di Don Antonio De Maria

La Congregazione aveva già affrontato il problema morale dell’omosessualità nel 1975, in piena rivoluzione sessuale, ponendo dei principi: l’atteggiamento comprensivo nei confronti della condizione omosessuale e la prudenza nel giudizio circa la colpevolezza degli atti omosessuali. Che, privati della loro finalità essenziale e indispensabile (comprensibile solo alla luce di una visione globale dell’antropologia e della sessualità) venivano descritti come intrinsecamente disordinati, cioè non ordinati al fine della sessualità nella sua integralità. Ciò conduce a pensare che una inclinazione (l’omosessualità) pur non essendo in sé peccato, poiché tende in un modo più o meno accentuato a realizzarsi in atti intrinsecamente disordinati sia oggettivamente disordinata. Significa che la persona omosessuale dev’essere consapevole che il suo concretizzarsi nelle relazioni omosessuali non è un’opzione moralmente accettabile.

Il linguaggio è, per quanto possibile, delicato per quanto chiaro che se non bisogna colpevolizzare la persona con inclinazione omosessuale, tuttavia, gli atti sessuali con persone dello stesso sesso sono immorali.

Queste affermazioni vanno ancor più contestualizzate e motivate. Il primo contesto è interecclesiale per la presenza di tendenze esegetiche che negano che la Scrittura si interessi dell’omosessualità o affermano che le prescrizioni morali siano condizionate culturalmente e storicamente; quando addirittura non si affermi che la Scrittura tacitamente approverebbe.

La Congregazione, rifacendosi a DV 12, riconosce i condizionamenti storici e culturali e afferma che lo stesso Nuovo Testamento si trova in condizioni diverse rispetto alle scritture ebraiche ma afferma: “Dev’essere tuttavia rilevato che, pur nel contesto di tale notevole diversità, esiste un’evidente coerenza all’interno delle Scritture stesse sul comportamento omosessuale. Perciò la dottrina della Chiesa su questo punto non è basata solo su frasi isolate, da cui si possono trarre discutibili argomentazioni teologiche, ma piuttosto sul solido fondamento di una costante testimonianza biblica. L’odierna comunità di fede, in ininterrotta continuità con le comunità giudaiche e cristiane all’interno delle quali le antiche Scritture furono redatte, continua a essere nutrita da quelle stesse Scritture e dallo Spirito di Verità di cui esse sono Parola. È egualmente essenziale riconoscere che i testi sacri non sono realmente compresi quando vengono interpretati in un modo che contraddice la Tradizione vivente della Chiesa. Per essere corretta, l’interpretazione della Scrittura dev’essere in effettivo accordo con questa Tradizione.

Il Concilio Vaticano II così si esprime al riguardo: « È chiaro dunque che la Sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti da non poter indipendentemente sussistere, e tutti insieme, secondo il proprio modo, sotto l’azione di un solo Spirito Santo, contribuiscono efficacemente alla salvezza delle anime» (Dei Verbum, n. 10). Alla luce di queste affermazioni viene ora brevemente delineato l’insegnamento della Bibbia in materia.” (n. 5).

Già la Genesi esprime un’antropologia che vede nella complementarietà ed unità dei sessi il proprio dell’uomo e della sua relazione con il Creatore: “Egli crea a sua immagine e somiglianza l’uomo, come maschio e femmina. Gli esseri umani perciò sono creature di Dio, chiamate a rispecchiare, nella complementarietà dei sessi, l’interiore unità del Creatore. Essi realizzano questo compito in modo singolare, quando cooperano con lui nella trasmissione della vita, mediante la reciproca donazione sponsale.” Questa visione descrive il carattere di alleanza dell’uomo con Dio e delle persone tra di loro e il carattere sponsale del corpo. Visione oscurata dal peccato originale. La condizione omosessuale (per quanto questo possa non trovare la nostra sensibilità in accordo) è motivo di esclusione dal popolo come è detto in Lev 18, 22 e 20,13. E su questo sfondo san Paolo sviluppa una prospettiva escatologica negando l’accesso al Regno a coloro che compiono atti omosessuali. Questo comportamento è un segno della caduta dell’umano a causa del peccato originale. È l’idolatria il fondamento di ogni eccesso immorale. E la Chiesa celebra nel sacramento del matrimonio “il disegno divino dell’unione amorosa e donatrice di vita dell’uomo e della donna. È solo nella relazione coniugale che l’uso della facoltà sessuale può essere moralmente retto. Pertanto una persona che si comporta in modo omosessuale agisce immoralmente. Scegliere un’attività sessuale con una persona dello stesso sesso equivale ad annullare il ricco simbolismo e il significato, per non parlare dei fini, del disegno del Creatore a riguardo della realtà sessuale. L’attività omosessuale non esprime un’unione complementare, capace di trasmettere la vita, e pertanto contraddice la vocazione a un’esistenza vissuta in quella forma di auto-donazione che, secondo il Vangelo, è l’essenza stessa della vita cristiana. Ciò non significa che le persone omosessuali non siano spesso generose e non facciano dono di se stesse, ma quando si impegnano in un’attività omosessuale esse rafforzano al loro interno una inclinazione sessuale disordinata, per se stessa caratterizzata dall’autocompiacimento.” (n. 7)

È chiaro il contesto antropologico (di antropologia teologica) nel quale si inserisce la questione della valutazione morale degli atti omosessuali. E si afferma susseguentemente che respingendo dottrine erronee sull’omosessualità intende difendere la libertà e la dignità della persona, in modo realistico e autentico. Non ci sono tanti uomini o generi di uomini quante sono le tendenze sessuali se non come “fenomeni”[1] dell’umano: l’uomo è uno e l’omosessuale non è un “altro” uomo. Anch’egli in quanto uomo partecipa e vive questa unità e complementarietà dell’umano, questa realtà sponsale dell’umano. A differenza di quella banalizzazione dell’umano che vede nel maschile e nel femminile aspetti dell’individuo che sarebbe androgino in sé e quindi nella tendenza sessuale il prevalere di uno o dell’altro aspetto, l’antropologia cristiana vede l’alterità come differenza reale e comunionale. Il maschile e il femminile caratterizzano biologicamente e psicologicamente due individui, due persone che si cercano per compiersi, per essere “uno”. Anche gli omosessuali vivono questa duplicità del maschile e del femminile e tendono alla comunione, affettiva e sessuale, seppure questa ricerca si muove non verso un’alterità ma verso un “omo”, un simile, un uguale.      Questo significa la definizione “inclinazione sessuale disordinata”: non sono figli del demonio.

Va detto che non si tratta di contrapporre etero e omo sessualità ma di considerarle nel contesto di una visione globale della persona. In entrambi i casi l’esperienza della caduta originale inficia ciò che è nel piano del Creatore e richiede una conversione in forza della grazia della Redenzione, del dono dello Spirito nella Chiesa. L’uomo non vive attualmente, nella fenomenologia dei suoi comportamenti, la pienezza di questo orientamento sponsale, di questa comunione unitaria nell’alterità dell’incontro: per questo viene chiamato peccato e quindi bisognoso di redenzione ogni comportamento che si allontani da questa sua realtà essenziale. Quando lo sposo tradisce la sposa o quando un uomo si unisce ad un altro uomo, ciò che è “tradito” non è solo l’altro ma la verità di sé; se volete anche quando l’uomo tradisce l’amico o l’amica, perché l’amicizia è una forma alta di comunione, di questa fenomenologia comunionale dell’essere dell’uomo.

Un prossimo articolo ci permetterà di andare avanti nella lettura del testo e di aggiungere quanto il magistero successivo ha espresso e la dichiarazione della CEI sul DDL Zan.


[1] Cioè aspetti osservabili dell’umano

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *