
È stata preannunciata per il 17 luglio la presentazione in Parlamento della proposta di legge sul “fine vita”, il prosieguo di un percorso legislativo oggi più che mai necessario, che aiuta anche a superare questa fase in cui ogni regione si sta “attrezzando” in merito, rischiando di creare diversi approcci su un tema così rilevante.
Il dibattito pubblico è molto pacato, se non addirittura silente, perché su queste tematiche ognuno vuole regolarsi individualmente e forse si ha paura, anche in ambito cattolico, di esporsi. Associazioni e movimenti cattolici, oltre ai vescovi, stanno esprimendo il loro parere, volto non a bloccare la legge, ma a far sì che sia il più possibile rispettosa della dignità della vita e non lasci soli il malato e la sua famiglia nelle fasi terminali dell’esistenza terrena.
Garantire il diritto primario alla cura
La nostra insistenza, da cattolici ma soprattutto da cittadini, punta sulla necessità di assicurare in maniera capillare a tutti le cure palliative. In un sistema sanitario sempre più precario, siamo consapevoli che questa richiesta può cadere nel vuoto e abbiamo il sospetto che la mancata presa in carico di malati e anziani nasconda anche ragioni economiche, e accada quanto papa Francesco aveva denunciato nell’enciclica Fratelli tutti: «Quelli “che non servono ancora” – come i nascituri- o, “non servono più” – come gli anziani” sono sacrificati sull’altare di una selezione che favorisce “un settore umano degno di vivere senza limiti» (n.18). Ma questo non è accettabile, e richiede che non solo in quanto cattolici, ma in quanto cittadini si chieda che venga assicurato, prima che il diritto all’autodeterminazione nei confronti della morte, il diritto primario alla cura. Prevedere che siano più diffusi i centri per le cure palliative, richiede che siano investite maggiori risorse per la sanità: le scelte etiche camminano sulle gambe dell’economia, oltre che sulla responsabilità personale!
La Corte Costituzionale ha indicato una strada che è quella di incoraggiare il legislatore a «contrastare derive sociali o culturali che inducano le persone malate a scelte suicide, quando invece ben potrebbero trovare ragioni per continuare a vivere, ove fossero adeguatamente sostenute dalle rispettive reti familiari e sociali, oltre che dalle istituzioni pubbliche nel loro complesso» (decreto della Corte Costituzionale 66/25).
Secondo l’Osservatorio nazionale delle Cure palliative, in Sicilia mancano 300 posti letti al fabbisogno, il che costituisce una condizione in cui molte persone possono sentirsi abbandonate nella fase terminale della vita. Laddove la presa in carico di un ammalato, senza aspettare una situazione irreversibile, può portare all’assistenza nel setting che va dal domicilio, al territorio, all’ospedale e all’hospice, cala drasticamente la domanda di suicidio assistito. La necessità di ribadire il nostro “no” all’eutanasia, insieme alla ricerca di una via che ci dia la miglior legge possibile in una società pluralista come la nostra, non può non smuoverci affinché sia potenziata, soprattutto nella previsione dei bilanci, una congrua spesa perché si diffonda una cultura della cura, e la medicina non tradisca il suo compito che è unicamente, secondo il laicissimo Giuramento di Ippocrate, quello di curare e mai di sopprimere la vita.
* arcivescovo metropolita di Catania
(da “Avvenire Catania”, 6 luglio 2025)