di Marcello Di Tora o.p.

La religione islamica adotta il calendario lunare, così come quella ebraica, per cui il giorno è scandito, con il tramonto del sole. L’anno lunare comprende anch’esso dodici mesi, che sono alternativamente di 29 e 30 giorni, ma per un totale di 354 giorni anziché i 365 di quello solare.

Il nono mese, detto Ramadân, che per intenderci inizia ogni anno undici giorni prima del precedente, è quello nel quale Dio prescrive il digiuno assoluto, dall’alba al tramonto, secondo le fondamentali disposizioni contenute nel Corano 2,183-185.

L’introduzione di una sola goccia d’acqua ne interrompe l’osservanza, la quale dovrà essere recuperata quanto prima (se involontaria) col pagamento di due pasti per 60 poveri (se colpevole) È l’aspetto più appariscente dell’islâm, tra i più sentiti e quello per il quale i ritmi delle società islamiche subiscono delle forti trasformazioni così da favorirne la pratica.

Con la testimonianza di testimoni oculari (per la tradizione islamica non è sufficiente il conteggio del calendario), dopo il tramonto del sole, con l’avvistamento della prima falce della nuova luna, inizia il mese del Ramadân.

Anche nelle nostre società occidentali le comunità islamiche saranno impegnate nell’ossequio al precetto divino, e resteremo ammirati dalla loro fermezza nel rispettarne il comando, anche a costo di sacrifici fisici (soprattutto quando cade d’estate), e ciò non può che sollevare interesse e curiosità carica del desiderio di capirne meglio.

Anche in Italia si moltiplicheranno le iniziative per condividere momenti di fraternità e di accoglienza, per crescere nella conoscenza e nel rispetto reciproco, come auspicato anche recentemente dalla Dichiarazione sulla Fratellanza Umana, siglata da Papa Francesco e dall’Iman dell’Al-Azhar A. Al-Tayyeb.

Ma il digiuno (saum) nel mese di Ramadân, che è anzitutto un precetto religioso, sollecita la comunità cristiana a interrogarsi sul significato che esso rappresenta per i musulmani, così da discernere elementi di affinità con la pratica cristiana (della Quaresima), come anche quelli di differenza. Il fatto che cristiani digiunino durante la Quaresima e i musulmani nel mese Ramadân è senz’altro un aspetto comune, che rimanda al valore spirituale della rinuncia, dell’ascesi, del controllo delle proprie passioni, ecc.

E tuttavia le differenze sono altrettanto nette: si tratta di tematizzarle così da evitare facili sincretismi e rispettare le alterità e le specificità delle religioni. Se sono note, o dovrebbero essere, le ragioni del digiuno dei cristiani, vanno esplicitate quelle islamiche.

Anzitutto e primariamente, il saum non ha un orientamento cristico, come nella Quaresima, la quale ricalca le orme di Gesù, che con il suo digiuno per quaranta giorni nel deserto purificò il ricordo della prova di Israele nel deserto. La ragione per la quale si compie il saum è quella di obbedire ad un comando di Dio (Corano 48,19; 3,76 ecc.). L’accento qui è posto sulla volontà e sull’obbedienza. E Dio perdona i peccati e ricompensa con il paradiso.

Sotto il profilo morale, implica una severa disciplina interiore che mira a rafforzare le virtù, abbandonando ogni atteggiamento litigioso. Sotto il profilo sociale, l’atmosfera di festa che regna nelle comunità islamiche dopo il calar del sole, quando sarà lecito condividere il pasto, cementa lo spirito comunitario.

Lo stesso spirito, sostiene e rafforza l’impegno personale: sapere che più di unmiliardo e mezzo di credenti compie lo stesso sforzo è di un aiuto straordinario.

Va evidenziata, infine, la ragione di fondo per la quale, secondo l’islâm, è disceso il comando divino. Nel mese di Ramadân, secondo la tradizione, è stato fatto scendere il Corano dal cielo sugli uomini. Se si dovesse azzardare un’analogia, con le debite, profonde differenze, è con l’Avvento che prepara al Natale. Dunque è l’occasione per ricordare il grande dono del Libro sacro ottenuto per la misericordia divina.

È per questa ragione che i musulmani, oltre alla pratica del digiuno, solo soliti dedicarsi con particolare fervore alla recita del Corano, e molti trascorrono lunghi periodi in moschea proprio per questo. In una parola: è il mese in cui è fortemente sentita la presenza di Dio.

Ebbene, questa devozione, questo fervore, questo porsi al servizio divino, non può che suscitare quella simpatia e quel rispetto da parte dei cristiani (e non), tale da invitare all’imitazione e all’emulazione, secondo la parola coranica: «gareggiate nelle opere buone» (Cor 5,48).

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