In una Catania dove il buio della sera lascia il posto al luccichio degli addobbi natalizi delle vetrine dei negozi e delle private abitazioni, nella sera nella quale si spengono le luci dei ristoranti per accendere il calore della famiglia riunita attorno ad una tavola riccamente imbandita, ecco la Luce vera squarcia le tenebre della notte e il canto di lode “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini amati dal Signore”, rompendo il silenzio della stanchezza, invita l’umanità ad accogliere ed adorare il Signore, che è entrato umilmente, quasi in punta di piedi, nel dinamismo del tempo della storia. Canto di lode che è risuonato in Cattedrale, dopo la recita dell’ufficio delle letture e il canto della Kalenda di Natale, nella Messa della notte, mentre Mons. Luigi Renna mostrava, col volto pieno di gioia, quel Gesù accolto, prima, nella Parola ed ora reso visibile grazie al mistero dell’Incarnazione.

Di seguito il testo integrale dell’omelia dell’Arcivescovo nel primo Natale quale Pastore e Guida della Chiesa di Catania:

Carissimi fratelli e sorelle,

la buona notizia proclamata oggi accompagna la vita di noi cristiani ogni volta che facciamo festa: oggi che è Natale, a Pasqua di Risurrezione, nelle domeniche, nelle feste di Maria Santissima e dei Santi, facciamo nostro il canto di lode che gli angeli elevarono a Dio in quella notte santa di fronte agli occhi e agli orecchi pieni di meraviglia dei pastori: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini amati dal Signore”.

Il Vangelo secondo Luca, nel narrarci la nascita del Signore Gesù, ci dice che i primi a ricevere l’annuncio dell’evento che celebriamo furono dei pastori che vegliavano di notte il loro gregge. L’annuncio che cambia la storia dell’umanità non raggiunge quelli che sono “nella stanza dei bottoni”, come poteva essere l’imperatore Augusto che aveva indetto il censimento per tutto l’impero, ma coloro che possiamo considerare la primizia del messaggio di salvezza del Messia, quelli che conducevano la loro esistenza ai margini della società, nelle campagne di Betlemme, lontani dalla vita della capitale Gerusalemme e dei luoghi abitati dalla gente che conta.

Dio ha mandato gli angeli ai pastori perché vuole dirci che per Lui conta ogni uomo, chiunque esso sia, e che il messaggio della salvezza si trova a suo agio sia nei luoghi avvolti da volute di incenso, sia nei sobborghi dove gli odori più acri della vita degli umili si mescolano tra di loro: quelli della povertà, del lavoro, del sudore, delle lacrime e delle miserie di ogni tipo. Dio sembra dirci: io considero importante ogni essere umano. In questi giorni una persona che sta vivendo momenti di difficoltà e che sta lottando con grande dignità, mi ha confidato “Mi sento considerato!”. Bellissima parola “considerare”, che viene dal latino “cum sideribus” e significa “con le stelle”. Il Creatore che ha fatto dal nulla la luce, che “ha disteso i cieli” e a cui appartengono gli abissi marini, ha occhi per te fratello e sorella che non ti senti considerato da nessuno, che tante volte sperimenti di essere un numero. Dio ci dà una grande lezione: a noi che ci commuoviamo davanti ai presepi, insegna che non ci è lecito passare indifferenti davanti ad alcuno, e a noi che abbiamo collocato la stella cometa sulla capanna di Betlemme suggerisce che tra le stelle luminose dobbiamo mettere i bisogni impellenti degli altri, i più poveri soprattutto, sia di amore, che di pane e di considerazione.

I pastori ricevettero l’annuncio della nascita di Gesù e allo stesso tempo gli angeli non si limitarono a indicare il segno così piccolo della grandezza di un Dio che ama essere racchiuso nelle realtà microscopiche del suo universo – un Bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia– ma si misero a lodare l’Altissimo; queste creature celesti, che sanno che Dio, “l’Amore che muove il cielo e l’altre stelle” come canta il poeta Dante, non disdegna i tuguri e le umili case degli uomini. Si misero a lodare Dio: “Gloria a Dio e nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini amati dal Signore”. In questo canto la terra e il cielo sono tra loro ricongiunti, non dal canto, ovviamente, ma da Colui che nel canto è celebrato, cioè il Bambino Gesù. Egli è la gloria di Dio, come ogni figlio è il vanto del proprio padre. Egli è quel Figlio che è stato generato dall’eternità, il Verbo di Dio, simile al Padre, simile nell’Amore per le sue creature; e si è fatto carne. Poiché l’amore chiede di farsi simile a colui che ama, il Figlio di Dio è divenuto figlio dell’uomo; l’Eterno è entrato nel tempo che scorre; la Luce è venuta tra le tenebre, e non è stata offuscata. Tutto ciò è meraviglioso e perciò canta bene Sant’Efrem il siro: “Oggi è nato un bimbo, il suo nome è Meraviglia. È proprio una meraviglia di Dio che si sia manifestato come un infante” (Inno I, 9).

Foto di Giovanni Crisafulli

“La gloria di Dio è l’uomo vivente”, dirà un padre della Chiesa dei primi secoli, sant’Ireneo di Lione, e ciò è stato possibile perché il Padre Eterno vede in ogni uomo coloro ai quali il Figlio si è fatto simile. Ma dove lo cercheremo? Come faremo a sentire la sua presenza? Li angeli continuano: “… e pace in terra agli uomini amati dal Signore”. Dobbiamo ricordare che qualche anno fa la Conferenza Episcopale Italiana ha voluto mettere sulle nostre labbra il testo più fedele alle parole riportate dall’evangelista Luca. Prima dicevamo “agli uomini di buona volontà”, fedeli alla antica traduzione latina di san Girolamo, “pax hominibus bonae voluntatis”. Lo abbiamo visto persino nei cartigli svolazzanti dei nostri presepi, in mano ad angeli e cherubini, e forse ci è venuto il sospetto che Dio portasse la pace solo a chi ha la buona volontà di accoglierla, a chi ha un cuore già pronto sentimenti di riconciliazione e di pace.

Forse non ci è venuto il dubbio che queste persone non hanno molto bisogno di questo annuncio, perché sono già colme di quella grazia che fa nuova una creatura, e muove la sua volontà al vero, al bene, al bello. Gli angeli hanno cantato invece, “pace in terra agli uomini oggetto della sua benevolenza”, cioè amati da Dio. La benevolenza di Dio è verso tutti: uomini di ogni condizione, di ogni popolo e religione. Quando nasci sei già ricoperto dalla bontà di Dio: per questo Egli si è fatto uomo. Quando sei stanco o malato, quando il tuo corpo è deturpato dalla malattia o la tua mente non è più lucida perché appesantita dagli anni, Dio ti copre di benevolenza. E perché non ci venga il dubbio che qualche palmo di terra del nostro pianeta sia escluso dalla bontà di Dio, gli angeli aggiungono “sulla terra”, proprio su tutto il nostro globo terrestre; e su tutta Catania, sulle sue città e sui paesi; nelle grandi periferie che da oggi divengono il centro, perché sono amate da Dio.

La pace è la gloria divina che risplende sul volto degli uomini, che ogni creatura creata ad immagine di Dio sente fatta a misura per sé: perché questo è il sentimento che accomuna tutte le culture quando parlano di pace, di shalom, quando dicono salam. È la pace che è cercata ad ogni costo, scegliendo come arbitro non chi favorisce il più forte, ma chi cerca il bene di tutti. È la pace che si fonda sul dialogo, non sulla deterrenza di armi o sulla forza di chi sa intimorire mostrando i muscoli. È la pace di cui c’è bisogno nelle case, nei consigli comunali, nei parlamenti, sulle piazze, tra le trincee. Il canto degli angeli, di coloro che ci dicono che Dio “considera” le sue creature più fragili di cuore, gli esseri umani, giunge fino a noi.

Ho chiesto nel messaggio natalizio di mettere un ramoscello di ulivo nei presepi. Ora è necessario trapiantarlo nell’unico vaso che non lo lascerà morire, il nostro cuore. Che il Bambino Gesù ci insegni a portarlo ovunque e che ispiri il linguaggio di tutti, che d’ora in poi sia mite; e i gesti, che non siano subdoli; e che la visione dell’umanità sia la stessa di Dio, che ha a cuore ogni uomo e donna. Ora noi siamo gli angeli, siamo coloro che porteranno il ramo d’ulivo ovunque. E laddove non riusciremo, l’Altissimo faccia risplendere la sua Luce di verità e di salvezza, il Figlio Suo Gesù Cristo, che è venuto ad edificare il mondo nella carità.

 + Luigi Renna,  Arcivescovo metropolita di Catania

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