Il 28 e 29 settembre s’è tenuto a Catania il “Convegno nazionale sulla dispersione scolastica” promosso dal “Comitato Centenario don Milani”. Ecco il testo dell’intervento conclusivo tenuto dall’arcivescovo Luigi Renna.

Il Convegno nazionale sulla dispersione scolastica organizzato a Catania dal Comitato “Centenario Don Milani” ci ha fatto prendere coscienza, non solo, del triste primato negativo che la città etnea vanta a livello italiano ed europeo con un tasso di dispersione che supera il 20%, ma anche di un contesto in movimento, ricco di tentativi di contrasto alla povertà educativa.

Vorrei offrire alcuni spunti sul tema invitando a una riflessione sulla complessità del problema.

Anzitutto occorre tener conto che il fenomeno della dispersione scolastica assume forme diverse a seconda delle età degli studenti. Nelle scuole dell’infanzia, in alcuni quartieri, i minori a volte faticano anche a entrare perché mancano gli asili, per esempio. Alla media, i ragazzi e le ragazze sono più problematici e hanno già fatto delle scelte, riguardo ai modelli di vita, che possono essere già molto negative. E ancor più problematici sono gli adolescenti, che nel passaggio alla scuola secondaria hanno già orientato la loro vita. Ciascuna fase della vita del minore rivela problematiche particolari che vanno prese in carico.

Nel territorio etneo, esiste una questione di genere

Durante una mia visita nel centro storico di Catania, un padre di famiglia mi ha confidato che sua figlia sedicenne non va più a scuola perché il fidanzato non vuole. E non è un caso isolato. Da noi tante ragazze già a 16 anni sono baby mamme: lasciano la scuola perché hanno ben altro a cui pensare. E per i genitori è normale che siano già in attesa a quella età.

Dovremmo riflettere, inoltre, sul fatto che risulta oggi utopico pensare di poter contare sulle scuole paritarie di ispirazione cattolica nel contrasto alla povertà educativa. Gli ordini religiosi che le gestivano puntavano inizialmente a recuperare i minori in difficoltà. Penso ai salesiani e alla Figlie di Maria Ausiliatrice, ma anche ad altre importanti congregazioni religiose. Realtà benemerite nel campo educativo, che hanno promosso tanto bene nel nostro territorio. Il calo delle vocazioni, però, ha fatto sì che la sopravvivenza delle opere da loro create sia stata messa a rischio: la maggioranza dei docenti in quelle scuole oggi è costituito da laici ben preparati e con regolare contratto di lavoro, ma per sopravvivere molti istituti hanno dovuto scegliere di diventare scuole più elitarie rispetto al passato.

C’è poi una problematica strutturale nelle scuole di Catania. Quando, dopo essere stato nominato arcivescovo di Catania, sono andato a votare per la prima volta nella mia nuova città, il seggio elettorale si trovava in una scuola in pessime condizioni strutturali. Quel giorno ho pensato: “Se fossi papà, mio figlio non lo manderei in questo istituto”. Mi chiedo: come si può amare la bellezza, come si può leggere “L’Infinito” di Leopardi davanti a una situazione strutturale di decadenza della maggioranza delle scuole del territorio? Diciamolo francamente: la situazione strutturale degli istituti scolastici è disastrosa. Come pretendiamo di tenere gli studenti a scuola anche di pomeriggio, se i nostri istituti non hanno le mense e non hanno le palestre agibili? Come facciamo a pensare progetti bellissimi in strutture che non esistono o sono fatiscenti? E’ vero: i Comuni, la Regione non hanno bilanci floridi. Ma le risorse pubbliche, per poche che siano, devono servire anzitutto all’essenziale: la politica che vuole creare semplicemente una clientela di voti si ferma ai progetti, ma quella che guarda al bene comune è un’altra cosa, e provvede a realizzare le strutture, a sostenere ciò che dura o può essere veramente utile alla collettività.

Il tema della complessità tocca anche la Chiesa che, come detto, in questo territorio già al tempo del cardinale Dusmet ha costruito tante strutture educative con molto personale. Poi negli anni Cinquanta sono stati costruiti gli oratori. Ma non sono stati, al contempo, formati i preti, come invece è avvenuto a Milano, a Torino, a Bergamo, nel Veneto, per essere guida di oratori. Così oggi gli oratori che abbiamo, spesso e volentieri, rischiano di essere “scatole vuote”, se non c’è un progetto. Ho chiesto che in ogni parrocchia potesse nascere un oratorio, ma non mi riferivo semplicemente a una struttura fisica, ma alla nascita di una progettualità educativa, perché quando c’è questa si possono formare persone anche in quattro metri quadrati.

La bellezza della nostra Sicilia a volte ci porta a pensare di essere autosufficienti nei nostri progetti, nel modo di educare, di analizzare i problemi e di risolverli. Ma ciò non può essere: abbiamo bisogno di fare nostre delle buone pratiche educative, a tutti i livelli!

Abbiamo una religiosità viva, esuberante.

Ci vantiamo di avere a Catania la terza festa religiosa più partecipata al mondo: la festa di Sant’Agata. Ma il popolo di Dio va educato nella fede. E quando questo accade, riscontriamo che il nostro popolo è recettivo. La religiosità popolare è una risorsa anche per portare avanti un percorso educativo.

A questa complessità, con tutte le sfaccettature elencate, si cerca di rispondere insieme. Si deve rispondere insieme. Questa sarà la nostra forza.

Il lavoro che ci attende è grande, e alte devono essere perciò le motivazioni che ci accompagnano. Dobbiamo essere – come diceva di don Milani il suo padre spirituale don Bensi – “duri e trasparenti come un diamante”. E dal priore di Barbiana dobbiamo imparare soprattutto la sua visione. Ricordiamo le parole di don Milani: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio, sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è avarizia”.

È la politica che, a questo punto, viene chiamata in causa. Una politica che negli ultimi anni a Catania è stata molto sofferente. Ma io ho fiducia che si possa riprendere. Ricordiamolo: sortirne tutti insieme è la politica. Solo con questa motivazione potremo contrastare realisticamente e creativamente la povertà educativa che frena la nostra Catania e le tante periferie del nostro Paese.

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