
Quando si parla di “perdono”, nell’immaginario collettivo, subito si pensa alle relazioni interpersonali o al più tra gruppi o famiglie. Invece il magistero sociale della Chiesa insegna che il perdono si proietta anche nei rapporti internazionali tra i vari Stati, pur esigendo innanzitutto di essere coltivato nel cuore di ogni persona, la quale ha un’essenziale dimensione sociale. Di conseguenza il perdono è necessario anche a livello sociale e politico, e si configura come via imprescindibile per raggiungere la Pace “disarmata e disarmante”. Gli Stati e la Comunità internazionale “hanno bisogno di aprirsi al perdono perché i pilastri della vera pace sono la giustizia e quella particolare forma dell’amore che è il perdono” (Giovanni Paolo II). Espressioni queste, che oggi ci appaiono in tutta la loro valenza di fronte ai molteplici tentativi fallimentari della diplomazia per fermare le guerre, in particolare quella tra Russia e Ucraina e tra Israele e Hamas.
Costruire ponti, non muri
L’ottusità dei governanti ad aprirsi al valore del perdono, ritenendolo una debolezza, acuisce le divisioni, radicalizza e cristallizza i conflitti e contribuisce a innalzare muri anziché ponti. Ma se il mondo non vuole precipitare giù per la china di una guerra sempre più sofisticata, che provoca una disumanità sempre più raffinata fino a inventarsi la carestia per affamare l’avversario come arma a buon mercato, allora bisogna che punti al perdono che è “alla base di ogni progetto di società futura più giusta e solidale”. E questa è la strada che conduce alla vera pace. Solo a queste condizioni si può assicurare l’autentico progresso di tutti i popoli. Occorre, pertanto, formare tutte le persone e, soprattutto i politici, a scoprire la prassi positiva di una vera e propria “politica del perdono”. Infatti, “solo nella misura in cui si affermano un’etica e una cultura del perdono, si può anche sperare in una ‘politica del perdono’, che risana le ferite e ristabilisce in profondità i rapporti umani turbati. Ciò vale tanto nelle tensioni che coinvolgono i singoli quanto in quelle di portata più generale ed anche internazionale” (Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata mondiale della Pace, 2002).
Costruire case della pace
E’ un nuovo paradigma che bisogna adottare, e Leone XIV, a sua volta, conferma che il mondo ha urgente bisogno di un cambio di prospettiva perché “senza il perdono non ci sarà mai la pace”. Deve essere precisato che il perdono non cancella il male e le sue conseguenze, bensì lo priva della sua forza autoriproduttiva e distruttiva. Infatti: “Perdonare non significa negare il male, ma impedirgli di generare altro male. Non è dire che non è successo nulla, ma fare tutto il possibile perché non sia il rancore a decidere il futuro della società” (Leone XIV). Occorre riconoscere che si tratta di un percorso lungo e difficile, ma non impossibile perché “giustizia e verità rappresentano i requisiti concreti della riconciliazione” (Compendio Dottrina sociale della Chiesa, n 517). Papa Leone rivolgendosi ai vescovi italiani li esorta: “Ogni comunità diventi una “casa della pace”, dove si impara a disinnescare l’ostilità attraverso il dialogo, dove si pratica la giustizia e si custodisce il perdono. La pace non è un’utopia spirituale: è una via umile, fatta di gesti quotidiani, che intreccia pazienza e coraggio, ascolto e azione. E che chiede oggi, più che mai, la nostra presenza vigile e generativa”. Pertanto, la formazione delle coscienze è urgente, a partire dalle varie comunità ecclesiali, ma anche le altre agenzie educative (scuole, associazioni varie ecc) devono essere impegnate in questo compito così delicato e importante. Papa Francesco, evidenziando il rapporto tra la dimensione personale e quella sociale riguardo al perdono, affermava: “Quanti perdonano davvero non dimenticano, ma rinunciano ad essere dominati dalla stessa forza distruttiva che ha fatto loro del male. Spezzano il circolo vizioso, frenano l’avanzare delle forze della distruzione. Decidono di non continuare a inoculare nella società l’energia della vendetta, che prima o poi finisce per ricadere ancora una volta su loro stessi”(Fratelli Tutti n 251).
Piero Sapienza ha trattato il tema più complesso della natura umana: il perdono. Credo che sia estremamente difficile che nel mondo si affermi questo principio e la storia ne è testimonianza, sia la macrostoria che la microstoria. A livello interpersonale è assai improbabile che la gente sia disposta a perdonare, come può testimoniare, per esempio, Gino Cecchettin per il femminicidio della figlia Giulia da parte dell’ ex fidanzato . E parliamo, in questo caso, di una persona di grande dignità morale e civile. È altrettanto difficile per una famiglia perdonare un pedofilo che ha violato il proprio bambino. Ma se è problematico perdonare nei rapporti interpersonali, lo è ancora di più, forse, tra gruppi o nazioni. Israele sta, in questi giorni, alimentando l’ odio dei palestinesi nei suoi confronti, talché, nei prossimi anni, le nuove generazioni ” superstiti ” nutriranno propositi di vendetta. Potrei continuare all’ infinito. E, tuttavia, apprezzo gli inviti al perdono da parte della Chiesa, così come ci dice Sapienza. È un tentativo che va valorizzato, anche se non sempre se ne possono vedere gli esiti.