di Don Antonino De Maria

In questo tempo convulso nel quale si fa fatica a dividere interessi, limitazioni pandemiche e devozione (sempre pronti a dire: altrove si può; perché per sant’Agata no?) le parole del nuovo arcivescovo Luigi ripropongono una questione seria: “«In questi momenti, anche se mancano dei segni, la nostra fede non deve venir meno. Anzi, ora la nostra fede somiglia di più a quella di Agata, testimone di Gesù Cristo in un tempo difficile. Per Lei c’era la persecuzione; per noi il tempo difficile è la pandemia, e, la fede è luce. Qui a Cerignola abbiamo vissuto la stessa difficoltà per la Madonna di Ripalta, un’antica Icona del XIII secolo molto venerata. Ma la fede non è venuta meno attraverso due forme: la preghiera personale, intima, e la partecipazione all’eucarestia. Gesù dice: “Chiudi la camera e prega il Padre tuo nel segreto, e Lui ti ascolterà”. La partecipazione all’eucarestia possiamo viverla nelle forme idonee, nelle parrocchie. Sant’Agata ci sarà vicina». 

Conosce la festa di Sant’Agata a Catania? 

«Ho visto in foto la presenza del popolo che guarda alla Santa, testimone di Cristo, come punto di riferimento. Quindi mi sono rallegrato. Papa Francesco invita a vedere dietro la religiosità popolare, la spiritualità semplice di chi si affida al Signore. Però mi interrogo e dico: dopo i giorni della festa deve rimanere l’imitazione di questa donna, che ha seguito Gesù Cristo, perché è Lui il fulcro della nostra fede ». [1]

La questione seria è la fede, cioè la verità stessa, il fondamento stesso di quel punto di riferimento che è Agata, non solo per i Catanesi ma per tutta la Chiesa Cattolica.

Staccare la testimonianza di Agata, la sua storia umana, dalla ragione della sua stessa vita che è Cristo, è un vero sacrilegio e rende incomprensibile la sua vita stessa.

Se ciò che ci attrae è la libertà di una donna di fronte ad un tiranno, questa non dipende da una forza di carattere ma dalla radicalità del suo rapporto con Cristo: “Io sono di Cristo” è il fondamento del mio essere, della visione della mia vita e quindi della mia libertà di fronte a chiunque voglia impedirmi di essere me stessa. La fede è questo riconoscimento di Cristo come il centro di tutto, Colui che mi salva da ogni schiavitù rendendomi libero per una dignità che non è svendibile. Nessuno ama l’uomo come Lui senza chiedere nulla in cambio. Questa è la luce che attraverso Agata attrae, chiama nella certezza che in Lui tutto è nuovo e vero perciò assolutamente libero.

 Il grande rischio che il popolo dei “devoti”, insieme a tutta la Chiesa, corre continuamente è proprio questo: tralasciare questo legame per fermarsi ad una donna alla quale ci sentiamo legati solo affettivamente. E questo è come tradirla, come consegnarla di nuovo ad un di meno, transitorio rapporto sentimentale.

Questa è anche la vera “tradizione”: tradizione è ciò che ci viene consegnato. E la fede della comunità cristiana ha custodito la testimonianza di Agata consegnandola alle generazioni successive.

Invece molto spesso chiamiamo tradizione cose che crediamo sacralizzate da una lunga consuetudine: in realtà ciò è anti storico. La festa, le candelore, il sacco, il percorso della festa sono elementi che nel tempo hanno subito mutazioni e che difficilmente potremmo far risalire oltre il XIV secolo e con molte varianti. I Padri nostri hanno vissuto in modi diversi questo consegnare (tradere-tradizione) nei secoli, cominciando dal diffondersi della notizia del suo martirio come sostegno alle comunità perseguitate. Ogni martire costituisce per la nostra vita cristiana un caso serio. Una richiesta di imitazione e quindi un bisogno di crescere nella fede come vita, come visione di noi stessi e del bene verso l’umano e nell’umano. Il martire ci dice continuamente: In che modo il tuo essere cristiano decide della tua vita, delle tue scelte, dei tuoi valori, di ciò che è decisivo e come questo riguarda tutti e va annunciato perché ogni uomo conosca Cristo?

Se oggi la pandemia limita il nostro modo di esprimere la devozione, la festa, con il desiderio di ritornare alla normalità, a quei segni che esprimono questo tempo, non può impedirci di vivere la fede che si nutre della Parola di Dio, dell’Eucarestia che è anche il mistero della Chiesa, che è compagnia nella fede; la preghiera vissuta personalmente e in famiglia permette ancora di affidare le nostre gioie e le nostre lacrime a Colui che ha vinto la morte e in Lui a tutti i fratelli che nel martirio hanno vinto insieme e alla cui famiglia apparteniamo. W. Sant’Agata.


[1] Intervista tratta da La Sicilia del 25 gennaio 2022 – Sonia Di Stefano

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