di Don Antonino De Maria

Il Santo Padre Francesco con una lettera indirizzata al Card. Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei Cristiani, ricorda il 25° dell’enciclica Ut Unum Sint di San Giovanni Paolo II.

Questa lettera, scritta nel contesto sociale ed ecclesiale che viviamo, ricorda alla Chiesa che la questione dell’unità tra le Chiese e le comunità cristiane divise, non è di importanza secondaria.

Spesso mi accorgo di quanta fatica si faccia a comprendere la rilevanza del problema ecumenico e della necessità di trovare vie per il suo superamento verso un’unità sempre più reale e non solo affermata nei discorsi degli addetti ai lavori. La gravità del fenomeno della divisione ci ha costretti ad uscire dalla riduzione alle categorie della contrapposizione ortodossia-eresia che aveva certamente più senso nel clima più creativo dei primi secoli, quando emergevano diversi cristianismi con dottrine assai divergenti ed era necessario confermare e unificare in una dottrina condivisa quanto l’annuncio evangelico e il parlare di Dio ci aveva comunicato su se stesso e sulla salvezza, quindi anche sull’uomo.

Oggi le chiese ancora divise hanno la consapevolezza di un’unità che li precede e che non possono fare a meno di uscire dal pantano in cui sono affossate dietro questioni importanti, è vero, senza però il coraggio di affrontarle insieme. Il fango del fosso si è attaccato alla vita delle comunità cristiane e appesantisce il loro cammino di reciproco riconoscimento. Nel frattempo la vita non si è fermata e le comunità hanno continuato a camminare da sole. L’anelito al ri-trovarsi fraterno ha suscitato il cammino ecumenico che il Concilio Vaticano II ha riconosciuto come importante e ineludibile.

Il Papa, inserendosi nel tempo Pasquale, proprio all’approssimarsi della Pentecoste, non solo ricorda che questo movimento è sorto per opera dello Spirito santo ma che è proprio lo Spirito l’attore principale del realizzarsi dell’unità della Chiesa (Cfr U.R. 1-2) e che lo Spirito è l’armonia che permette e genera questa unità nella diversità, come ribadisce Ut unum sint: «la legittima diversità non si oppone affatto all’unità della Chiesa, anzi ne accresce il decoro e contribuisce non poco al compimento della sua missione» (n. 50). 

Il Papa riconosce i frutti di questo cammino che richiede pazienza ma anche fede e riconoscenza: “molti passi sono stati fatti in questi decenni per guarire ferite secolari e millenarie; sono cresciute la conoscenza e la stima reciproche, aiutando a superare pregiudizi radicati; si sono sviluppati il dialogo teologico e quello della carità, come pure varie forme di collaborazione nel dialogo della vita, sul piano pastorale e culturale.

In questo momento il mio pensiero va a miei amati Fratelli posti a capo delle diverse Chiese e Comunità cristiane; e si estende a tutti i fratelli e le sorelle di ogni tradizione cristiana che sono i nostri compagni di viaggio. Come i discepoli di Emmaus, possiamo sentire la presenza di Cristo risorto che cammina accanto a noi e ci spiega le Scritture e riconoscerlo nella frazione del pane, in attesa di condividere insieme la Mensa eucaristica.”

Il lavoro del Pontificio Consiglio arricchirà questo travaglio con la pubblicazione di un Vademecum ecumenico proposto ai Vescovi e pronto in autunno.

“«Quanta est nobis via?» (n. 77), “quanta strada ci resta da fare?”. Una cosa è certa: l’unità non è principalmente il risultato della nostra azione, ma è dono dello Spirito Santo. Essa tuttavia «non verrà come un miracolo alla fine: l’unità viene nel cammino, la fa lo Spirito Santo nel cammino» (Omelia nei Vespri, San Paolo fuori le Mura, 25 gennaio 2014). Invochiamo dunque fiduciosi lo Spirito, perché guidi i nostri passi e ognuno senta con rinnovato vigore l’appello a lavorare per la causa ecumenica; Egli ispiri nuovi gesti profetici e rafforzi la carità fraterna tra tutti i discepoli di Cristo, «perché il mondo creda» (Gv 17,21) e si moltiplichi la lode al Padre che è nei Cieli.”

Spesso in commissione regionale sull’ecumenismo e il dialogo interreligioso sentiamo la difficoltà delle nostre Chiese a concepire dentro una pastorale integrata la questione ecumenica che non è più una questione da guardare dall’esterno, da lontano, ma una reale sfida alle nostre comunità. Purtroppo la concezione autoreferenziale delle nostre comunità chiuse in questioni asfittiche da salotto non permette di rendersi conto della questione che il popolo di Dio vive a contatto con modi e forme diverse di vivere la fede.

Uno sguardo più allargato e un respiro più universale permetterebbero alle nostre comunità di uscire dal pantano delle questioni che hanno caratterizzato il parlare e il litigare ecclesiale di questo tempo. Mi auguro che il desiderio del nostro Arcivescovo di una pastorale che sia capace di farsi interrogare dal tempo che viviamo possa compiersi con l’ecumenismo della pastorale e non una pastorale dell’ecumenismo.

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