di Don Antonino De Maria

Non mi è mai piaciuto vivere nel sicuro al chiuso della mia casa o della mia chiesa in attesa che la gente venga da me a partecipare alle mie iniziative religiose. Lo stile del supermarket del sacro raggiunge quei sempre più pochi che abitano le nostre chiese, i nostri riti; il ripetersi stanco delle consuetudini che soffocano la vita dentro la muffa del “si è sempre fatto così” così menzognero per chi ha almeno un po’ di cognizione della storia della Chiesa. Tutto ha avuto un inizio non necessariamente in tempi apostolici ma in risposta a ciò che lo Spirito diceva alla Chiesa in quel dato momento, in quel frangente della vita. Hanno prodotto frutti ma, a volte, hanno smesso di farlo, perché le circostanze, le domande dello Spirito hanno atteso inutilmente orecchie capaci di ascoltare.

Nella mia giovinezza ho incontrato nel quartiere popolare di Picanello le Piccole suore dell’Assunzione, la mitica suor Loreta che con la sua macchina postbellica entrava nelle case delle famiglie povere per una iniezione o per dare una mano dove la malattia e la fatica lo richiedevano. Il loro andare era discreto come il loro abito eppure nessuno dubitava del loro status e della loro fede. A Milano dovevano smettere quell’abito perché il pregiudizio chiudeva le porte eppure entrando nelle case portavano Cristo che lavava i piatti, faceva da mangiare, asciugava le lacrime dei piccoli, aiutava i malati. Anche loro trovavano forza nella preghiera, nell’adorazione, ma la loro casa era il luogo dove tornare dopo essere state sulla strada accanto agli uomini.

Capita quando vai al bar a fare colazione o tra le bancarelle della fiera sentire i commenti della gente, i loro sguardi non sempre benevoli: eppure non mi sono mai sentito estraneo e nel lasciarmi afferrare da quegli sguardi ascoltavo, non fuggivo, non mi lasciavo intimorire, restavo lì a salutare, a prendere il caffè e a rispondere alle battute. Tutti sanno chi sono e dove abito o dove possono raggiungermi: e vengono per essere ascoltati. Sanno che se mi parleranno male di qualcuno non li sgriderò ma cercherò di portarli altrove, dove il risentimento si smonta, le chiacchiere perdono fascino. “Grazie che hai avuto tempo per me”. Può darsi che a volte questo tempo non è quello che tu hai deciso, ma il tempo si trova: un tempo dove tornare e trovare spazio.

Iniziamo in questo periodo il tempo diocesano del Sinodo dei Vescovi: qualcuno si aspetta molte iniziative, molto parlare di argomenti che interessano poi, alla fine, gli stessi che parlano sempre e riempiono di chiacchiere le nostre assemblee. Anche questo va bene, forse. Eppure credo che il Papa ci inviti a camminare tra la gente che non sa come farsi ascoltare, per la strada, dove fai la spesa ( a volte mi capitava di vedere lo stupore stampato in faccia e poi le parole: Che ci fa lei qui? E la mia risposta: Lo stesso che ci fa lei; faccio la spesa); al bar dove ci si può sedere e fare amicizia con gente che semplicemente passa tra le fosse della vita quotidiana. Non dobbiamo avere paura del mondo ma non è nemmeno necessario andarci in talare: basta andarci con il cuore e la fede.

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