«Il nostro, non è stato certamente turismo sanitario, ma un momento di profonda riflessione personale e professionale». «Di fronte ad una realtà in cui malati con patologie che in Italia sarebbero state curate con ottime prospettive di guarigione, ma che lì sono destinati a morte certa, non si può rimanere disinteressati»: Salvo Guarnera e Salvo Tolaro, medici cardiologi della Clinica Morgagni, raccontano la loro esperienza sanitaria in Congo, nella neonata Clinica di Cardiologia dell’Università del Graben, nel Nord-Kivu, una delle aree più pericolose del territorio. «Quella in cui ci siamo trovati – racconta il dottor Guarnera – è una zona ricca di minerali e terre rare, la più soggetta al conflitto in corso spesso trascurato dalle cronache internazionali». «È una terra devastata da decenni di violenza – aggiunge Tolaro – perpetrata da bande armate, presumibilmente legate al’Isis, che vivono in queste foreste tropicali». La strada che i due hanno percorso per arrivare nella diocesi di Butembo-Beni, dove si trova la clinica, è la stessa in cui nel febbraio 2021 persero la vita, a seguito di un agguato, l’ambasciatore italiano in Congo Luca Attanasio, l’autista del convoglio che lo trasportava Mustapha Milambo e il carabiniere della scorta Vittorio Iacovacci. 

Per comprendere meglio i motivi che hanno portato i due cardiologi ad intraprendere questo viaggio bisogna tornare indietro fino al 2018: Desirè Kambale Ngesera, un sacerdote medico congolese della diocesi di Butembo-Beni, si ritrova a Catania per un periodo di formazione specialistica alla clinica Morgagni, durato quasi quattro anni. «Questa esperienza – spiega Guarnera – nata dall’interesse della Fondazione Morgagni, dell’allora vescovo di Noto Antonio Staglianò, e da un precedente gemellaggio esistente tra la diocesi siciliana e quella congolese, è stata per padre Ngesera molto arricchente. E naturalmente, durante il periodo in cui lui era qui, siamo diventati molto amici». La clinica del Graben disponeva già di efficienti reparti di ginecologia e pediatria, ma l’ambizione futura era proprio quella di creare una sezione di cardiologia. «È un progetto che non si limita soltanto alla diagnostica delle patologie – spiegano i due medici italiani -, ma mira ad un’attività interventistica che risponda alle esigenze della cardiologia moderna. Con l’inaugurazione del plesso la nostra domanda è stata: “Come possiamo aiutarvi?”»

La Chiesa un baluardo di luce e speranza

Durante la loro permanenza in Kivu, i due cardiologi ospitati da padre Ngesera e dalle strutture della diocesi hanno certamente sperimentato le difficoltà della zona, soprattutto per i cristiani: «A fine luglio, prima che partissimo – ricorda Tolaro -, non molto lontano dal luogo in cui ci trovavamo noi, sono state uccise 43 persone mentre pregavano. I cristiani sono tra gli obiettivi principali di questa guerra, che continua per interessi puramente economici». La visita alle cliniche sanitarie di Butembo ha messo i medici di fronte ad una realtà sanitaria straziante: «Nei giorni in cui eravamo lì – racconta Guarnera – ci siamo sentiti chiamati ad essere in quel luogo in maniera assoluta, a testimoniare e ad agire da cristiani. E non eravamo da soli». Entrambi riconoscono nella Chiesa una realtà fondamentale in quel territorio: «Con la sua rete di ospedali, scuole e parrocchie – afferma Tolaro -, la Chiesa rappresenta davvero un baluardo di speranza e di luce nel buio di un posto terribile. Ha creato delle vere e proprie isole di civiltà, che offrono servizi essenziali e un punto di riferimento per una popolazione stremata. I religiosi e le suore, in particolare, incarnano davvero la presenza di Gesù. Per la gente del posto è un luogo di autentica speranza». Quando chiediamo loro se torneranno nuovamente lì, rispondono: «Certo. Questo è stato solo il primo passo. L’obiettivo – risponde Guarnera – è quello di aiutare i nostri colleghi congolesi a strutturare i percorsi clinici e organizzativi, per riuscire a trovare insieme il “bandolo della matassa” nelle difficoltà. Inoltre cercheremo di garantire, assieme alla Fondazione Morgagni, un supporto economico per acquistare le attrezzature necessarie all’attività interventistica. Ma la cosa più importante è innescare un percorso che ci permetta di camminare e collaborare insieme».

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *