di Nicolò Baglieri e Davide Leonardi
L’ultimo atto di Aleksej Navalny, una consegna nel suo diario: “Io non ho paura, non abbiatene neanche voi”. L’uomo che ha combattuto per la democrazia in Russia fino a lasciarci la vita ci dice di non cedere di fronte alle intimidazioni dei regimi autoritari. Fede, amore, libero arbitrio, questi i valori trasmessi dal volume “Io non ho paura, non abbiatene neanche voi” (Scholé, 2024): le premesse di un viaggio che parte dalla “Fondazione per la lotta contro la corruzione” (FBK), passa per i tribunali, un aereo quasi mortale, fa una sosta in Germania e finisce nelle celle isolamento SIZO di Charp nell’Artico il 16 febbraio 2024.
Il libro ci dimostra che quando non si verifica una marcata separazione tra potere esecutivo e giudiziario, si ottiene un meccanismo di manipolazione in grado di plasmare i fatti e zittire l’opposizione. Per Navalny, il meccanismo entra in funzione partendo dai casi “Kirovles” e “Yves Rocher”: due processi tirati su per delegittimarlo.
“Alla Yves Rocher – racconta Navalny – hanno capito che non li stavano usando per qualche intimidazione di routine, ma per montare una causa penale a sfondo politico.” Navalny non è una preda facile e non si lascerà schiacciare senza resistere. Il problema sta nel fatto che lui è un uomo isolato e ostacolato dal regime: si fa di tutto per non concedergli i diritti e le opportunità di un cittadino normale.
Nel 2016 l’Unione Europea accoglie il suo ricorso sul processo Kirovles, condannando il governo russo a pagargli un risarcimento. La Corte Suprema annulla il verdetto ma dispone che il procedimento venga rinnovato. Lo scopo dell’operazione è impedirgli di correre alle presidenziali dell’anno successivo.
Putin però non riesce ancora a fermare Navalny e i suoi sostenitori: i mezzi convenzionali del potere non bastano per ridurli al silenzio. Così il 20 agosto 2020 Navalny viene avvelenato sul volo Tomsk-Mosca; poi
ricoverato ad Omsk per due giorni e successivamente trasferito in Germania dove passerà l’anno successivo nel tentativo di rimettersi in piedi.
Nel 2021 sceglie di fare ritorno a Mosca, consapevole che questo causerà il suo arresto, avvenuto il 17 gennaio. La prigione non ferma il suo lavoro, infatti due giorni dopo la FBK pubblica su YouTube un documentario sul Palazzo di Putin, che ne ricostruisce la rete di corruzione.
Questa ostinazione viene ripagata con punizioni di vario tipo, che vogliono rendere insostenibile la prigionia di Navalny. “Circa un mese fa – racconta ancora il dissidente russo nel suo diario -nella cella di fronte hanno messo uno psicopatico. All’inizio pensavo che simulasse. E’ iperattivo e caricaturale (…) E’ un mese che sto impazzendo e ad ogni controllo insisto che spostino da un’altra parte lo psicopatico (…) Ma non lo spostano e sottolineano che è un condannato al pari di me.”
Questo genere di esperienze, non sono una novità per i russi, infatti il gulag è un sistema di punizione risalente all’ URSS. A tal proposito risultano illuminanti gli scambi epistolari tra Navalny e Natan Scharanskij, anche lui vittima di un potere politico senza limiti.
“Io avevo alcuni vantaggi rispetto a lei – scrive Scharanskij a Navalny -. In cella di rigore le maniche della mia giubba erano così lunghe che potevo usarle per scaldarmi, mentre a lei probabilmente arriveranno appena sotto il gomito. Ma almeno può ricevere queste lettere e, cosa più importante, condividere la sua esperienza quasi in tempo reale.” Proprio per cambiare questa realtà, Navalny e le persone che seguono il suo esempio, scelgono di tornare e non rinunciare alla propria voce: la frase “Io non ho paura, non abbiatene neanche voi” simboleggia il rifiuto di arrendersi ad un potere totalitario.
“Ho il mio paese e ho le mie convinzioni. E non intendo rinunciare – scrive Navalny nel suo diario né al mio paese né alle mie convinzioni.” Questo libro ci impone di fermarci e riflettere su quale sia il nostro ruolo come cittadini di uno stato democratico e come possiamo preservare la nostra libertà fisica e intellettuale.
