Nella Giornata mondiale degli Istituti di Vita Consacrata l’Arcivescovo ha presieduto il rito della benedizione delle candele nella Basilica Collegiata, dalla quale è seguita la processione fino alla Basilica Cattedrale per la celebrazione della Santa Messa durante la quale i religiosi e le religiose, i consacrati e le consacrate secolari, hanno rinnovato gli impegni di vita consacrata ed alcuni hanno ricordato la ricorrenza giubilare.

Di seguito il testo dell’omelia di Mons. Luigi Renna:

Carissimi consacrati e consacrate,

oggi la Chiesa ringrazia il Signore in modo particolare per il dono della vita consacrata e ne riconosce il grande valore. Cari consacrate e consacrati, la donazione di voi stessi nel momento storico attuale è più che mai generosa, perché siete più oberate ed oberati da tanti compiti, e li portate avanti con amore nonostante alcuni sentano venir meno il loro numero e le loro forze. È un tempo in cui assistiamo ad una diminuzione di numeri di consacrati, ma non dobbiamo piangerci addosso, bensì guardare alla nostra vocazione con la serenità di chi vuole fare la volontà di Dio e testimoniarlo in ogni tempo, con un grande senso di fiducia in Lui: è questo il senso di fedeltà alla chiamata che ci deve animare.

La prima lettura che abbiamo ascoltato, tratta dalle Lettera agli Ebrei, ci dà l’opportunità di comprendere il senso della consacrazione alla luce dell’Incarnazione. Questo libro, quando ci presenta il Signore Gesù, sembra non essere in linea con gli altri del Nuovo Testamento perché, in maniera diversa dai Vangeli, dagli Atti, dalle Lettere paoline, attribuisce al Cristo i tratti del sacerdote. Infatti mentre negli altri libri neotestamentari si fa riferimento al suo essere un Maestro e un Profeta, e si sottolinea che Gesù è nella linea della discendenza da Davide perché appartiene alla tribù di Giuda e non a quella di Aronne, a cui era riservato il sacerdozio, nella Lettera agli Ebrei, si afferma inaspettatamente che Gesù Cristo è il vero Sommo Sacerdote della Nuova Alleanza. Eppure il Signore è sì entrato nel Tempio di Gerusalemme, ma mai nella zona sacra riservata a sacerdoti e leviti, o in quel luogo, il Santo dei Santi, in cui entrava esclusivamente il Sommo Sacerdote; inoltre, non poche volte egli interpreta in modo nuovo la legge di purità, e proclama che tutti gli alimenti sono puri; e a chi gli ricordava che la Legge prescriveva che nel giorno sacro non bisognava fare nessuna opera, rispondeva che operare il bene nel giorno di sabato non significa trasgredirlo; Gesù rimarca che, rispetto al sacerdote e al levita che nella parabola del Buon samaritano passano oltre l’uomo che sembrava morto sul ciglio della strada, ad essere gradito al Signore, perché ama il prossimo come se stesso, è il samaritano, non i due uomini del Tempio. Cristo, il Messia e Figlio di Dio sovverte con il mistero della Incarnazione il senso della consacrazione e le dà un significato nuovo: sacro non è più ciò che è separato dagli uomini, dalla loro sofferenza e persino dalla loro morte, ma ciò che è solidale con loro, con la loro morte, con la loro condizione umana. Cari fratelli e sorelle consacrati, la morte di Cristo è stato un sacrificio, ma non nell’ottica dell’Antico Testamento: i sacrifici che offrivano i sacerdoti avvenivano nella sacralità del Tempio, quello di Gesù fuori dalle porte della città; quelli richiedevano tanta purità rituale, mentre Gesù muore tra due malfattori, come un maledetto. Possiamo dire che Gesù Cristo, con il mistero della Sua Incarnazione ridona senso a ciò che è sacro, che rimane sempre ciò che appartiene a Dio, ma diventa anche ciò che è solidale con la condizione dell’uomo.

L’autore della Lettera agli Ebrei lo spiega bene: “Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe” (Eb 2,14); l’umanità di Cristo, il suo sangue e la sua carne, sono il modo con cui il Verbo di Dio si unisce all’umanità nostra. “Per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, il diavolo” (ivi), cioè la sua solidarietà con l’umanità, il suo abbraccio al nostro essere fragili, è un amore che salva e rende impotente il maligno, perché apparteniamo all’amore di Dio. “Totum amoris est”, tutto appartiene all’amore, ci ha ricordato papa Francesco nella recente lettera apostolica per il IV centenario della morte di San Francesco di Sales. La Lettera agli Ebrei continua: “Doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo” (Eb 2,17); il vertice della sacralità che un uomo poteva raggiungere nell’Antico Israele, cioè essere Sommo Sacerdote, viene raggiunto da Gesù nella Incarnazione e nella morte. La perfezione, la sacralità di Cristo e di ogni consacrato è data da alcune espressioni: “è misericordioso”, “è degno di fede”, “è in grado di venire in aiuto dei suoi fratelli”.

La misericordia contraddistingue questo Sacerdote che ha il cuore in ascolto della sofferenza umana. Indica anche a noi, cari consacrati e consacrate, la via della misericordia come quella che ci contraddistingue in quanto consacrati: accoglienza, cuore che sa compatire, mani che sanno abbracciare e curare. È la stessa testimonianza di uomini e donne della misericordia, quella che abbiamo visto in quel figlio di terra siciliana morto di recente, Biagio Conte, che ha consacrato la sua vita a Dio e agli ultimi. Un religioso che non sa usare misericordia, che non conforma il suo cuore a quello di Cristo che sa sciogliersi in pianto e indignarsi, ha smarrito il senso del Cristo, l’Unto di Dio, che santifica curando e sanando. Pensate ai vostri fondatori, rileggete la loro vita e non vi troverete altro che misericordia verso l’umanità bisognosa nella quale si sono immersi con la loro carità come in un battesimo di santificazione.

Il Cristo viene definito dall’autore della Lettera agli Ebrei degno di fede, cioè credibile: è la credibilità di un Dio che ha creato l’umanità e non l’ha abbandonata al suo destino, ma è sceso fino agli inferi per riprendere per mano Adamo ed Eva, come ce lo rappresentano le antiche icone. È la credibilità che risplende agli occhi del mondo quella che è quanto mia necessaria e diventa il nostro impegno quotidiano nell’essere fedeli ai voti, non in un apparente vissuto, ma in una dedizione che è animata dall’amore che si esprime in una obbedienza, una povertà, una castità, non ostentate, né vissute con qualche compromesso, ma abbracciate come si abbraccia il Cristo. Della nostra credibilità il mondo ha bisogno: essa è il capolavoro di una vita religiosa riuscita!

Infine il Cristo viene definito come colui che è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova: il vostro essere uniti a Cristo nella consacrazione, seguendo il carisma dei fondatori, fa di voi, care consacrate e consacrati, donne e uomini che si sanno prendere cura di chi vive tratti della propria esistenza o una intera vita nella prova. Pensate a tutto il bene che fate, che non è altro che cura: quello delle consacrate che nei monasteri si prendono cura della Chiesa e del mondo con la preghiera incessante e con il consiglio; quello di chi si prende cura nell’educazione dei ragazzi e dei giovani, senza trascurare quelli che non hanno avuto affetti e che in voi cercano la cura materna e paterna; quelli che si prendono cura dei poveri; quelli che nello studio si prendono cura dell’approfondimento del mistero di Cristo e dell’uomo, perché l’umanità sia raggiunta dall’annuncio di salvezza.

Oggi la Chiesa ci sta offrendo uno splendido strumento per riscoprire la nostra consacrazione: il cammino sinodale. Fate sì che sia un’occasione per le vostre comunità, già abituate ad ascoltarsi nei capitoli e nei momenti di confronto comunitario, nei quali chiamare la gente vicina e lontana e porvi in ascolto di come vi vorrebbero. Siate come Maria che si ferma ai piedi di Gesù, ai di Cristo presente nel fratello e nella sorella e gli chiede come vorrebbe che fosse testimoniata questa vostra vocazione; cosa si attende dal vostro carisma. Ascoltate con l’umiltà di Maria a Betania: è la parte migliore che ci permette di riempire di ascolto del fratello la nostra spiritualità che è già nutrita dall’ascolto del Maestro interiore.

Quest’oggi due sorelle dell’Ordo virginum, quel dono particolare di Dio alla Chiesa che secondo la Tradizione vide Agata tra le sue file e che il Concilio Vaticano II ha riscoperto, intraprendere il loro cammino di ammissione alla consacrazione. Il loro “Eccomi” pronunciato in questa assemblea, ci faccia sentire che la consacrazione è una via nella quale il Signore continua a chiamare e chiede cuori generosi, che ad immagine di Cristo Sommo Sacerdote vivano la loro consacrazione conformandosi alla sua Incarnazione, al suo sacrificio, che permette ancora che la misericordia, la fedeltà e la cura di Cristo abitino la storia del nostro tempo.

+ Luigi

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