di Don Antonino De Maria

Per ragioni diverse, sempre legate al mio ministero sacerdotale, mi sono trovato a celebrare secondo i diversi riti della Chiesa cattolica, in italiano, in latino, in rumeno, sperimentando la libertà di Dio che mi si dona in molteplici modi pur nella unità della fede e della Chiesa e soprattutto nella stessa fede che al centro di ogni eucaristia c’è Cristo vivo, nel suo mistero pasquale ed ecclesiale.

Non ho mai pensato che fosse più giusta una prassi liturgica rispetto ad un’altra ma che l’arte di celebrare è “una cosa sola con l’arte di vivere rettamente.”[1] Ciò significa che per esempio prendere la comunione nelle mani o in ginocchio in bocca è qualcosa di secondario, rispetto al ricevere la comunione nella consapevolezza che tutta la mia vita è chiamata a conformarsi a Cristo che mi si dona nella sua morte e risurrezione e mi sposa con Lui insieme a tutta la Chiesa.

È in altro contesto di considerazioni che vanno comprese le indicazioni che i Vescovi siciliani, non soltanto il Nostro, ci hanno comunicato per questo tempo e in queste circostanze. Esse partono da una considerazione seria cioè da un fatto straordinario e per la maggior parte della gente inquietante, forse eccessivamente ma da non trattare con superficialità.

Non siamo in tempi nei quali si rimproverava ai preti di celebrare con le mani sporche, perché siamo abituati alle norme di igiene che, da noi, sono considerate segno di civiltà, di crescita sociale e di maturazione umana, quelle che insegniamo ai bambini, come lavarsi le mani prima di mangiare, per esempio.

Tuttavia, oggi, queste norme sono per precauzione aggravate, perché i nostri gesti non diventino consapevolmente occasione di contagio. Così la comunione ricevuta con il debito rispetto nelle mani evita un particolare contatto con la saliva (va detto che questo dovrebbe essere fatto sempre, ogni volta che chi riceve la comunione si trova in situazione di malattia trasmissibile oralmente attraverso la saliva perché il contatto non infetterebbe soltanto il sacerdote ma anche tutti gli altri).

Lo stesso vale per l’abbraccio di pace (gesto inflazionato che spesso si scambia per una occasione per salutare gli amici presenti) che normalmente avremmo vissuto pienamente con il bacio della pace e non con una formale stretta di mano ( ho visto persone psicotiche disinfettarsi con l’amuchina in tempi non sospetti).

L’altro aspetto da considerare è che non si tratta che di indicazioni temporanee, le quali vogliono salvaguardare il bisogno dell’eucarestia in tempi particolari, senza per questo limitare la vita delle comunità, sperando di non dover addivenire a misure più drastiche come quelle che hanno dovuto prendere Conferenze Episcopali Regionali del Nord Italia.

Si tratta di assumere un atteggiamento di ragionevolezza e di obbedienza ai Nostri Pastori.     Sarebbe anche un bell’esempio di unità e di appartenenza alla Chiesa di Cristo in un tempo in cui si confondono le proprie scelte di leaders con l’adesione al vangelo di Cristo, ricordando il monito di Paolo nella I Cor. 1, 13: “Cristo è forse diviso?” Non esiste la Chiesa di Bergoglio o di Ratzinger, esiste la Chiesa di Cristo e nella Chiesa di Cristo uno solo è il segno dell’unità, il successore di Pietro che in questo tempo è papa Francesco, che non è eretico (dirlo non ci fa più giusti e santi, anzi dovremmo chiederci se accettiamo i Concili nella loro totalità) né l’anticristo, ma come dice papa Benedetto, il Papa che il Signore ha scelto per questo tempo.

L’umiltà dell’obbedienza e la testimonianza dell’unità intorno ai nostri Vescovi sono segni che testimoniano nel nostro tempo individualista quello per cui Cristo ha pregato come ci ricorda il vangelo secondo Giovanni: secondo Giovanni perché il Vangelo è la Buona Novella di Gesù Cristo, Figlio di Dio Salvatore.


[1] Papa Benedetto XVI in Robert Sarah con Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, Dal profondo del nostro cuore, Cantagalli 2020, p. 51. Vorrei ricordare a tutti che papa Benedetto non è solo il Papa che ha sdoganato il rito latino pre riforma, ma anche quello che ha accolto i ministri anglicani con le loro comunità lasciando loro di celebrare con le peculiarità liturgiche dell’Alta Chiesa Anglicana: Costituzione Apostolica, Anglicanorum coetibus, III Liturgicis haud exclusis celebrationibus secundum Romanum Ritum, Ordinariatui facultas praebetur celebrandi sacram Eucharistiam ceteraque Sacramenta, Horarum  Liturgiam aliasque liturgicas actiones iuxta libros liturgicos Anglicanae traditioni peculiares, ab Apostolica Sede adprobatos, ita ut intra Catholicam Ecclesiam vitales serventur spiritales, liturgicae pastoralesque Communionis Anglicanae traditiones, ad instar magni pretii doni, ad sodalium fidem alendam ac participandam.

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