Il “Memorial Rosario Livatino Antonino Saetta – Gaetano Costa”, giunto alla XXVII edizione, quest’anno è stato celebrato nella città di Enna, all’auditorium “Falcone – Borsellino” del Palazzo di Giustizia. L’evento è dedicato al riconoscimento dell’impegno sociale e di chi contribuisce con coraggio nella lotta alla mafia. Alla cerimonia ha preso parte anche l’Arcivescovo di Catania Mons. Luigi Renna, del quale si riporta il suo intervento:

L’azione pastorale di Don Tonino bello si colloca, in quanto Vescovo di Molfetta – Ruvo – Giovinazzo – Terlizzi e Presidente nazionale di Pax Christi, in un periodo di ascesa della criminalità organizzata in Puglia, tra gli anni 80 e 90. Pare che la Sacra Corona Unita sia nata nel carcere di Bari, dove alcuni detenuti per reati di mafia e camorra, “fiutando” gli affari che potevano essere realizzati soprattutto lungo le coste pugliesi, si unirono nel sodalizio criminale.

Il fatto più eclatante di criminalità davanti al quale si trovò fu l’omicidio di Giovanni Carnicella a Molfetta, ma la sua sensibilità per il problema mafioso assunse uno stile pastorale fatto di coinvolgimento sul dibattito che in alcune regioni italiane era già molto avanti. Infatti Don Tonino invitò Nando dalla Chiesa a presentare il suo libro “Delitto imperfetto”, così come anche fu invitato a Molfetta Danilo dolci e infine il Sindaco di Palermo Leoluca Orlando, per analizzare e discutere del suo operato nel capoluogo siciliano. Al convegno che si tenne a Cosenza il 30 aprile 1992 sul tema “Presenza della Chiesa e lotta alla mafia”, egli inviò il messaggio “La profezia oltre la mafia”.

Nel clima in cui prendeva forma la criminalità organizzata pugliese, desiderosa di entrare a far parte della Nuova Camorra Organizzata, e riunitasi a Lucerna nel gennaio 1979 con esponenti della ‘Ndrangheta e Cosa Nostra, la Chiesa pugliese sentiva ancora molto lontana la problematica, anche se una delle voci più attente alla dimensione sociale, era quella del Vescovo di Ugento – Santa Maria di Leuca, Monsignor Michele Mincuzzi.

Don Tonino Bello non rimase “chiuso” nel nella penisola salentina, né in una Puglia che non si era ancora accorta del fenomeno mafioso che covava nel suo grembo, ma, grazie anche al Movimento “Pax Christi” di cui era Presidente, intervenne con la sua parola efficace e profetica sulle tematiche della criminalità. Cita una frase di Théophile Gautier: “Se vuoi essere universale, parlami del tuo villaggio”, ed egli unisce quell’attenzione al “globale” che non trascura il “locale”.

In “Profezia oltre la mafia”, il messaggio inviato in occasione del conferimento “Premio per la pace “Pax Christi International” all’Osservatorio Meridionale di Reggio Calabria, fa una analisi molto lucida del fenomeno mafioso. Scrive: «Prima di tutto è impazzita la legge (nomos) che regola la condizione della casa (oikia). È saltata l’eco – nomia. Si è stravolta l’eco – torah. Le regole di condotta, indispensabili in ogni ordinata società, sono state soppiantate da altre regole che privilegiano la forza sulla giustizia, l’arbitrio sul diritto, il “fai da te” sugli articoli di legge, il “self service” normativo sulle stanze del bene comune legittimamente codificate». L’analisi su quello che è accaduto nelle coscienze e dilagato negli stili di vita, poggia su dati incontrovertibili, che egli cita in quel discorso del 1992.

Il fatturato annuo di illegalità è pari a quello della Fiat: 50.000 miliardi. L’industria mafiosa, insomma, è quella che tira di più.

Si stima che il 25% delle attività economiche nelle città più grandi del meridione (Napoli, Salerno, Reggio Calabria, Catania, Bari) è controllato direttamente dalle organizzazioni mafiose. Il 45% è controllato indirettamente solo il 30% è davvero “economia”, rientra cioè nelle leggi ordinate della casa comune.

In alcuni casi anche queste cifre saltano: per esempio, si vanta che a Reggio Calabria il 90% dell’attività edilizia, e a Catania il 90% dell’attività della concia delle pelli, sono gestite da lobby di stampo mafioso.

Mi fermo qui. Ma non c’è nessuno che non veda come non solo siamo all’età dell’erba pervasiva, ma anche quello delle acque del caos primordiale.

Don Tonino è un uomo attento a quello che accade nel mondo, ma anche al magistero della Chiesa, che in quegli anni, in Italia, aveva prodotto un documento, attraverso la commissione “Iustitia et Pax”, dal titolo “Educare alla legalità”. Don Tonino cita ampi stralci di quel documento, che voglio ripetervi in parte:

«Ancora più preoccupante è la presenza di una forte criminalità organizzata fornita di ingenti mezzi finanziari e di collusive protezioni, che spadroneggia in varie zone del paese, impone la sua legge il suo potere, attenta alle libertà fondamentali dei cittadini, condiziona l’economia del territorio e le libere iniziative dei singoli, fino a proporsi, talvolta, come stato di fatto alternativo a quello di diritto. Non meno inquietante e poi la nuova criminalità cosiddetta dei colletti bianchi, che volge a illecito profitto la funzione di autorità di cui è investita, impone tangenti a chi chiede anche ciò che gli è dovuto, realizza collusioni con gruppi di poteri occulti e asserve la pubblica amministrazione a interessi di parte.

Le risposte istituzionali sembrano spesso troppo deboli e confuse, talvolta meramente declamatorie, con il rischio di rendere la coscienza civile sempre più opaca.»

Ma Don Tonino si ferma all’analisi? Non di certo. È anzitutto attento a cogliere i germogli di rinnovamento che stanno già comparendo. Egli individua in tre soggetti: la società civile, il volontariato, la Chiesa. La società civile “irrompe” con le sue scelte nella politica.

«Intanto, è molto significativo che le più audaci esperienze di rinnovamento della politica nascano dal sud. Le giunte di Palermo e di Catania, al di là dell’arco corto in cui si sono consumate, la dicono lunga sulla voglia di rompere il circolo perverso che lega la politica agli affari. Così fa molto pensare il fatto che, proprio dal sud, attraverso la nascita di movimenti politici cittadini, parte la nuova simpatia per la partecipazione alla cosa pubblica.

Si avverte che qualcosa del passato sta per morire. C’è aria di rigenerazione dal di dentro. Una coscienza pubblica sempre più diffusa comincia a dare picconate a quel sistema granitico che porta il nome di clientelismo: relazione adulterina che lega il cliente (portatore di consenso e rastrellatore di voti) al patrono politico, il quale assicura in contraccambio beni dello Stato e prerogative istituzionali come posti di lavoro, avanzamenti di carriera, licenze edilizie, concessioni commerciali, appalti lucrosi, favori di ogni genere.

La gente, insomma, comincia a reagire, e dà l’impressione di non voler più stare a questo gioco da schiavi.»

La società civile si esprime nel volontariato. E cita Don Italo Calabrò:

«Occorre reimpostare una cultura della vita. Occorrono obiettori di coscienza e nonviolenti, che pratichino metodi e tecniche di resistenza alle intimidazioni della mafia, che facciano fronte alla mafia promuovendo una mobilitazione della coscienza attraverso assemblee popolari, denunce e atti pubblici… sarà una battaglia difficile, ma si potrà vincere se ci sarà concordia di intenti non soltanto sulle strategie, ma anche sulle tattiche… non si tratta di una notte di breve durata. Il male è ormai troppo radicato per poter pensare di vincerlo senza impegno, Costanza e continuità temporale oltre che spaziale.»

E infine la Chiesa, che supera i nuovi prudenti silenzi ed organizza quella che egli chiama “resistenza”, “con strategie nonviolente”. La comunità cristiana mette in atto una vera e propria “obiezione di coscienza” nei confronti della mafia.

Oggi la mafia è una realtà non localizzata solo nelle regioni meridionali, perché i suoi affari interessano anche aree opulente del Nord Italia, mentre ai tempi in cui scrive Don Tonino bello il fenomeno era localizzato soprattutto nel nostro Sud. Il Santo Vescovo di Molfetta intravede una vocazione del mezzogiorno al riscatto, a divenire “icona del riscatto” e non della “subalternanza”, significativa per l’Europa e per tutti i sud della terra che dalla criminalità sono devastati.

Ma poi la mafia arrivò a Molfetta e uccise nel luglio del 1992, il sindaco Giovanni Carnicella che fu ucciso a colpi di arma da fuoco per essersi rifiutato di concedere un permesso per la realizzazione di un concerto di Nino D’Angelo, frutto di una scommessa tra Cristoforo Brattoli e alcuni esponenti del mondo della illegalità. Il sindaco, con la schiena dritta, non concesse un permesso che avrebbe sancito l’alleanza tra gruppi mafiosi e l’affermazione del loro potere sulla città pugliese. Pagò con la vita.

Don Tonino nell’omelia richiama tutta la città, con le sue omertose convivenze, a fare un esame di coscienza, e afferma: “Ma chi ha sparato non è un mostro, è un nostro! Ecco perché quel fucile a canne mozze apre un discorso alla cui logica nessuno di noi può sottrarsi, dichiarando ipocritamente la sua estraneità”. Era l’epilogo di un impegno, quello in cui Don Tonino coinvolse tante persone, che è stato definito “etica antimafia” (Valeria Biasco). Don Tonino non si fermò la denuncia: avviò un processo “etico” nel quale diffuse un modo di agire che avrebbe spiazzato l’omertà, il malaffare, la mentalità mafiosa: la creazione della comunità C.A.S.A (Casa Accoglienza Solidarietà Amicizia) a Ruvo, nel 1985, per il recupero dei tossicodipendenti; la costituzione di “Casa per la pace” per promuovere una cultura della cittadinanza e della legalità, con iniziative come la nostra fotografica di Letizia Battaglia sull’omicidio di Peppino Impastato, o il convegno “Meridione, mafia e morale”, con la presenza di Nando dalla Chiesa nel 1985, o quello sulla politica e l’impegno antimafia con Leoluca Orlando. Un’opera quindi culturale, che ha segnato una generazione è un’intera regione.

Parole sulla mafia, chiare e taglienti; azioni di contrasto per creare una cultura che la arginasse, e credo che quell’impegno sia stato preventivo; ma anche sguardo al mondo e al legame tra pace e antimafia. Il 4 aprile del 1982 Don Tonino bello era a Comiso, a sfilare in una marcia di 100.000 persone contro la base missilistica della Nato. Il suo intento era pacifista, ma anche preventivo nei confronti di una mafia che era pronta a lucrare sugli appalti, come denuncia Pio La Torre e come testimonia suo figlio Franco: “…mio padre sosteneva che, se benefici economici vi sarebbero stati, questi avrebbero interessato gli speculatori sulle aree agricole attorno all’aeroporto e le ditte appaltatrici di lavori di costruzione sulla base, con evidenti rischi di infiltrazione della mafia”. Questa attenzione costante al rapporto pace – etica dell’antimafia, era una costante anche in altri interventi.

In definitiva Don Tonino ci consegna un metodo. Non è un vescovo o un uomo che si è trovato in situazioni così pericolose come potevano essere quelle della Sicilia, della Calabria, della Campania, ma ha sviluppato una sensibilità che si è tradotta in parola di annuncio e di denuncia, e in un grande compito educativo, ed ha fatto rientrare il suo impegno per il riscatto della società in quello di pastore attento ai bisogni del suo gregge. Nella “Chiesa del grembiule” così sintetizza le sue scelte pastorali:

«Noi non dobbiamo chiudere gli occhi finché il mondo non dorme sonni tranquilli; noi dobbiamo essere i servi del mondo, non dobbiamo aver paura di piegarci per lavare i piedi al mondo. Non è una Chiesa che si mimetizza, non è una Chiesa populista, non è una Chiesa ridotta al rango di ancella, non è una Chiesa schiava. La Chiesa deve giocare come serva, non come riserva del mondo; non vuole mai fare il braccio di ferro con il mondo. La Chiesa deve giocare come serva del mondo perché, se pretende di giocare come riserva e se mena vanto della sua bravura, tristi tempi verranno. Impegniamoci allora a seguire Gesù Cristo che si toglie gli abiti e si cinge il grembiule, Chiesa del grembiule, la Chiesa che si cinge gli abiti del servizio e si pone a lavare i piedi del mondo.»

+Luigi Renna, Arcivescovo di Catania

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