di Don Antonio De Maria

Facendo una ricerca per un articolo sulla Chiesa mi sono ritrovato con un testo molto interessante e a tratti divertente del Card. Biffi: vescovo con un grande umorismo e che certo non le manda a dire.

Il cardinale descrive il ritrovamento (avverto i miei lettori che non è vero) di un manoscritto inedito, una sorta di quinto vangelo (non quello di Pomilio) che riporta le parole di Gesù emendate, una nuova versione, fondamentale per certa teologia che, anche ai nostri tempi, non ha smesso di riempire gli scaffali della Libreria Paoline (scusate: ma non mi hanno pagato per questa pubblicità).

Alcuni di questi testi ed il commento del cardinale, già Arcivescovo di Bologna, ed oggi prima tromba dell’orchestra angelica mi sembrano di estrema attualità e ve li voglio riportare, chiedendovi di leggere con lo stesso humor del cardinale e con la serietà di chi fa l’esame di coscienza prima di confessarsi ( sperando da buon prete che questo esame lo si faccia veramente e seriamente).

Egli scrive:

FRAMMENTO 9

Voi siete la luce del mondo. Non può essere nascosta una città posta sul monte e neppure accendono una lucerna e la mettono sotto il moggio, ma sopra il candelabro, perché faccia luce a tutti quelli di casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini! Perché vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli. (Mt 5, 14-16)

Voi siete una città nascosta e una lucerna posta sotto il moggio. La vostra luce non abbagli gli uomini, ma risplenda solo al cospetto dei Padre vostro che è nei cieli. (V Evangelo)  

Il problema della Chiesa e della sua condizione tra gli uomini è tra i più vivi nella teologia del nostro tempo. Gli ultimi due concili ecumenici ne hanno fatto il tema centrale della loro dottrina.
Solo abbiamo l’impressione che le due pagine di storia ecclesiastica si siano scambiate di posto. Il Concilio Vaticano primo, che poteva ancora contemplare l’esistenza di un “popolo di Dio” credente in Cristo e almeno intenzionalmente sottomesso alla sua legge, ha elaborato la sua ecclesiologia alla luce del concetto di “Signum levatum inter gentes”. Ai nostri giorni, quando la Chiesa può al massimo sperare di essere un “segno” – una voce energica, un chiaro e inaspettato cartello indicatore – per l’umanità che ha smarrito la fede e insieme la consapevolezza del suo destino, il Vaticano secondo ha parlato di “Popolo di Dio”. Forse nell’orchestra divina c’è stata qualche confusione tra le partiture. In realtà ambedue i concili sono usciti di strada. Senza colpa di nessuno però, dal momento che questo quinto evangelo per un gioco misterioso della Provvidenza è stato ritrovato soltanto in quest’epoca post-conciliare. La Chiesa dunque non è né un popolo né un segno.
Non é un popolo, perché al di fuori dei piccoli gruppi non c’è Chiesa, ma solo un’entità astratta che ha finora usurpato questo nome. “Dovunque saranno non più di due o tre radunati nel mio nome, io sarò in mezzo a loro” – ha detto Gesù: ne siamo sicuri anche se questa variante di Mt. 18, 20 non è stata purtroppo rintracciata tra le carte del Migliavacca. Niente città sul monte: la Chiesa è questa rete sotterranea di microscopiche comunità, che si radunano a discutere con molta franchezza e con molta fede se il Signore sia o non sia risorto. L’altra, quella delle cattedrali, non è la Chiesa, è il relitto fossile di una cristianità ormai estinta. E non può essere un ” segno “. Dovrebbe far spicco, gridare il suo messaggio, ascoltato o no che sia, far notare continuamente la sua presenza. Dovrebbe rivestire non solo i preti e le suore, ma tutti i battezzati di un abito diverso, che colpisca, faccia pensare, ricordi. Dovrebbe costruire chiese e perfino campanili, anche soltanto per richiamare l’idea del Regno e di una vita diversa da questa. Ma ci sarebbero due inconvenienti. Il primo, gravissimo, è che per essere un “segno” deve distinguersi dal mondo, dalle sue convenzioni, dai suoi gusti, e talvolta contrastare con essi. Il secondo è quello di mettere a repentaglio la sua umiltà e il suo amore al nascondimento, rischiando di approdare all’ostentazione e al trionfalismo.
Meglio restare sotto il moggio. C’è tra l’altro il vantaggio che non ci si avvede neppure della differenza quando la lucerna si spegne.

FRAMMENTO 10

Chi non è con me, è contro di me (Mt 12, 30). Chi non è contro di noi, è per noi (Mc 9, 40).

Chi è contro di noi, è per noi (Quinto evangelo).

Una certa confusione è presente, come sì vede, già nei vangeli canonici. Mentre l’aforisma di Matteo denota un atteggiamento di intransigenza e di massimalismo da Controriforma, quello citato da Marco si intona con la larghezza di spirito proprio del Concilio Vaticano II. Luca, che ha la vocazione dei pacificatore, a buon conto li riferisce ambedue, lasciando ai suoi lettori il compito di trovare la giustificazione logica dell’accordo (Lc 9, 50; 11, 23).

Ma sopravviene il quinto evangelo e ogni tentativo di concordismo appare del tutto inutile. Chi giova di più al Regno? Coloro che vivendo dall’interno la vita della Chiesa si lasciano avvolgere dalla forza persuasiva e trasformante della Parola di Dio; tengono desta l’attesa dell’incontro col Signore, e si studiano di vivere ogni giorno nel silenzio e nel nascondimento la vita d’amore per Dio e per gli altri, persuasi che il più bel regalo che possono fare agli uomini è la loro stessa esistenza cristiana, che diventa luce per gli smarriti, pace per gli inquieti, inquietudine per i sazi; oppure i cristiani “anonimi”, coloro che dal di fuori, lavorano ignari per la causa della verità e della giustizia, con onestà, con disinteresse, con sincero desiderio di ricerca?

Né gli uni né gli altri, ci dice il nostro frammento. La questione è superata. I più efficaci artefici del Regno sono i demolitori dall’interno. Quelli che combattendo e perfino irridendo la fede dei semplici, li costringono a farsi adulti; quelli che lottando contro ogni struttura e ogni autorità impongono a tutti un salutare stato di incertezza, di smarrimento, di angosciata perplessità, ben lontano da ogni serenità illusoria e antievangelica; quelli che nella propria casa sanno cogliere il male anche quando è scarso, senza lasciarsi incantare dal bene, anche quando è copioso.

E’ vero: è una misteriosa e valida legge dello spirito, che non arrivano a percepire il male negli altri, se non quelli che hanno una insufficiente esperienza del bene nel loro cuore. Benedetta allora la trave che c’è nell’occhio nostro, se proprio essa ci consente di cogliere la più piccola pagliuzza nell’occhio della Chiesa, e di procedere senza sentimentalismi alla correzione di questa nostra indocile madre.

Si sa: l’educazione dei genitori è l’opera più difficile, ma anche la più meritoria. E sarà anche la meglio ricompensata. Cristo ci sarà senza dubbio riconoscente per questa nostra capacità di trovare le rughe sul volto della sua sposa e a tempo debito non mancherà di manifestarci sensibilmente la sua gratitudine.

Auguro a tutti buona domenica dell’Ascensione e buona invocazione dello Spirito.

Un ultimo pensiero: non sarà che gli sceneggiatori dei film di fantascienza abbiano pensato a questa salita del Signore, per inventare quel raggio luminoso che fa salire le persone sulle astronavi? O come dicono gli ufologi, Gesù era un alieno? Io mi auguro, prima di morire, che qualcuno inventi questo raggio trasportatore perché non so se la mia povera schiena sarà capace di salire in cielo.

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