di Don Antonino De Maria

Passare dalle suggestioni della teologia della comunione, che immediatamente suggeriscono vie di ripensamento della prassi delle nostre comunità ecclesiali, all’ambito della Chiesa locale non è semplice. Ancora la Chiesa diocesana è percepita e vissuta come una struttura istituzionale, una sorta di involucro di cemento che invece di incrementare la vita difendendone l’unità, sembra estranea alle dinamiche che altrimenti sono più evidenti nelle comunità più piccole: parrocchie, movimenti, gruppi. Tutto questo ha una storia alle spalle che dal Concilio di Trento, che fonda le parrocchie, arriva al Concilio Vaticano II. Un percorso irto di fraintendimenti e di frenate: poiché la parrocchia è pensata secondo lo schema della giurisdizione che ricalca una struttura gerarchizzata e verticistica che sempre più prende il sopravvento e elimina quanto ancora resta della poliedricità delle Chiese locali con le loro liturgie e i loro momenti di comunione come i sinodi locali. Gradualmente si è passati dalla vita sinodale delle chiese locali dell’epoca patristica alla più marcata accentuazione del primato romano e della struttura centralistica che ne consegue. Le circostanze storiche di questo spostamento sono diverse e richiedono un più vasto approfondimento.

   Il Concilio Vaticano I non riesce a esprimere per motivi legati ai cambiamenti politici del suo tempo un equilibramento tra primato ed episcopato, tra Chiesa universale e Chiesa locale, che già si sviluppava però nella teologia romantica impegnata a riscoprire la chiesa dei Padri. A questo va aggiunto il ritardo nell’attuazione del Concilio di Trento che prevedeva il formarsi delle parrocchie, in molte diocesi, compresa la nostra. Da noi occorre aspettare il XX secolo perché esse vengano fondate. Ma la mentalità è vecchia nonostante i grandi movimenti che dalla teologia porteranno al Concilio Vaticano II nel quale la concezione della Chiesa-comunione si afferma in pienezza come ribadito dal II Sinodo straordinario dei Vescovi del 1985. Da Paolo VI a Papa Francesco la Chiesa ha vissuto momenti forti di comunione sia a livello universale che regionale o continentale suscitando anche strutture nuove di reciproco ascolto e condivisione come il Celam per l’America Latina e la CCEE per l’Europa che permise al suo sorgere il superamento e l’ascolto reciproco delle Chiese segnate dalla divisione dei due blocchi: così le Chiese occidentali hanno potuto comprendere meglio la sofferenza e il vissuto delle Chiese che vivevano oltre la Cortina di Ferro, e a livello più basso i consigli pastorali, parrocchial e vicariali e diocesani; il sorgere delle Consulte dei laici etc.

Papa Francesco ha iniziato un processo che va ancora più in profondità perché invita a interrogarsi dal basso, a comprendere come lo Spirito guida la Chiesa in ogni suo ambito.

Questo processo risente di molti ritardi, di molte resistenze, visibili ancora oggi, nonostante i tentativi anche della CEI di ripensare la vita delle comunità sia in relazione al Vaticano II sia al contesto mutevole e variabile nel quale la Chiesa vive ed è chiamata ad annunciare il Vangelo.

Questo abbozzo, necessariamente incompleto, serve da introduzione ad un’analisi più puntuale che con molto rispetto cercherò di fare circa i punti di forza e di debolezza del nostro attuale vissuto ecclesiale. Alcune questioni sono già presenti in questa presentazione ma occorre dare anche spazio ai grandi doni che lo Spirito ha suscitato nella nostra Chiesa locale.

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