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Le cinque piaghe e Papa Francesco: il cammino di Rosmini nella Chiesa

Nei giorni scorsi, alcuni quotidiani hanno scritto che i padri rosminiani hanno espresso il loro ringraziamento a Papa Francesco per le tante citazioni di Rosmini, che egli ha fatto durante gli anni del suo pontificato. Per i non addetti ai lavori, questa notizia vale un’altra. Ma per gli studiosi rosminiani, invece, denota la particolare sensibilità ecclesiale del defunto pontefice; a maggior ragione trattandosi di un gesuita. Infatti, Rosmini, durante la sua vita, ha dovuto affrontare una lunga e dura polemica con la Compagnia di Gesù, che contestava il suo pensiero filosofico e teologico. Inoltre, dopo la condanna, nel 1888, post mortem, di 40 proposizioni tratte dalle sue opere, il silenzio della Chiesa calò pesantemente su tutta la vasta opera rosminiana, con la proibizione di insegnarla nei Seminari e nelle Università pontificie.

Giovanni XXIII fu il primo papa che, a metà del secolo scorso, riprese in mano Rosmini, meditando le sue “Massime di perfezione cristiana”, anche Paolo VI lo apprezzò e Giovanni Paolo II lo citò in “Fides et Ratio”, e in diverse occasioni Benedetto XVI, (che lo proclamò “Beato”),  elogiò alcuni aspetti del suo pensiero, senza dire di Giovanni Paolo I che, da studente alla Gregoriana, aveva conseguito il dottorato in teologia con una tesi in cui criticava il pensiero di Rosmini sul “peccato originale”, ma in seguito, aveva modificato le sue posizioni a favore del grande pensatore.

Così arriviamo a Francesco, il quale molto probabilmente, al tempo della sua formazione (egli fu ordinato prete nel dicembre 1969), non avrà avuto modo di leggere Rosmini. Infatti, il disgelo tra la Compagnia di Gesù e Rosmini cominciò a metà degli anni settanta del secolo scorso, allorché due eminenti studiosi gesuiti (Evain e Tilliette) con i loro studi rivalutarono il pensiero rosminiano.

Le piaghe della Santa Chiesa

Ad ogni modo, ciò che dobbiamo constatare è che da papa, Francesco ha cominciato a citare Rosmini. Lo avrà scoperto casualmente, oppure perché molte delle intuizioni ecclesiologiche del prete roveretano erano confluite nel Vaticano II? Questo non lo sappiamo, ma sta di fatto che tante sono state le occasioni in cui Papa Francesco ha citato Rosmini, in particolare “Le cinque piaghe della Santa Chiesa”, dove evidenziamo: l’ardente desiderio di riforma della Chiesa e il suo ritorno al Vangelo,  oppure la critica al clericalismo (Rosmini, tra i mali della Chiesa, denuncia il distacco del clero [preti, vescovi]dal popolo di Dio, “una casta” separata, non tanto dei pastori); una Chiesa povera che deve avere le mani sempre aperte per dare e deve essere trasparente nella gestione dei beni economici; anche il problema della sinodalità (pur non usando il termine) viene affrontato nel citato libro. Questi, adesso enunciati, sono temi tutti cari a papa Bergoglio, il quale, rivolgendosi ai padri rosminiani aveva espresso questo giudizio: “Il Beato Antonio Rosmini. È vissuto eroicamente”(1 ottobre 2018).

Solo grandi uomini possono formare altri grandi uomini”

In particolare su alcune citazioni desidero fermare la riflessione. A Panama, 24 gennaio 2019, Francesco parla ai vescovi dei rapporti che devono instaurare con i loro preti: “Ci sono tante cose che facciamo ogni giorno che dovremmo affidare ad altri. Quello che non possiamo delegare, invece, è la capacità di ascoltare, la capacità di seguire la salute e la vita dei nostri sacerdoti. Non possiamo delegare ad altri la porta aperta per loro. Porta aperta per creare le condizioni che rendano possibile la fiducia più che la paura, la sincerità più che l’ipocrisia, lo scambio franco e rispettoso più che il monologo disciplinare”. E il Papa aggiunge, citando “Le cinque piaghe della santa Chiesa”: “Ricordo le parole del beato Rosmini – accusato di eresia e oggi beato –: «Certo, solo grandi uomini possono formare altri grandi uomini […]. Nei primi secoli, la casa del vescovo era il seminario dei preti e dei diaconi; la presenza e la santa conversazione del loro prelato era un’infuocata lezione, continua, sublime, dove si apprendeva la teoria nelle sue dotte parole, congiunta alla pratica nelle sue assidue occupazioni pastorali. E in tal modo accanto agli Alessandri si vedevano allora crescere bellamente i giovani Atanasi». E Francesco concludeva: “È importante che il sacerdote trovi il padre, il pastore in cui “rispecchiarsi” e non l’amministratore che vuole ‘passare in rivista le truppe’”.

Osservava Rosmini che lo stile di comunione con il presbiterio produceva frutti benefici per lo stesso vescovo e, inoltre, permetteva di realizzare un “ordine armonioso, ammirabile […..] nel governo della Chiesa”. Rosmini aveva assimilato da tempo una simile immagine di Chiesa. E infatti, in una lettera del 1845 a Mons. Samuelli, che gli chiedeva consigli per il suo ministero episcopale, scriveva: “Tutto ciò che tende a congiungere il clero col vescovo e fra sè giova insieme a dividerlo dal mondo, a renderlo più istruito colla comunicazione scambievole delle dottrine, e più uniforme nelle opinioni morali, e a conservare  la disciplina e i buoni costumi; poiché i sacerdoti che trattano molto insieme, si custodiscono e aiutano scambievolmente[…]”. Pertanto, concludeva Rosmini, la cura che il vescovo deve riservare ai preti è “il primo anello” da cui “dipende ogni cosa”. Papa Francesco sottolineava che dalla comunione tra vescovo e presbiteri “può scaturire un potente slancio missionario, che libera i ministri ordinati dalla comoda tentazione di essere più preoccupati del consenso altrui e del proprio benessere che animati dalla carità pastorale, per l’annuncio del Vangelo, sino alle più remote periferie”(Francesco,3 ottobre 2014).

La riforma dell’educazione cristiana

E ancora, papa  Francesco, in un documento ufficiale della Santa Sede “Veritatis gaudium” (8.12.2017), propone, fra l’altro, Rosmini come esempio a cui guardare per una riforma degli studi ecclesiastici. Egli, citando proprio alcuni passaggi de “Le cinque piaghe della Santa Chiesa”, osserva: «Anche il Beato Antonio Rosmini, sin dall’800, invitava a una decisa riforma nel campo dell’educazione cristiana, ristabilendo i quattro pilastri su cui essa saldamente poggiava nei primi secoli dell’era cristiana: «l’unicità di scienza, la comunicazione di santità, la consuetudine di vita, la scambievolezza di amore». L’essenziale – egli argomentava – è ridare unità di contenuto, di prospettiva, di obiettivo, alla scienza che viene impartita a partire dalla Parola di Dio e dal suo culmine in Cristo Gesù, Verbo di Dio fatto carne. Se non vi è questo centro vivo, la scienza non ha «né radice né unità» e resta semplicemente «attaccata e per così dire pendente alla giovanile memoria». Solo così diventa possibile superare la «nefasta separazione tra teoria e pratica», perché nell’unità tra scienza e santità «consiste propriamente la genuina indole della dottrina destinata a salvare il mondo», il cui «ammaestramento [nei tempi antichi] non finiva in una breve lezione giornaliera, ma consisteva in una continua conversazione che avevano i discepoli co’ maestri». Rosmini, infatti, aveva detto che una piaga della Chiesa era l’insufficiente preparazione del clero nei seminari. Egli notava una profonda differenza tra gli educatori dei primi secoli e i suoi contemporanei: “da una parte stanno gli antichi vescovi, o certo uomini i più insigni della Chiesa, e dall’altra i giovani maestri dei nostri Seminari”, formati sui manuali scolastici e, pertanto, incapaci di un grande pensare teologico. Nelle scuole di teologia dei seminari, l’insegnamento viene impartito in vista di un’immediata utilità pratica, affinché il clero possa essere in grado di sbrigare “materialmente gli uffici ecclesiastici”. Diremmo che agli studenti viene offerto una sorta di prontuario ecclesiastico, filtrato dalla scienza teologica, che viene sminuzzata in varie sezioni, ritagliata ovvero “spezzata in parti” (come sottolinea Rosmini), pronta per essere usata da burocrati-praticoni, piuttosto che da pastori autentici, che ricercano il vero bene dei fedeli.

La carità intellettuale

Al Meeting Internazionale “La scienza per la pace” (Teramo, 30.06.2023), Papa Francesco interviene soffermandosi sulla “carità intellettuale”: “Parlando della carità intellettuale, una delle grandi figure del XIX secolo, il Beato Antonio Rosmini, affermava che verità e carità sono unite da un legame fondamentale: la ricerca e lo studio della verità sono parte imprescindibile di un autentico servizio di carità e, al tempo stesso, la carità vissuta ed esercitata, porta l’uomo ad una conoscenza sempre più piena della verità, fino ad aprirsi al dono di Dio e a lasciarsene possedere. È per questo che – dice il Sacerdote roveretano – bisogna: «custodire […] contemplare e indagare la verità, promuovendone in modo ottimo ed instancabile la conoscenza fra gli uomini»(cfr. Costituzioni dell’Istituto della Carità,n. 789).

Papa Francesco, scrivendo la Prefazione al libro di Mons. A. Staglianò “Ripensare il pensiero” (2023), citando Le cinque piaghe della Santa Chiesa annota: “Mi piace ricordare il beato Antonio Rosmini, il quale afferma che, a un certo punto della storia, la dottrina cristiana venne rinchiusa nei compendi della teologia razionale e «non si abbreviò solo in quei compendi, si abbreviò ancora in un’altra maniera, cioè abbandonando interamente tutto ciò che spettava al cuore e alle altre facoltà umane, curandosi di soddisfare solo alla mente. Quindi questi nuovi libri non parlarono mai più all’uomo come gli antichi; parlarono ad una parte dell’uomo, ad una facoltà sola, che non è mai l’uomo: la scienza teologica ne guadagnò ma scemò la sapienza e le scuole acquistarono così quel carattere angusto e ristretto che formò degli scolari una classe separata dal restante degli uomini»”.

Queste citazioni sparse di papa Francesco che, in diverse occasioni, hanno riportato all’attenzione della gente il pensiero di Rosmini, credo che devono essere per tutti uno stimolo a riscoprire le ricchezze di un prete, che ha dato grande respiro alla cultura cattolica del suo tempo, ma non solo, e ci ha esortato a saper “pensare in grande”, come d’altronde abbiamo potuto imparare dal ministero stesso di Francesco.

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