di Don Antonino De Maria

      Il cammino sinodale che stiamo vivendo è una grande occasione per dare attuazione a quanto il Concilio Vaticano II ci ha donato nei suoi documenti e ancora fa fatica a trovare forma nella prassi ecclesiale: non si tratta, infatti, di cambiare qualcosa ma di vivere dentro un nuovo paradigma, una ecclesiologia rinnovata che tenga conto che si è passati dallo schema Cristo-apostoli e gerarchia-fedeli a quello Cristo-apostoli-comunità-ministeri “ anche gerarchici, non come se questi derivassero “dalla” comunità, ma come esistenti “nella” comunità e in comunione con gli altri ministeri originati dallo Spirito “[1]. Una delle questioni importanti non ancora affrontate chiaramente e vissute nella prassi delle nostre comunità in modo consapevole è la questione del ruolo e della missione dei laici.

Il Concilio ne parla nel IV capitolo della Lumen Gentium e nel Decreto sull’apostolato dei laici Apostolicam Actuositatem. È proprio a partire da questo documento che vorrei invitare tutti a mettersi in ascolto per cambiare una prassi che ancora è troppo segnata da un certo clericalismo e che clericalizza anche i nostri fedeli battezzati, così che il ministro torna “a pensarsi in termini assoluti, rivestendosi dei panni di un uomo del sacro; di conseguenza, la Chiesa tende – inevitabilmente – a ricostituirsi sul modello piramidale, ripiombando il popolo di Dio in uno stato di subordinazione passiva, con buona pace di tutti i discorsi sulla comunione, la corresponsabilità, la partecipazione.”[2]

Apostolicam Actuositatem 1 ci dice l’importanza e la peculiarità della missione dei laici: “ Il sacro Concilio, volendo rendere più intensa l’attività apostolica del popolo di Dio, con viva premura si rivolge ai fedeli laici, dei quali già altrove ha ricordato il ruolo proprio e assolutamente necessario che essi svolgono nella missione della Chiesa. L’apostolato dei laici, infatti, derivando dalla loro stessa vocazione cristiana, non può mai venir meno nella Chiesa. La stessa sacra Scrittura mostra abbondantemente quanto spontanea e fruttuosa fosse tale attività ai primordi della Chiesa (cfr. At 11,19-21; 18,26; Rm 16,1-16; Fil 4,3).  I nostri tempi poi non richiedono minore zelo da parte dei laici; anzi le circostanze odierne richiedono assolutamente che il loro apostolato sia più intenso e più esteso. Infatti l’aumento costante della popolazione, il progresso scientifico e tecnico, le relazioni umane che si fanno sempre più strette, non solo hanno allargato straordinariamente il campo dell’apostolato dei laici, in gran parte accessibile solo ad essi, ma hanno anche suscitato nuovi problemi, che richiedono il loro sollecito impegno e zelo. Tale apostolato si è reso tanto più urgente, in quanto l’autonomia di molti settori della vita umana si è assai accresciuta, com’è giusto; ma talora ciò è avvenuto con un certo distacco dall’ordine etico e religioso e con grave pericolo della vita cristiana. Inoltre in molte regioni, in cui i sacerdoti sono assai pochi, oppure, come talvolta avviene, vengono privati della dovuta libertà di ministero, senza l’opera dei laici la Chiesa a stento potrebbe essere presente e operante. Il segno di questa molteplice e urgente necessità è l’evidente intervento dello Spirito Santo, il quale rende oggi sempre più consapevoli i laici della loro responsabilità e dovunque li stimola a mettersi a servizio di Cristo e della Chiesa. Con il presente decreto il Concilio vuole illustrare la natura, il carattere e la varietà dell’apostolato dei laici, enunciarne i principi fondamentali e dare delle direttive pastorali per un suo più efficace esercizio. Tutto questo dovrà servire di norma per la revisione del diritto canonico per quanto riguarda l’apostolato dei laici.” Un ruolo proprio e specifico che ha come fondamento il Battesimo che ci inserisce a pieno titolo nella vita e nella missione della Chiesa e che viene vissuto dai fedeli laici (battezzati) all’interno delle trame sociali della loro stessa vita.

“ Questo è il fine della Chiesa: con la diffusione del regno di Cristo su tutta la terra a gloria di Dio Padre, rendere partecipi tutti gli uomini della salvezza operata dalla redenzione, e per mezzo di essi ordinare effettivamente il mondo intero a Cristo. Tutta l’attività del corpo mistico ordinata a questo fine si chiama « apostolato »; la Chiesa lo esercita mediante tutti i suoi membri, naturalmente in modi diversi; la vocazione cristiana infatti è per sua natura anche vocazione all’apostolato. Come nella compagine di un corpo vivente non vi è membro alcuno che si comporti in maniera del tutto passiva, ma unitamente alla vita partecipa anche alla sua attività, così nel corpo di Cristo, che è la Chiesa « tutto il corpo… secondo l’energia propria ad ogni singolo membro… contribuisce alla crescita del corpo stesso » (Ef 4,16). Anzi in questo corpo è tanta l’armonia e la compattezza delle membra (cfr. Ef4,16), che un membro il quale non operasse per la crescita del corpo secondo la propria energia dovrebbe dirsi inutile per la Chiesa e per se stesso. 

C’è nella Chiesa diversità di ministero ma unità di missione. Gli apostoli e i loro successori hanno avuto da Cristo l’ufficio di insegnare, reggere e santificare in suo nome e con la sua autorità. Ma anche i laici, essendo partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, all’interno della missione di tutto il popolo di Dio hanno il proprio compito nella Chiesa e nel mondo. In realtà essi esercitano l’apostolato evangelizzando e santificando gli uomini, e animando e perfezionando con lo spirito evangelico l’ordine temporale, in modo che la loro attività in quest’ordine costituisca una chiara testimonianza a Cristo e serva alla salvezza degli uomini. Siccome è proprio dello stato dei laici che essi vivano nel mondo e in mezzo agli affari profani, sono chiamati da Dio affinché, ripieni di spirito cristiano, esercitino il loro apostolato nel mondo, a modo di fermento.” (AA 2)

Essi dunque partecipano al fine e alla missione della Chiesa non solo nell’edificazione della propria comunità ma nel vivere come fermento nello spazio umano che chiamiamo mondo. Ripeto: in modo proprio e peculiare, non avendo come modello il ministero sacerdotale ma il passare di Cristo stesso tra le strade percorse dagli uomini, lì dove l’uomo si incontra con le sue ricchezze e povertà. Ciò è importante perché lo slogan Una Chiesa tutta ministeriale di qualche decennio fa si è trasformato nella prassi in una clericalizzazione dei laici, alla ricerca di protagonismi e ruoli da esibire e in una dinamica di rapporti segnati dal potere e dalle dinamiche del potere.

Non si tratta, anche qui, di passare dalla monarchia alla democratizzazione che sono categorie mondane e che hanno come fondamento la distribuzione del potere e l’equilibrio o meno delle sue dinamiche. Il rispetto e la compartecipazione dei fedeli laici al fine e alla missione della chiesa va letto nella chiave di quella comunione che sa porsi in ascolto di tutti e dello Spirito che agisce in tutti, facendo sorgere carismi e processi nuovi perché il fine e la missione della Chiesa si compiano secondo il mandato di Cristo: Andate ed evangelizzate.

Ciò richiede un permanente impegno nella formazione dei fedeli laici perché con coraggio sappiano agire nell’agone delle dinamiche della società odierna con gioia, consapevolezza e discernimento per una testimonianza capace di attrarre a Cristo Risorto e Salvatore. Nell’unità e nella carità, come una Chiesa col grembiule.

Gli spazi di partecipazione a tutti i livelli che chiamiamo consigli pastorali sono fecondi se nascono da questa valorizzazione dei carismi e non siano solo accomodanti conferme di chi esercita il ministero della presidenza: luoghi di ascolto e di dialogo e di scelte condivise, alla luce della Parola di Dio e del Magistero ma anche di quel fiuto che i fedeli battezzati hanno vivendo nel mondo.

In non molti casi questi spazi non esistono; ma in molti altri non sono luoghi di ascolto, e i laici sono considerati semplice e obbediente manovalanza, a volte per iniziative anche buone, ma troppo spesso per iniziative che hanno il malcelato scopo di evidenziare la bravura del ministro ordinato (spesso documentato poi nei social). Cristo è la fonte vera e unica sia del sacerdozio battesimale che di quello ministeriale ed è quest’ultimo chiamato a servire quello perché si annunci Cristo con coraggio e gioia, in un mondo che ormai considera i cristiani un’inutile reminiscenza del passato, un’inutile zavorra ad un inesorabile progresso. La testimonianza coraggiosa e vera dei fedeli laici mostra ancora non solo che Cristo è vivo ma che vale la pena essere cristiani.


[1] A Acerbi, Due ecclesiologie. Bologna 1975, p. 520

[2] D. Vitali, Sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale o gerarchico: rilettura di una questione controversa, Rassegna di Teologia 52 (2011/1), p. 41

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