di Don Antonino De Maria

Sono stato invitato il 15 gennaio alla lunga diretta televisiva in occasione dei festeggiamenti in onore di San Mauro, patrono di Viagrande e grande discepolo di San Benedetto, per parlare, seppur brevemente come si addice ad una trasmissione televisiva, di san Benedetto, del suo monachesimo e dell’accoglienza di fanciulli nei monasteri, come accadde proprio a Mauro e Placido, santi venerati in due grandi centri della nostra Arcidiocesi. Mi è sembrato importante considerare il contesto storico nel quale nasce l’esperienza benedettina ed alcuni punti del “sistema” benedettino, perché emergesse l’attualità di questa esperienza ancora viva nella Chiesa.

Il periodo storico è caratterizzato da una grande crisi politica e culturale ma anche di un decadimento della vita morale e una fatica della Chiesa a contribuire ad un risanamento della vita. Benedetto, andato a Roma per studiare, trova una città decadente e una chiesa incapace di incisività, in un ambiente politico dominato dai nuovi signori, i Goti, oltretutto ariani. Egli lascia la città alla ricerca di un luogo dove comprendere la sua vocazione e dare forma alla sua sequela di Cristo: non ha certamente un “progetto”, ma si lascia guidare, imparando attraverso degli incontri importanti a lasciare tutto per seguire Dio.

In questa ricerca è accostato all’esperienza monastica che nel IV secolo aveva iniziato i suoi passi e aveva maturato nella esperienza cenobitica quella capacità di educare l’uomo, cioè di far emergere la sua umanità integralmente e in modo equilibrato, come le esperienze di Cassiano e Basilio mostravano. Questa ricerca di un luogo dove “coltivare” l’umano a partire da Cristo diventa l’esperienza di vita comune che, influenzata dalla Regula Magistri, prenderà forma codificata nella sua Regola a Montecassino.

La ricerca di sé richiede il quaerere Deum e il Nihil amori Christi praeponere. Per crescere umanamente occorre vivere cercando Dio e il metodo, la via, è mettere l’amore a Cristo al centro di tutto: Cristo è la via per incontrare Dio e riconoscersi in Lui. Occorre anche un luogo, una casa e una scuola dove abitare stabilmente con Dio, sia in senso fisico che relazionale: il monastero e la comunità monastica, dove l’ordine regolato è a sua volta ordinato a questo farsi educare da Cristo.

Si fugge dal mondo, disorientato, per costruire un mondo orientato a Cristo, non solo all’interno del monastero ma anche a partire dal monastero: l’uomo centrato in Cristo diventa capace di civilizzazione dell’ambiente naturale e umano che lo circonda.

Così il monastero è un punto di riferimento e di umanizzazione non solo per chi ha scelto di vivere dentro le sue mura ma anche per l’ambiente che lo circonda. L’attenzione a che tutto, anche ciò che è di pietra, esprimesse la bellezza dell’amore di Cristo per l’uomo, diventa segno per chiunque cerchi la verità e il bene. La natura è coltivata per l’uomo e la città degli uomini si lascia informare dalla vita ordinata cristianamente dai monaci.

L’Europa si costruisce e prende forma attorno all’esperienza del monachesimo benedettino, perché insegna a vivere il Vangelo per l’uomo rendendo gloria a Dio in ogni aspetto dell’umano: la lode liturgica e la bellezza che essa richiede; lo studio, non fermo alla Scrittura ma capace di custodire secoli di cultura umana e il lavoro come contributo umano alla creazione e alla sua bellezza.

Qualcuno già negli anni sessanta del XX secolo e, poi, nel XXI secolo ( da parte di un certo mondo protestante), ha visto nel metodo Benedetto la possibilità per la Chiesa di offrire un contributo nuovo alla crisi epocale, sociale, culturale, antropologica e, permettetemi di dire, ecclesiale che stiamo vivendo. Benedetto XVI le chiamava piccole comunità ecclesiali dove fosse sempre più chiaro che gli uomini possono trovare nuovi spazi di umanizzazione a partire dall’incontro con Cristo.

Fuori dagli schemi mondani che contrappongono, nella Chiesa, tradizionalisti e progressisti, ognuno dei quali si sente censore dell’altro ma dove Cristo è solo una scusa per affermare una propria visione.

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