di Martina Monaco

«Che anche voi, come Pascal, possiate ricevere la visita di Dio». Questo è l’augurio di Natale che Monsignor Luigi Renna ha condiviso con gli studenti partecipanti alla Celebrazione Eucaristica presso la Chiesa di San Michele Arcangelo ai Minoriti il 19 dicembre alle 12:00.

L’evento, organizzato dall’Ufficio per la Pastorale Universitaria, guidato da Arianna Rotondo, mirava a testimoniare il sostegno offerto dalla Diocesi di Catania agli studenti, spesso costretti a lasciare il loro luogo d’origine per costruire il proprio futuro.

«Mio desiderio è che anche voi, che siete al servizio delle scienze, possiate godere della luce di Dio che illumina le vostre vite e il vostro sapere –  ha affermato Mons. Renna, citando Blaise Pascal – Dopo che la mente ha discernito, la vita unisce: non si vive come un algoritmo o un’operazione matematica. La vita è più ricca quando è vissuta nella sua pienezza attraverso la sintesi».

Alla celebrazione hanno preso parte il Rettore dell’Università di Catania, il Professor Francesco Priolo, la Professoressa Francesca Longo, Prorettrice vicaria, il Professor Simone Morandini, docente di Teologia della Creazione presso la Facoltà Teologica del Triveneto e di Scienza e Teologia presso l’ISSR di Padova, il quale incontrerà nel pomeriggio i giovani della Pastorale per discutere del cambiamento climatico, e altri docenti dell’Università di Catania.

La liturgia è stata animata dall’Ufficio Diocesano per la Pastorale Universitaria e dai giovani che hanno seguito un percorso di crescita spirituale con la Prof.ssa Arianna Rotondo. Quest’ultima ha dichiarato: «Questi giovani hanno iniziato un cammino con noi che si concluderà nel mese di luglio. Questo movimento, formato da intelligenze diverse e cuori pulsanti, ha dimostrato la forza e la presenza degli studenti nella nostra comunità universitaria, rappresentando una risorsa su cui investire fiducia e ascoltare con attenzione.” Inoltre, ha aggiunto con orgoglio che i ragazzi parteciperanno il prossimo anno al Convegno Nazionale della Pastorale Universitaria incentrato sul tema della familiarità: “Il nostro lavoro con gli studenti è un invito costante a creare legami tramite gesti semplici e quotidiani, compiti che tutti possiamo e dobbiamo svolgere».

Al termine della liturgia, Mons. Renna ha enfatizzato l’urgenza di combattere la dispersione scolastica e ha sottolineato la volontà di creare uno spazio di incontro e confronto per i giovani studenti: “I locali della Chiesa dell’Immacolata Concezione ai Minoritelli saranno messi a disposizione. Spero partecipino molti giovani”.

Tra coloro che sicuramente aderiranno c’è Ilaria, una laureanda in lettere, che ha risposto con grande entusiasmo all’invito dell’Arcivescovo: «Mi piacerebbe discutere e condividere i miei pensieri e le mie idee con altri studenti. È lodevole che Mons. Renna abbia avuto l’intuizione di creare uno spazio dedicato all’incontro tra giovani. Mi riempie d’orgoglio la consapevolezza che attribuisca un valore così importante all’educazione e, di conseguenza, a noi che saremo gli insegnanti di domani».

Ad intervenire anche il Rettore dell’Università di Catania Francesco Priolo, che ha ricordato commosso tre studentesse italiane recentemente scomparse: Laura Salafia, Chiara Adorno e Giulia Cecchettin. Ha invitato a non rimanere indifferenti al dolore delle loro famiglie: «Non possiamo celebrare questo Natale senza dedicare un pensiero a queste famiglie che soffrono e vivranno un Natale diverso, segnato dal dolore e dalla nostalgia. Proviamo a pensare anche agli altri durante queste festività, che a volte ci fanno sentire ancora di più il peso della solitudine. Pertanto, vi esorto a riflettere su quale contributo possiamo offrire a questa società, affinché nessuna famiglia debba più piangere la perdita di un figlio o una figlia in questo modo».

A seguire il discorso dell’Arcivescovo

Carissimi fratelli e sorelle,

davanti al mistero del Natale portiamo tutti la ricchezza e la povertà della nostra vita, della nostra intelligenza e dei nostri sentimenti e vogliamo metterci davanti a tutto ciò che questa festa vuol dire ancora all’umanità e al mondo, come persone che vogliono con umiltà imparare una “lezione” da questo Dio che si presenta a noi fragile e piccolo come qualunque figlio dell’uomo all’inizio della sua esistenza.

Magnifico rettore, docenti, personale amministrativo e studenti, siete uomini e donne che stanno investendo la loro vita nella cultura e nell’impegno accademico, e credo che per voi può essere illuminante il riferimento alla fede di un uomo di cultura come voi, Blaise Pascal, il grande matematico e filosofo di cui quest’anno celebriamo il quarto centenario della nascita, e a cui Papa Francesco ha dedicato la lettera apostolica “Sublimitas et miseria hominis”. La scelta su quanto vi dirò è caduta dopo aver letto il brano del Vangelo che abbiamo ascoltato, che narra dell’annunciazione della nascita del Battista fatta al sacerdote Zaccaria, così come ce la presenta l’evangelista Luca. In una scena molto diversa da quella dell’annuncio a Maria, che è ambientata in una modesta casa di Nazareth, l’episodio odierno avviene ne tempio di Gerusalemme, e l’anziano sacerdote riceve l’annuncio che finalmente le preghiere sue e di sua moglie Elisabetta sono state ascoltate: avranno finalmente un bambino. Quell’uomo di fede che ci si aspetterebbe essere Zaccaria dimostra invece tentennamenti: anche all’ombra dell’altare può albergare la crisi di fede o una fiducia non pienamente accordata all’Altissimo. Il bambino nascerà, ma Zaccaria rimarrà muto, in una condizione in cui non avrà più nulla da dire e spiegare. Zaccaria con la sua esperienza di vita rimane muto di fronte ad un mistero che lo sovrasta. Anche io mi chiedo: di fronte a Dio quale parola possiamo dire? Rimanere zitti o imparare un linguaggio nuovo?  La lirica di un convertito del novecento, il poeta Clemente Rebora, che così descrive il suo incontro con la fede: “Quasi maestro agli altri mi porgevo; / ma qualcosa era dentro me severo: / Ferma il mio dire, se non dico il vero. / La Parola zittì chiacchiere mie.”. Non vorrei che qualcuno pensi che con quel “chiacchiere mie” voglia alludere alle scienze: è solo un bel riferimento letterario che ci dice che nella vita di un credente la fede e la fede nella Parola che si fa carne, assume una autorevolezza che cambia anche il proprio rapporto col sapere e di conseguenza con il linguaggio. Ma veniamo a Pascal e alla sua fede. Scrive nella lettera “Sublimitas et miseria hominis” Papa Francesco: “Scienziato esperto di geometria, vale a dire della scienza dei corpi posti nello spazio, e geometra esperto di filosofia, vale a dire della scienza delle menti poste nella storia, Blaise Pascal illuminato dalla grazia della fede poteva così trascrivere la totalità della sua esperienza: “Da tutti i corpi insieme non si saprebbe fare uscire un piccolo pensiero: è impossibile, appartiene a un altro ordine. Da tutti i corpi e da tutte le menti non si può trarre un moto di vera carità: è impossibile, appartiene a un altro ordine, soprannaturale”. Ci sarebbe da discutere se queste affermazioni reggono al confronto con l’intelligenza artificiale: personalmente credo di sì, proprio perché ci aiutano a “distinguere” e questo atto analitico ci conduce sempre ad una conoscenza più oggettiva. Ma dopo che la mente ha distinto, la vita unisce: non si vive come un algoritmo ed una operazione matematica. La vita è più ricca, perché è vissuta n pienezza quando riesce a fare sintesi.

Le parole del papa ci mettono davanti ad un uomo che ha fatto sintesi tra scienza e fede, e che ha riconosciuto che due piani diversi non cancellano né la gioia di credere, né quella di pensare e di ricercare. È il lavorio interiore di ogni cuore e di ogni intelligenza, che ci permette di “tornare a parlare”. Come finisce la storia di Zaccaria? Egli riprende a parlare con una benedizione di Dio il giorno che nasce suo figlio Giovanni: gli dà un nome, si riconcilia con la sua chiusura all’impossibile e ritorna a parlare, ma in una maniera nuova: “Benedetto il Signore Dio d’Israele perché ha visitato e redento il suo popolo”. Riconosce che Dio non è un Essere superiore, un grande orologiaio che ha lasciato questo meccanismo dell’universo del cuore umano se stesso. Dio continua a visitare, ma nell’umanità, in Cristo.

Anche Pascal visse l’esperienza di fede come una “visita” di Dio: fu un’esperienza mistica così forte, da portarlo a registrarla in un foglietto di carta, il “memoriale”, che egli portava sempre con sé cucito nella fodera del suo mantello. Pascal descrive questa esperienza come un “fuoco” simile a quello del “roveto ardente”, che emerge in un parallelismo quando scrive: “Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, non dei filosofi e dei Sapienti”. Contezza, certezza, sensazione, gioia, pace. Dio di Gesù Cristo”. L’intelligenza di Blaise Pascal, la sua esperienza di fede, ci conduce al presepe, davanti a un altro Roveto, dove la grandezza di Dio “brucia” nella piccolezza del Bambino Gesù avvolto in fasce, nascosto e svelato allo stesso tempo. Come ha affermato, con le luci dà chiarezza dell’uomo di scienze e dell’uomo di fede: “Gesù ha reso testimonianza alla verità (cfr. Giovanni 18, 37) ma “non volle imporla con la forza a coloro che la respingevano”. Per questo “c’è abbastanza luce perché desidera solo vedere, e abbastanza oscurità per chi ha una disposizione opposta”.

Che voi, che siete al servizio delle scienze, possiate godere di questa luce che illumina le vostre vite, con esse, i vostri saperi. Da pascal imparate che la cosa più grande è far emergere da noi un moto di carità: solo questo ci rende veramente felici e ci restituisce quella umanità che Dio è vento ad abitare e nella quale si è sentito a casa sua, riprendendo la sua avventura con l’uomo, con ogni uomo.

Buon Natale!

+ Luigi

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