
L’improvviso attacco di Israele all’Iran il 13 giugno è stato definito “preventivo”, dal premier Netanyahu, per “ridurre la minaccia iraniana” e salvaguardare la “sopravvivenza” di Israele. L’operazione Leone nascente, quindi, si giustificherebbe perché il governo israeliano ha letto nelle intenzioni dell’Iran un’imminente minaccia nucleare, e ciò in barba alle trattative in corso tra Stati Uniti e Repubblica Islamica, che sarebbero riprese il 15 giugno. Trump, con i suoi cangianti giudizi, come sempre, alla fine ha elogiato l’azione militare israeliana. Qualche altro, come Macron, si allinea con Israele. Sembra che molti capi di Stato abbiano dimenticato il valore della Carta della Nazioni Unite, che interdice il ricorso generalizzato alla forza per risolvere le contese tra gli Stati. E nel nostro caso, occorre notare che “un’azione bellica preventiva, lanciata senza prove evidenti che un’aggressione stia per essere sferrata” solleva gravi interrogativi morali e giuridici (Compendio DSC, n. 501).
C’è sempre tempo e spazio per cercare la pace
In passato, abbiamo visto azioni militari preventive contro l’Iraq di Saddam Hussein, quando si supponeva l’esistenza di armi di distruzione di massa, che poi invece non c’erano. Inoltre, Netanyahu esorta la popolazione iraniana a liberarsi del governo oppressore. Ma osserviamo che si tratta di indebita ingerenza nella sfera di uno Stato sovrano. Come pretendevano gli Stati Uniti, agli inizi del 2000, quando si autoinvestivano della missione di “esportare la democrazia”, ad esempio in Iraq, ovviamente con le armi! Ma la democrazia non si esporta perché non è una merce, infatti essa suppone la formazione e la maturazione delle coscienze dei cittadini, e il tentativo maldestro di esportazione è fallito miseramente, come si è visto. E appunto, in quell’occasione, 16 marzo 2003, Giovanni Paolo II fu l’unico ad alzare la voce per mettere in guardia dalle ricadute negative che si sarebbero avute “durante e dopo le operazioni militari” per le popolazioni dell’Iraq e per l’equilibrio dell’intera regione del Medio Oriente, nonché per gli estremismi che ne sarebbero derivati. E il Papa lanciava un preciso appello: “C’è ancora tempo per negoziare; c’è ancora spazio per la pace; non è mai troppo tardi per comprendersi e per continuare a trattare”. Profeta inascoltato, purtroppo.
Appello alla responsabilità e alla ragione
Leone XIV ha fatto subito sentire la sua voce per fermare questo nuovo conflitto: “In un momento così delicato, desidero rinnovare un appello alla responsabilità e alla ragione”. Il richiamo alla “ragione” ci dice che non si agisce in preda all’istinto o alle passioni, in base a pregiudizi e presupposizioni, ma valutando la realtà delle cose. Inoltre, l’appello alla ragione mi fa pensare alla definizione di guerra di Giovanni XXIII: qualcosa che è al di fuori della ragione (alienum a ratione, vd. Pacem in terris n 67). Pertanto, Leone XIV afferma: “È dovere di tutti i Paesi sostenere la causa della pace, avviando cammini di riconciliazione e favorendo soluzioni che garantiscano sicurezza e dignità per tutti!”.
Alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, dopo la guerra fredda, era iniziato un periodo di distensione in cui si avviò un processo di disarmo nucleare. Oggi vediamo il contrario, salvo a dire che l’Iran non deve avere la bomba atomica. Gli altri, come Israele, invece sì! Ma per Leone XIV: “L’impegno per costruire un mondo più sicuro e libero dalla minaccia nucleare va perseguito attraverso un incontro rispettoso e un dialogo sincero per edificare una pace duratura, fondata sulla giustizia, sulla fraternità e sul bene comune”. Quindi, non è giustificato l’attacco di Israele, appoggiato anche da diversi governi europei, come se l’unica parola per i potenti sia la forza delle armi. Sembra che nei leader guerrafondai vi sia qualche impronta della filosofia di Hegel, secondo cui “una pace durevole” sarebbe dannosa per un popolo, mentre il suo benessere sarebbe garantito dalla guerra, che è “come il movimento dei venti”, necessario per preservare “il mare dalla putrefazione, nella quale lo ridurrebbe una quiete durevole”.
La Dottrina sociale della Chiesa indica una meta alta: il disarmo generale, equilibrato e controllato. Infatti, “la corsa agli armamenti non assicura la pace”, anzi rischia di fomentare altre guerre. Pertanto, “le politiche di deterrenza nucleare, devono essere sostituite con concrete misure di disarmo, basate sul dialogo e sul negoziato multilaterale” (vd Compendio, n. 508). Perché, in definitiva, “mai la guerra può essere considerata un mezzo come un altro, da utilizzare per regolare i contenziosi fra le Nazioni” (Giovanni Paolo II).
Foto AFP/SIR
Il mondo sembra aver dimenticato la Carta delle Nazioni Unite, tant’è che proliferano guerre dappertutto, senza che l’ONU riesca minimamente a influire, anzi la maledetta “clausola del veto” impedisce, di volta in volta, qualunque iniziativa per il raggiungimento della pace. E il Segretario Generale dell’ ONU non può che gridare al vento il suo doloroso rammarico. Piero Sapienza, ancora una volta, dimostra di essere particolarmente sensibile alle problematiche conflittuali di oggi e si richiama, giustamente, alla dottrina sociale della Chiesa, che, al contrario delle posizioni interessate dei vari governi, preoccupati di mantenere, spesso, condizioni di potere, prospetta soluzioni di pace, sollecitando il disarmo generale e non la deterrenza che, comporterebbe, comunque, il riarmo. Bisogna andare, pertanto, oltre qualunque accettazione di guerra “giusta”. Non esistono guerre giuste, superando anche il pensiero di S. Agostino che l’ ammetteva solo per una causa valida, ossia in caso di autodifesa, per garantire i diritti umani o per punire qualche ingiustizia palesemente grave. La via diplomatica è l’ unica che possa dare garanzie, soprattutto per evitare aberranti stragi di civili, di donne e bambini, per i quali oggi piangiamo giornalmente.