di Don Antonio De Maria

Prima ancora di pubblicarla e subito dopo la sua pubblicazione, l’enciclica Fratelli tutti (incipit delle Ammonizioni di san Francesco ai frati, 6,1) ha suscitato notevoli critiche, spesso abilmente diffuse sui social – dove l’utente medio legge velocemente senza fare la fatica di andare alle fonti, per partito preso e per adesione incondizionata al magistero di qualche blogger- che, ad una semplice lettura si sciolgono come neve al sole. Il primo antidoto al veleno lanciato sui social è dunque la lettura e la contestualizzazione.

Si tratta infatti di una enciclica sociale indirizzata “a tutte le persone di buona volontà, al di là delle loro convinzioni religiose”[1] e, tuttavia, non un trattato di sociologia ma una vera riflessione cristiana sulla fraternità e sull’amore amicale. Il primo capitolo riprende temi cari a papa Francesco e più volte ribaditi nei suoi discorsi e in generale nel suo magistero e a coloro che tanto criticano il suo insistere sull’accoglienza ai migranti dovrebbe stupire benevolmente la citazione di un discorso di Benedetto XVI nel quale il papa emerito ricordava “il diritto a non emigrare, cioè ad essere in condizione di rimanere nella propria terra”.[2]

Il fondamento biblico e teologico dell’amore fraterno è affrontato nel secondo e nel terzo capitolo: nell’uno, a partire dalla parabola del buon Samaritano, il Papa risale da Genesi attraverso la lettura ebraica del comandamento dell’amore del prossimo, fino al Vangelo e al Nuovo Testamento. Nel terzo capitolo sono i dottori e i Padri della Chiesa a spiegare il comandamento, soprattutto san Tommaso d’Aquino e mi permetto di citare due testi, tratti dai due capitoli:

85. Per i cristiani, le parole di Gesù hanno anche un’altra dimensione, trascendente. Implicano il riconoscere Cristo stesso in ogni fratello abbandonato o escluso (cfr Mt 25,40.45). In realtà, la fede colma di motivazioni inaudite il riconoscimento dell’altro, perché chi crede può arrivare a riconoscere che Dio ama ogni essere umano con un amore infinito e che «gli conferisce con ciò una dignità infinita».[61] A ciò si aggiunge che crediamo che Cristo ha versato il suo sangue per tutti e per ciascuno, e quindi nessuno resta fuori dal suo amore universale. E se andiamo alla fonte ultima, che è la vita intima di Dio, ci incontriamo con una comunità di tre Persone, origine e modello perfetto di ogni vita in comune. La teologia continua ad arricchirsi grazie alla riflessione su questa grande verità.

86. A volte mi rattrista il fatto che, pur dotata di tali motivazioni, la Chiesa ha avuto bisogno di tanto tempo per condannare con forza la schiavitù e diverse forme di violenza. Oggi, con lo sviluppo della spiritualità e della teologia, non abbiamo scuse. Tuttavia, ci sono ancora coloro che ritengono di sentirsi incoraggiati o almeno autorizzati dalla loro fede a sostenere varie forme di nazionalismo chiuso e violento, atteggiamenti xenofobi, disprezzo e persino maltrattamenti verso coloro che sono diversi. La fede, con l’umanesimo che ispira, deve mantenere vivo un senso critico davanti a queste tendenze e aiutare a reagire rapidamente quando cominciano a insinuarsi. Perciò è importante che la catechesi e la predicazione includano in modo più diretto e chiaro il senso sociale dell’esistenza, la dimensione fraterna della spiritualità, la convinzione sull’inalienabile dignità di ogni persona e le motivazioni per amare e accogliere tutti.”

È chiaro che la proposta cristiana non può essere confusa con una generica esortazione all’amore universale. E questo è ancor più chiaro nel terzo capitolo:

91. Le persone possono sviluppare alcuni atteggiamenti che presentano come valori morali: fortezza, sobrietà, laboriosità e altre virtù. Ma per orientare adeguatamente gli atti delle varie virtù morali, bisogna considerare anche in quale misura essi realizzino un dinamismo di apertura e di unione verso altre persone. Tale dinamismo è la carità che Dio infonde. Altrimenti, avremo forse solo un’apparenza di virtù, e queste saranno incapaci di costruire la vita in comune. Perciò San Tommaso d’Aquino – citando Sant’Agostino – diceva che la temperanza di una persona avara non è neppure virtuosa.[69] San Bonaventura, con altre parole, spiegava che le altre virtù, senza la carità, a rigore non adempiono i comandamenti «come Dio li intende».[70]

92. La statura spirituale di un’esistenza umana è definita dall’amore, che in ultima analisi è «il criterio per la decisione definitiva sul valore o il disvalore di una vita umana».[71] Tuttavia, ci sono credenti che pensano che la loro grandezza consista nell’imporre le proprie ideologie agli altri, o nella difesa violenta della verità, o in grandi dimostrazioni di forza. Tutti noi credenti dobbiamo riconoscere questo: al primo posto c’è l’amore, ciò che mai dev’essere messo a rischio è l’amore, il pericolo più grande è non amare (cfr 1 Cor 13,1-13).

93. Cercando di precisare in che cosa consista l’esperienza di amare, che Dio rende possibile con la sua grazia, San Tommaso d’Aquino la spiegava come un movimento che pone l’attenzione sull’altro «considerandolo come un’unica cosa con sé stesso».[72]L’attenzione affettiva che si presta all’altro provoca un orientamento a ricercare gratuitamente il suo bene. Tutto ciò parte da una stima, da un apprezzamento, che in definitiva è quello che sta dietro la parola “carità”: l’essere amato è per me “caro”, vale a dire che lo considero di grande valore.[73] E «dall’amore per cui a uno è gradita una data persona derivano le gratificazioni verso di essa».[74]

94. L’amore implica dunque qualcosa di più che una serie di azioni benefiche. Le azioni derivano da un’unione che inclina sempre più verso l’altro considerandolo prezioso, degno, gradito e bello, al di là delle apparenze fisiche o morali. L’amore all’altro per quello che è ci spinge a cercare il meglio per la sua vita. Solo coltivando questo modo di relazionarci renderemo possibile l’amicizia sociale che non esclude nessuno e la fraternità aperta a tutti.” Ma più avanti diventa esplicito:    99. L’amore che si estende al di là delle frontiere ha come base ciò che chiamiamo “amicizia sociale” in ogni città e in ogni Paese. Quando è genuina, questa amicizia sociale all’interno di una società è condizione di possibilità di una vera apertura universale. Non si tratta del falso universalismo di chi ha bisogno di viaggiare continuamente perché non sopporta e non ama il proprio popolo. Chi guarda il suo popolo con disprezzo, stabilisce nella propria società categorie di prima e di seconda classe, di persone con più o meno dignità e diritti. In tal modo nega che ci sia spazio per tutti. 100.

Neppure sto proponendo un universalismo autoritario e astratto, dettato o pianificato da alcuni e presentato come un presunto ideale allo scopo di omogeneizzare, dominare e depredare. C’è un modello di globalizzazione che «mira consapevolmente a un’uniformità unidimensionale e cerca di eliminare tutte le differenze e le tradizioni in una superficiale ricerca di unità. […] Se una globalizzazione pretende di rendere tutti uguali, come se fosse una sfera, questa globalizzazione distrugge la peculiarità di ciascuna persona e di ciascun popolo».[78] Questo falso sogno universalistico finisce per privare il mondo della varietà dei suoi colori, della sua bellezza e in definitiva della sua umanità. Perché «il futuro non è “monocromatico”, ma, se ne abbiamo il coraggio, è possibile guardarlo nella varietà e nella diversità degli apporti che ciascuno può dare. Quanto ha bisogno la nostra famiglia umana di imparare a vivere insieme in armonia e pace senza che dobbiamo essere tutti uguali!».[79]

Questa presentazione sta diventando troppo lunga: ho cercato di darvi le chiavi per leggere il testo. Buona lettura.


[1] Papa Francesco, Fratelli tutti, II, 56.

[2] Benedetto XVI, Messaggio per la 99 Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, (12 ottobre 2012), AAS  104 (2012), 908. Citato al n 38 dell’enciclica.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *