In questi giorni, il Parlamento discuterà la legge sul “fine vita”. Sul tema, vi sono stati interventi della CESi, dei Medici Cattolici e “Prospettive” ha pubblicato l’articolo del nostro Arcivescovo. Sono stati ribaditi i principi etici sulla vita, sulle cure palliative e l’auspicio perché sia elaborata la migliore legge possibile. Ma i parlamentari cattolici si appiattiranno sugli ordini di scuderia del proprio partito, succubi di un laicismo che nega ogni rilevanza politica e culturale della fede? Tale emarginazione, però, non giova al bene della società, perché la priva del contributo specifico della visione cristiana. Invece, uno Stato, laico e democratico, deve essere imparziale, non indifferente, per accogliere criticamente gli apporti valoriali delle diverse posizioni religiose, in vista del bene comune.

L’arte della buona politica

Benedetto XVI afferma: “i laici sono chiamati a partecipare in prima persona alla vita pubblica per configurare rettamente la vita sociale, secondo la legittima autonomia” della realtà socio-politica e dei suoi valori propri. Il cristiano, pertanto, riconosce che vi sono valori morali universali (anche specifici della fede cristiana), ma sa che non li può calare tout-court nelle leggi dello Stato, il quale include visioni etiche e religiose differenti e, quindi, deve tener conto del pluralismo presente al suo interno. Il cattolico, però, continuando a tendere verso i valori assoluti, deve essere capace di mediazione culturale (l’arte della buona politica è anche questo). Ciò non equivale a scendere a compromessi, nel senso negativo del termine. Infatti, la mediazione è capacità di dialogare con le altre forze politiche, per tradurre i valori immutabili in questa e quest’altra precisa circostanza storica, cercando di raggiungere il maggior bene possibile, con la legge migliore possibile, che si può ottenere in questo preciso frangente storico. A tal proposito, il Card. Martini invitava a prendere atto che ci troviamo “in una situazione pluralistica e complessa, dove ciò che consideriamo come bene anche morale non sempre può essere tradotto immediatamente in legge, perché si devono fare i conti col consenso di molti”. Per affrontare, allora, con la dovuta saggezza politica, le questioni che oggi interpellano in modo cogente la nostra coscienza etica cristiana (si pensi, appunto, alla legge sul fine vita), Martini propone l’ antico principio pedagogico della sapiente gradualità, da applicare anche per un valore morale la cui traduzione in legge sembra urgente. Ciò non equivale a rifiutare quel preciso valore oppure a ritenerlo di poco conto. Infatti, occorre impegnarsi in un paziente dialogo, che sappia tessere le condizioni necessarie per promuovere una mentalità capace di arrivare ad un consenso sufficientemente condiviso. Pertanto, si ricordi che “quanto più un valore è eticamente rilevante, tanto più è impegnativo e perciò più bisognoso di maturazione a livello di costume”.

Arroccarsi rigidamente sulle proprie posizioni etiche, anche le più sacrosante, piuttosto che affrontare la fatica di percorsi positivi, alla fine non porta da nessuna parte. Osserva Martini: “Non ogni lentezza nel procedere è necessariamente un cedimento”, perché esiste “pure il rischio che, pretendendo l’ottimo, si lasci regredire la situazione a livelli sempre meno umani”.

Né compromesso al ribasso, né integrismo

Con questo metodo, l’agire politico del cristiano evita i due estremi, altrettanto dannosi, del compromesso al ribasso e dell’integrismo. Non basta la sterile proclamazione di valori alti, occorre l’impegno per una traduzione legislativa concreta. Nel Compendio DSC si legge: “Il fedele laico è chiamato a individuare, nelle concrete situazioni politiche, i passi realisticamente possibili per dare attuazione ai principi e ai valori morali propri della vita sociale”. E appunto, in questo delicato campo, il cristiano deve esercitare un attento discernimento. E qualora fosse impossibile bloccare certe leggi o programmi politici, contrari ai principi valoriali cristiani, il cattolico, la cui opposizione a tali posizioni sia nota a tutti, potrà appoggiare “proposte mirate a limitare i danni di

tali programmi e di tali leggi e a diminuire gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica” (nn568, 570).

Il prossimo dibattito parlamentare sul “fine vita”, a mio avviso, interpella concretamente la “Rete di Trieste”. I parlamentari cattolici, presenti nei vari partiti, sapranno dialogare su questo tema oppure sperimentano la “diaspora culturale”, disapprovata da Giovanni Paolo II? Esprimeranno una posizione comune seguendo “la bussola” della Dottrina sociale, come esortava Papa Francesco? Oppure saranno, come al solito, “afoni”?

Un commento su “Politici cattolici e proposta di legge sul fine vita

  1. Commentare questo articolo è estremamente complesso perché si tratta di giudicare questioni che vanno al di là del nostro abituale modo di agire. Sapienza, con la pacatezza e il buon senso che lo distinguono, evita di accentuare posizioni ideologiche, manifestando la necessità di una mediazione assolutamente utile in politica, onde pervenire a una legge sul “fine vita” condivisibile. Nessuno ama la sofferenza degli altri, a meno che non sia un delinquente. Sappiamo tutti che i medici veterinari, spesso, consigliano di abbattere gli animali con malattie irreversibili e dolorose. Quello del “fine vita” è un problema più grande di noi, ma per pietà cristiana va affrontato. Non credo che la sofferenza abbia valori catartici e se si può evitare, nei limiti del possibile, bisogna tenerne conto.

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