In chiusura del mese nel quale la spiritualità popolare esalta la devozione a Maria, madre di Gesù e della Chiesa, ha avuto luogo il pellegrinaggio diocesano al Santuario della Madonna di Mompileri.

Dopo una interruzione di oltre due anni a causa della pandemia e del distanziamento sociale, il popolo di Dio, riscoprendo la propria naturale vocazione di “essere in relazione”, riprende il pellegrinaggio sui sentieri della storia della salvezza, incontrando l’altro quale “compagno di viaggio”.

Alla Concelebrazione Eucaristica, culmine dell’evento, l’Arcivescovo Mons. Luigi Renna, coadiuvato da moltissimi presbiteri, ha posto l’attenzione sulla bellezza di questa stagione sinodale. Di seguito il testo il testo integrale:

Eccellenze carissime,

carissimi presbiteri, diaconi, religiose e religiosi,

carissimi fedeli tutti,

un pellegrinaggio è un’espressione di fede che dice bene la nostra identità: siamo un popolo che appartiene al Signore e non una somma di individui; muoviamo i nostri passi nella fede; testimoniamo la carità uno accanto all’altro; consideriamo la liturgia il culmine del nostro cammino, come anche la fonte della nostra missione. In questa stupenda stagione sinodale abbiamo reimparato, alla scuola di Padri della Chiesa come sant’Ignazio di Antiochia, che siamo “σuνοδοι”, ossia “compagni di viaggio”, in virtù del Battesimo e dell’amicizia con Cristo. (cfr. Ignazio di Antiochia, Agli Efesini, IX, 2).

Maria ci raccoglie, come una buona madre raduna i suoi figli nei giorni di festa, e così si realizza quanto Papa Francesco ci ha ricordato nella Evangeli Gaudium: “(Maria) radunava i discepoli per invocare lo Spirito Santo (cf. Atti 1,14) e così ha reso possibile l’esplosione missionaria che avvenne a Pentecoste” (EG 284). In questo tempo sinodale, caratterizzato dal servizio dell’ascolto che è esso stesso annuncio, può “riesplodere” la missione, come in una nuova Pentecoste. Lasciamoci radunare perciò da Maria, Madre e Modello della Chiesa, e da lei impariamo ad essere popolo di Dio. Ci introduce alla comprensione del Vangelo che è stato proclamato, uno splendido brano di Isacco della Stella, che afferma: “Maria e la Chiesa danno entrambi a Dio dei figli: Maria, senza alcun peccato, fornisce al Corpo di Cristo che è la Chiesa, il suo Capo; la Chiesa, con la remissione di tutti peccati, dona a questo Capo il suo Corpo. L’una e l’altra sono dunque madri del Cristo: ma nessuna delle due lo genera tutto intero senza l’altra” (Isacco della stella, Sermone 61, PL 184, 1683).

Contempliamo il mistero della vocazione di Maria nel racconto lucano e da lei impariamo ad essere Chiesa.

Impariamo anzitutto cosa ci insegna il saluto che l’angelo le rivolge: “Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te!” (Lc 1,28) Il Signore posa il suo sguardo sulla Figlia di Sion e si compiace della sua bellezza, capolavoro della Grazia. Da sempre l’ha destinata ad essere la degna dimora di Suo Figlio, e gioisce Egli per primo, il Padre, per la vocazione alla maternità divina di questa fanciulla di un umile villaggio di periferia. Da questo saluto, cari fratelli e sorelle, impariamo a rallegrarci sempre per il dono della vocazione dell’altro: il presbitero per il confratello, e per i fedeli laici, il religioso per i laici, tutti i battezzati per i ministri ordinati. Se avremo questo senso di gratitudine a Dio per i doni che Egli fa alla Sua Chiesa, allora crescerà l’apprezzamento reciproco; se sapremo dire: “Rallegrati, perché anche tu sei chiamato da Dio!”, allora cammineremo più volentieri insieme, ci sentiremo corresponsabili nell’unica missione della Chiesa. Impariamo dal saluto dell’angelo a esultare per ogni vocazione: un popolo sinodale è tale se in esso ogni vocazione ha diritto e spazio per esprimersi.

Il messaggero di Dio, Gabriele, a Maria che si chiede come potrà avvenire quello che le sta annunciando, dice di non temere e che lo Spirito Santo scenderà su di lei e la renderà madre (Cf Lc 1, 30. 35) È il secondo insegnamento. Anche a noi viene chiesto di non avere timore, di sentirci sempre come fanciulli in braccio alla madre, perché è lo Spirito Santo che agisce. L’invito a non temere sarebbe una rassicurazione semplicistica senza quelle altre parole: “Lo Spirito Santo scenderà su di te” (Lc 1,35). Riconosciamo che a volte la paura ci assale: quella di gettarci nelle braccia di Dio ad occhi chiusi, di fidarci totalmente di Lui, di non vedere realizzate neppure le più belle e ardite promesse del Vangelo, quali le beatitudini e l’amore che risplende sulla Croce. Maria ci insegna poi che se lo Spirito di Dio ci abita, le nostre esistenze non rimangono sterili, ma feconde e generative. La nostra vita è spesso posta davanti ad un bivio: la stagnazione di chi ha paura o pensa solo a sé stesso, e la generatività, che è la capacità di aprirsi all’altro, al progetto di Dio, a responsabilità nuove. Lasciamo che sia lo Spirito a renderci generativi come Maria, nell’accoglienza dei consigli evangelici (cari religiosi, quanto è grande la generatività della povertà, della castità, dell’obbedienza!), nella sponsalità e paternità/maternità della coppia, nella carità pastorale dei ministri ordinati. Maria ci insegna ad essere un popolo che non teme di fidarsi di Dio ed è fecondo di carità.

Questo popolo sinodale infine impara da Maria ad essere a servizio dei progetti di Dio: “Eccomi sono la serva del Signore, si faccia di me secondo la Tua Parola” (Lc 1, 38). Un popolo di persone che vogliono primeggiare, di presbiteri e religiosi che vogliono essere alla guida della comunità senza essere evangelicamente ultimi, di laici che vogliono clericalizzarsi, non somiglia a colei che ha detto: “Eccomi, sono la serva del Signore…”. La sinodalità ci sta insegnando che i progetti che Dio ama non sono quelli fatti a tavolino, ma quelli che nascono dall’ascolto, dall’adesione ai progetti di Dio, che si può manifestare anche attraverso i “gemiti inesprimibili” dello Spirito (cf Rm 8, 23).

Tante volte non riusciamo a camminare insieme perché vogliamo essere i primi e gli unici, non i compagni di strada; non siamo “sinodali” perché la strada che percorriamo non è più quella delle beatitudini evangeliche, ma della mondanità spirituale. Impariamo da Maria a camminare come una “carovana” di servi: oggi siamo venuti a scuola di sinodalità dalla Vergine Maria, e lei ci consegna la sua Maternità, ma anche lo stile dell’esultanza per il dono della nostra vocazione e di ogni vocazione; di chi ha fiducia che il Regno di Dio avanza silenziosamente e della generatività di chi lascia operare in sé lo Spirito Santo; del servizio che cinge il grembiule, abito di ogni chiamata.

Che ci aiuti ad essere così, come Lei, e a poter cantare anche noi il cantico della sinodalità: “L’anima mia magnifica il Signore, perché ha guardato all’umiltà della sua serva” (cf. Lc 1, 46.48).

+ Luigi

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