembrava perduto diplomarsi e trovarsi un lavoro onesto. Nessuna emozione è paragonabile all’abbraccio di un bambino che smette di lanciare in aria le sedie o di picchiare il compagno più debole solo perché tu ti sei seduto al suo fianco e ti sei messo a ridere con lui, a parlare il suo stesso linguaggio e ad abbracciarlo quando scoppia in lacrime e ti rivela tutta la sua solitudine. L’innocenza di un bambino non è in vendita. Non ha prezzo. Ecco perché tanti insegnanti scelgono di rimanere nelle scuole a rischio anche quando se ne potrebbero andare. Ecco perché gli insegnanti scelgono di fare questo lavoro anche se lo stipendio fa ridere tutti. Veder crescere bene un bambino senza genitori non ha prezzo. Salvarlo dallo spaccio non ha prezzo. Fargli scoprire che se i sogni non ce li ha, ha il diritto di averli e che può realizzarli, questo non ha prezzo.
Patti educativi territoriali
Poiché non voglio tediare oltre i miei pochi lettori, vado alle conclusioni. La proposta degli studiosi presenti al convegno è: più formazione in itinere per gli insegnanti, patti educativi territoriali, programmazione personalizzata, consapevolezza che dispersione scolastica equivale a più costi sociali per lo stato e quindi a più tasse per i lavoratori, abolizione delle divergenze politiche per il raggiungimento di un comune obiettivo. Uno stato democratico, civile e ricco non può tollerare un’alta percentuale di dispersione scolastica, né può affidarne la riduzione solo al terzo settore e alla buona volontà degli insegnanti. Occorre un intervento bilanciato che parta dal basso – dagli studenti, dalle loro famiglie e dai docenti – per arrivare ai vertici dello stato con idee chiare e richieste precise e fattibili. Questo convegno non è stato e non voleva essere fatto solo di parole. Non si può tacere la realtà dei fatti e quindi era ora che qualcuno ne parlasse, ma ora c’è bisogno della collaborazione di tutti gli addetti ai lavori per un comune obiettivo: salvare il nostro futuro.