di Filadelfio Grasso

Sugnu Catanisi e mi la vantu: lu fistinu a Catania è spaventu!  Poche parole di un poeta dialettale che esprimono pienamente la spettacolarità e l’imponenza della festa di sant’Agata nella città etnea. Una magnificenza che per diversi giorni catalizza le emozioni e la vita di migliaia di persone trovando espressione in rituali antichi e suggestivi.

Suoni, gesti, e perfino odori e sapori che coinvolgono totalmente i sensi di chi si trova nei primi giorni di febbraio a Catania e manifestano pienamente la devozione e l’affetto nei confronti di questa fanciulla che nei primi secoli del cristianesimo diede testimonianza della sua fede in Cristo e con coraggio e mitezza affrontò la dura prova del martirio.

A Lei, quale mediatrice verso la Misericordia divina, si sono rivolte generazioni di fedeli che hanno chiesto protezione da terremoti ed eruzioni vulcaniche, da epidemie e guerre, e hanno pregato per i tanti drammi individuali o collettivi che l’esistenza presenta.

In Lei, i devoti hanno sempre visto la sorella nella fede, la compagna nel viaggio della vita, l’avvocata nelle prove più dure.

Quindi a Lei, ogni anno, i cittadini tributano quella che è una delle feste più grandi e solenni del mondo.

Esprimere la propria fede

La fede popolare è fatta di gestualità, di espressività del corpo, di coinvolgimento dei sensi.

La liturgia ufficiale, impostata prevalentemente su un livello razionale delle celebrazioni, ha codificato questi elementi di cui sono ricche le celebrazioni (per esempio nella messa sono presenti diversi gesti rituali come l’inginocchiarsi, il segnarsi, l’alzarsi in piedi e il sedersi, il muoversi processionalmente, e poi cantare, rispondere alle acclamazioni, ecc.) sapendo che favoriscono una piena partecipazione a ciò che viene celebrato.

Storicamente, le prime forme di preghiera non sono intese come formule ma come rituali che facevano uso di segni, parole e azioni, poiché tutto il corpo doveva entrare in simbiosi con il divino e prendere parte alla sua “onnipotenza”.

Inoltre, la periodicità di alcune celebrazioni collettive ha sempre avuto, oltre al carattere specificatamente sacro, anche lo scopo di accrescere e rinnovare nel gruppo il senso di appartenenza e dell’unione sociale.

Nei secoli tutto ciò ha subito una sorta di ovvia purificazione o, come dice A. Sorrentino, ha avuto “una naturale fecondazione spirituale”.

La pandemia, motivo di paura

Ma, da un anno il mondo è messo a dura prova da un nemico che si è presentato non come il grande mostro, brutto e cattivo, da sempre rappresentato nella fantasia di tutti, ma come qualcosa di infinitamente piccolo, capace di insinuarsi tra gli esseri umani insidiandone, tra l’altro, una delle caratteristiche più preziose: l’affettività che si rivela nella relazione, nella condivisione fatta di vicinanza, di abbracci e di tanto altro ancora.

Il virus del Covid 19 continua a fare vittime in tutto il mondo: malati, morti, e intere famiglie colpite i cui membri non possono nemmeno aiutarsi per paura del contagio. In Italia quasi due milioni e cinquecentomila i colpiti dall’inizio della pandemia, con oltre ottantacinquemila morti. Un vero bollettino di guerra che non lascia spazio a considerazioni che si discostino dalla prudenza e dal rispetto delle norme.

Nuove forme di espressione

Ma i sentimenti non cambiano. Non possono cambiare. Anzi ci viene detto che quanto più si vuole sopprimere una emozione, tanto più essa si manifesta trovando anche strategie diverse per venire fuori. Come manifestare, allora, la propria venerazione a sant’Agata, in questi giorni tristi e insoliti?

Il pastore della Chiesa di Catania, Mons. Salvatore Gristina, facendosi interprete degli animi dei fedeli che richiedono espressione, partecipazione e coinvolgimento, ha dato dei suggerimenti, indicando alcuni modi per vivere la devozione alla santa patrona tenendo conto delle restrizioni legate alla pandemia.

Il primo è recarsi alla celebrazione eucaristica presso la chiesa più vicina, per dare il massimo culto a Dio e venerare sant’Agata. La partecipazione alla messa consentirà di sentirsi parte di una Comunità (la Chiesa), uniti a tutti coloro che in luoghi diversi parteciperanno alla stessa celebrazione del giorno di festa, svolgendo anche il “piccolo pellegrinaggio” che da casa porterà all’edificio sacro più prossimo.

Poi l’arcivescovo ha suggerito la preghiera all’interno delle mura domestiche, magari davanti a una immagine di sant’Agata adornata in un altare casalingo. Questa pratica ha anche una precisa motivazione: vivere la fede con i propri cari, ribadendo la sacralità della famiglia, dove purtroppo si apprende che sempre più spesso avvengono i drammi più atroci.

Un utile strumento, che abbiamo imparato ad apprezzare in questi mesi, sarà senz’altro internet e i social media. Si potrà, infatti, vivere la dimensione comunitaria della festa collegandosi anche ai vari canali per partecipare alle celebrazioni che dalla Cattedrale saranno presiedute dall’arcivescovo e consentiranno a tutti, sebbene distanti fisicamente, di sentirsi uniti alla Santa Patrona, ai fratelli devoti e a tutta la Chiesa.

Infine, un ultimo suggerimento: accendere un lumino, la cui fiammella sarà testimonianza di fede, di valori cristiani e di devozione a sant’Agata. Quella fiamma rappresenterà la presenza di Cristo che deve brillare in ogni casa.

Una ritualità modificata dal contesto che stiamo vivendo, trasformata e ridimensionata ma che potrà offrirci opportunità di crescita, di maturità personale e collettiva. E se la voce, quest’anno, non potrà esprimere pienamente i sentimenti di fede che i devoti provano nei confronti della loro santa concittadina, sicuramente il cuore saprà gridare forte “Cittadini, evviva sant’Aita”.

E la Santuzza dal cielo ascolterà.

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