a cura di Giuseppe Adernò

In questa domenica 19 febbraio ricorre il primo anniversario dell’ingresso nella Diocesi di Catania dell’Arcivescovo Mons. Luigi Renna, che attraverso alcune domande, manifesta i propri sentimenti di gratitudine al Signore per avergli fatto il dono di conoscere e guidare pastoralmente una realtà articolata, con molti pregi ma anche con numerose problematiche, come la città etnea.

Nel ringraziare Mons. Renna per la disponibilità a rilasciare l’intervista la redazione tutta porge gli auguri per questo primo anniversario di governo pastorale della Diocesi, esprimendo il desiderio di camminare insieme nei sentieri della comunione.

Eccellenza nel corso di quest’anno ha incontrato una realtà nuova e complessa e con emozione ha vissuto per la prima volta la festa di Sant’Agata.

Sono grato al Signore per la grazia che mi ha donato, quella di poter servire questa Chiesa, e al Santo Padre che ha avuto fiducia nella mia povera persona. Sono grato ai catanesi per la loro splendida accoglienza, che non è stata di un giorno o riservata alle “grandi occasioni”, ma quotidiana. Vorrei ringraziare ciascun membro del popolo di Dio, dai presbiteri, ai diaconi, alle religiose e religiosi, alle persone sposate, ad ogni battezzato che testimonia la sua fede. Credo che il senso della vocazione presbiterale ed episcopale si racchiuda in questo “farsi popolo”, come è stato detto di San Oscar Romero, e come i modelli per i Pastori di ogni tempo, da San Carlo Borromeo, a sant’Alfonso, a don Tonino Bello ci hanno insegnato. La festa di Sant’Agata è come l’epifania di un popolo: emerge la moltitudine di credenti, con le modalità diverse di vivere la propria fede, forse anche molto differenti tra loro, che tutta la Chiesa e soprattutto un Vescovo deve capire, accompagnare ed educare, con la sua presenza, con la sua parola, con la carità pastorale.

Ha visitato carceri, ospedali, parrocchie e scuole. Ha incontrato gruppi, associazioni e movimenti. Ha evidenziato delle particolari emergenze come la dispersione scolastica ed ha istituito, unico in Italia, un ufficio specifico per rispondere a tale bisogno.

Non ho fatto altro che guardare ed amare una Chiesa che è molto più complessa e grande di quella dalla quale provengo e da quella che ho servito per sei anni. Ritengo che la conoscenza avvenga sempre incontrando le persone, ritornando ad incontrarle, entrando nei “luoghi di vita”, che, grazie a Dio, ancora spalancano le porte alla visita di un vescovo. Uno dei primi doveri del Pastore è quello di prendersi cura dei poveri, senza ostentazione e coinvolgendo tutto il popolo di Dio. Mi sono reso conto che l’anello debole della nostra società è la famiglia e chi in essa ha bisogno di ricevere aiuto e accompagnamento. Per questo la visita alle scuole, l’istituzione di un ufficio diocesano che contrasti la povertà educativa, non con uno sforzo titanico ed autoreferenziale, ma facendo rete con le istituzioni che lo stanno già facendo. La carità deve sempre camminare con chi opera per il bene comune e la giustizia, non con il fine di ricevere dei privilegi o sedere nella “stanza dei bottoni”, ma per essere sale e lievito, con operosità e umiltà. È quello che ci ricorda un testo antico che spesso mi avete sentito citare, la Lettera a Diogneto: i cristiani sono come l’anima del mondo.

È stata molto apprezzata la sua presenza sul Fercolo il giorno 4 e sul baiardo il giorno 6 per le rientro in Cattedrale. L’abbiamo visto Pastore e guida tra i fedeli ed anche “catanese devoto” mentre sventolava il fazzoletto bianco in segno di saluto e di omaggio alla Santa Patrona. Quali, a suo giudizio, sono le proposte di miglioramento nell’organizzazione e nello svolgimento per il prossimo anno?

Sono stato presente non per amore di novità, ma perché ho sempre visto fare così dai Vescovi che mi hanno formato e che hanno guidato le diocesi da cui provengo: con il popolo di Dio, nei momenti di fede e di festa, come anche in quelli di dolore. Credo che occorrerebbe intensificare l’accompagnamento nella preghiera di chi segue o vede la processione, come anche coinvolgere nella preghiera anche coloro che procedono di molto la processione portano le candelore.

Nel “discorso alla Città” e nell’omelia del pontificale del 5 febbraio ha lanciato un vibrante messaggio per un responsabile impegno civico in vista delle prossime elezioni comunali. Le sue parole sono state ferme e decise, reale descrizione del particolare e non facile momento di transizione dell’amministrazione comunale, e sollecito richiamo ad un coerente impegno civico e di testimonianza dei valori cristiani.

Credo di aver fatto il mio dovere di Pastore, che non chiede niente per sé o per la Chiesa, ma per tutta la Città, e la nostra Catania ha bisogno di una politica credibile che sia più forte nei punti in cui ha dimostrato debolezza, quella debolezza che ha vanificato tante sincere intenzioni che probabilmente aveva. Credo che la cittadinanza si debba riappropriare qui, ma anche in altre parti d’Italia, della partecipazione democratica, per scegliere e fare opzioni per il suo stesso bene.

Con la sua guida e condivisione l’ufficio di pastorale sociale ha presentato il documento “Non possiamo tacere” e, in vista delle prossime elezioni, la chiesa catanese è pronta a guidare un nuovo cammino nel segno della legalità.

Preannuncio già che l’11 marzo prossimo presenterò con i laici che hanno lavorato al primo documento, nell’ambito della Pastorale sociale, un documento che vuole essere un cantiere per il bene comune di Catania. Ci tengo a dire “con i laici”: i pastori hanno il dovere di formare le coscienze, mentre i laici sono chiamati a fare le scelte che animino le realtà sociali e testimonino la carità politica, da adulti nella fede. Se un Vescovo non forma dei laici e li lascia esprimere nel rispetto della loro vocazione delle loro competenze, credo che non abbia compreso bene il compito che la Chiesa gli affida.

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