di Don Antonino De Maria

Per la Chiesa questo giorno è la festa di San Marco, evangelista e catechista (come dice Papia di Gerapoli citato da Eusebio) di Pietro. Il suo “vangelo” è il più breve dei quattro vangeli canonici e per la teoria sinottica la base di Matteo e di Luca. Per molta gente sarebbe stata l’occasione di un lungo ponte di vacanza magari fino al 3 maggio.

Per l’Italia è la data simbolica della fine della guerra civile che, dopo l’armistizio di Badoglio e l’arrivo degli alleati nel sud d’Italia che risalendo lo stivale spinsero verso il Nord d’Italia il resto dei fascisti e dei tedeschi nazisti, segna un nuovo inizio nella vita e nella storia sociale dell’Italia. Quel nuovo inizio che porta alla Costituente e alla nascita del nuovo Stato democratico.

Quella guerra civile vide italiani combattersi e non senza atrocità che avrebbero potuto essere evitate, perché non motivate dalla volontà di libertà ma da odi ideologici: molti innocenti vennero uccisi non in nome della libertà ma di una ideologia.

Non fu la guerra tra comunisti e fascisti perché nel desiderio di libertà anche cattolici parteciparono e la Chiesa e il Papa hanno svolto un ruolo di mediazione, come la storiografia moderna ha ricostruito.

Ma oggi mi chiedo che senso ha questa celebrazione? Ricordare in questa condizione di sospensione di alcuni diritti un evento di liberazione, rischia di essere ancora una volta manipolato e usato per scopi diversi, come la legittimazione di un governo e delle sue scelte.

La libertà religiosa, che non può ridursi al contentino di tenere le chiese aperte per la preghiera personale e, nello stesso tempo, martellare le persone facendole sentire in colpa se escono di casa, non è un diritto accessorio ma un diritto riconosciuto dalla nostra Costituzione fondato sui diritti della persona e non su un compromesso politico. Così per il diritto alla libera circolazione, il diritto al lavoro e alla cura dei propri cari e il diritto alla salute che non è più importante degli altri e non può diventare una scusa per limitare gli altri diritti per lungo tempo: mentre si invitano le persone a cantare Bella ciao, non ci si rende conto del disastro umano e sociale che stiamo vivendo.

Forse celebrare questa data sarebbe più significativo se facesse rinascere un dibattito sui diritti della persona, sulla libertà, su un’economia più solidale, su un welfare reale, su una visione di popolo meno ideologica (o populista) ma più vera, più attenta alle reali esigenze della gente che non possono ridursi al cibo, alla salute o al divertimento, alla possibilità di un lavoro dignitoso, alla possibilità di relazioni umane vere, alla crescita culturale, etc. Se la nostra società è ammalata, come dice il Papa, qual è la ragione della malattia e quale la prognosi, il cammino terapeutico per uscirne?

Che ruolo ha la Chiesa? Non certo quello del collateralismo, ma quello profetico di chi parla per tutti, perché la Chiesa è l’unica realtà di popolo rimasta mentre i partiti non rappresentano più la gente ma circoli culturali o di potere. Chiedere più libertà, pur con tutte le accortezze possibili, è chiedere più libertà per tutti: non abbiamo bisogno della badante ma di poter crescere, di poter vivere la nostra umanità in pienezza, secondo il significato della parola cultura.

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