di Don Pasquale Munzone

«Il giorno 17 dicembre la santa Chiesa apre la serie settenaria dei giorni che precedono la vigilia del Natale, facendo cantare ai vespri un’antifona solenne, che è tutta un’invocazione ardente al Messia che deve venire, e ripete i più bei titoli coi quali i grandi profeti d’Israele hanno salutato il futuro Salvatore»[1].

La seconda parte del tempo di Avvento si caratterizza maggiormente per la presenza di queste antifone che danno un tono maggiore di preparazione. La liturgia interpretando i sentimenti della Chiesa, riveste in questi giorni un carattere speciale: essa elargisce i titoli più svariati e le suppliche più umili che possono invitare il Messia a pressare la sua venuta[2].

Esse fanno appello continuo alla carità del Figlio di Dio, che viene a instaurare il suo Regno di giustizia e di amore nella storia dell’umanità. Si tratta, certamente di composizioni poetiche, ispirate da testi profetici – apocalittici che danno la chiave di lettura di quell’evento che trova il suo culmine nel mistero dell’Incarnazione.

Sin dai primi secoli sono stati dati i nomi più svariati, tra cui Antiphonae Maiores, per ragione della particolare solennità con cui vengono cantate, oppure Antiphonae O, perché tutte incominciano con questa interiezione.

L’evoluzione storica delle «Antifone O» va ricercata nei secoli, dalle testimonianze di vari studiosi come Amalario, Alcuino, Bernone di Reichenau, Honorio di Autun, Durando, l’Ordo Romanus XI, e in generale in tutti i libri liturgici del medioevo[3].

La testimonianza concernente l’origine storica di queste antifone ci viene da Amalario di Metz, il quale, nella sua opera liturgica, attesta che esse sono di origine romana, nate probabilmente intorno ai secoli VII o VIII e attribuite al grande ingegno del papa s. Gregorio Magno. Queste antifone, secondo Amalario, mostrano a noi un segno che ciò che celebriamo va ammirato, approfondito e contemplato. Questa ammirazione è legata alla concezione e al parto di Maria, per cui queste antifone si addicono più al Cantico del Magnificat che a quello di Zaccaria[4].                                                         

Con la riforma liturgica del Concilio Vaticano II[5], le «Antifone O» hanno acquisito una certa stabilità, oltre che un certo valore teologico e spirituale. Il Vaticano II si è occupato fortemente del rinnovamento della preghiera della Chiesa, tenendo presente alcuni aspetti: teologia della preghiera delle ore, aspetti pastorali, norme per la riforma, valore spirituale, celebrazione comunitaria e altre questioni ancora. La riforma liturgica propone di far crescere ogni giorno di più la vita cristiana tra i fedeli per favorire ciò che può contribuire all’unione di tutti.

Le Antifone e il  tempo di Avvento

L’Avvento è un periodo dell’anno liturgico che, a dispetto della complessità delle sue origini, è arrivato a formare un’unità con Natale-Epifania. Prima di costituirsi a Roma nel corso dei secoli VI-VII, l’Avvento era stato preceduto da varie esperienze in Gallia, in Spagna e anche nel Nord d’Italia. Come testimonianza più antica, in Gallia viene citato un testo del Liber Officiorum attribuito da alcuni a Ilario di Poitiers (310ca.-367), dove si parla di tre settimane di pratiche ascetiche e penitenziali in preparazione alla venuta del Signore, forse come reazione alle feste pagane di fine dicembre[6]. La sua caratteristica ascetica pare dovuta al fatto di essere un tempo dedicato alla preparazione di catecumeni al battesimo. Nel VII secolo a Roma l’unica preparazione al Natale si ritiene fosse inclusa nelle Quattro Tempora di dicembre[7]. Negli autori cristiani dei secoli III-IV, adventus è, tra l’altro, uno dei termini classici per indicare la venuta del Figlio di Dio in mezzo agli uomini, la sua manifestazione nel tempio della sua carne. Il termine negli antichi sacramentari romani viene adoperato per indicare sia la venuta del Figlio di Dio nella carne, l’adventus secundum carnem, che il suo ritorno alla fine dei tempi[8].

Il tempo di Avvento ha una doppia caratteristica: è tempo di preparazione alla solennità del Natale, in cui si ricorda la prima venuta del Figlio di Dio fra gli uomini, e contemporaneamente è il tempo in cui, attraverso tale ricordo, lo spirito viene guidato all’attesa della seconda venuta di Cristo alla fine dei tempi (CR, Norme generali 39). L’Avvento quindi non è in prima linea un tempo penitenziale nella prospettiva del ritorno del Signore per il giudizio, bensì celebrazione dell’incarnazione, e solo a partire da ciò, attesa anche della parusia. È un tempo di attesa del compimento della salvezza[9].

Ferie di Avvento dal 17 al 24 Dicembre

Con la riforma del Vaticano II i giorni feriali dell’Avvento hanno avuto per la prima volta nella storia della liturgia romana dei formulari propri per la messa e la liturgia delle Ore con apposite preghiere e letture bibliche.

La seconda parte dell’Avvento, nelle ferie che vanno dal 17 al 24 dicembre, sono i giorni di preparazione immediata al Natale. Oltre all’espressione d’uso “ferie maggiori”, essi possono essere chiamati anche “i giorni mariani dell’avvento” per i frequenti riferimenti alla Madre di Dio contenuti soprattutto nelle pericopi evangeliche. Questi giorni sono già illuminati dal Verbo «luce vera che viene in questo mondo per illuminare ogni uomo» (Gv 1,9). I più famosi liturgisti definiscono queste ferie “Avvento natalizio”. Per la loro prossimità e l’orientamento verso le solennità cristologiche dell’incarnazione, costituiscono la più antica polarità liturgica delle celebrazioni della Vergine[10].

L’eucologia di queste ferie, e soprattutto i testi biblici,  mettono l’accento prevalentemente sull’imminente celebrazione della nascita di Cristo. I testi biblici preparano direttamente al Natale con le pericopi dell’Antico Testamento e del Vangelo in cui si narrano le diverse annunciazioni e l’attuazione in Cristo delle promesse davidiche. Le due letture, quella profetica e quella evangelica, sono scelte in modo da evidenziare il rapporto di unità e di compimento fra Antico e Nuovo Testamento. I testi eucologici, inoltre, mettono in evidenza il tema dominante della venuta di Cristo, sia nell’incarnazione sia alla fine dei tempi come giudice e Signore. La liturgia contempla ambedue le venute di Cristo in intimo rapporto fra loro. La nascita di Cristo prepara l’incontro definitivo con lui. Siamo, in qualche modo, di fronte al mistero di un’unica venuta, nel senso che la prima inizia già ciò che verrà portato a compimento nella seconda[11]. Questo mistero è ben sintetizzato nella colletta della Messa vespertina nella vigilia di Natale: «Concedi che possiamo guardare senza timore, quando verrà come giudice, il Cristo tuo Figlio, che accogliamo in festa come Redentore»[12].


[1] L. Totaro, «Le grandi antifone del Natale», RL, 8 (1921) 297.

[2] Cfr. G. Van Caloen, «Les Grandes Antiennes», in Le Messager des fideles, Maredsous (1886) 512.

[3] Cfr. G. Van Caloen, «Les Grandes Antiennes», 513.

[4] Cfr. Amalario, Liber de Ordine Antiphonarii 13, in J.M. Hanssens, Amalarii episcopi opera liturgica omnia, Città del Vaticano 1950, 44-49.

[5] Cfr. A. Bugnini, La riforma liturgica (1948-1975), Roma 1983, 482-563.

[6] In Spagna il can. 4 del Concilio I di Saragozza (380) invita i fedeli a frequentare l’assemblea durante le tre settimane che precedono la festa dell’Epifania, fra il 17 dicembre e il 6 gennaio.

[7] Cfr. A. Bergamini, Cristo Festa della Chiesa. L’anno Liturgico, EP, Cinisello Balsamo – Milano, 1991, 224-227.

[8] Cfr. M. Augè, «L’anno liturgico nel rito romano», in Scientia Liturgica 5, Casale Monferrato (1998) 238-239.

[9] Cfr. A. Bergamini, Cristo Festa della Chiesa, 224-227.

[10] Cfr. S. Rosso, Celebriamo l’Avvento, Introduzione alla liturgia del tempo di avvento, EP, 1966, 65-66.

[11] Cfr. A. Bergamini, Cristo Festa della Chiesa, 228-229.

[12] Cfr. Colletta del 21 dicembre.

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