Hanno fatto molto discutere in questi giorni le parole del ministro Salvini, a proposito delle recenti votazioni in Russia: “Quando un popolo vota ha sempre ragione”. Frasi del genere, in questi ultimi anni, abbiamo sentito anche dalla bocca di altri esponenti politici di qualche altro partito. Pertanto, pur non entrando nel merito del valore o meno delle votazioni suddette, su cui, fra l’altro, si sono espressi quasi tutti i governi europei, vorrei puntare l’attenzione sulla portata valoriale di tale affermazione, che mi ha richiamato alla mente “L’elogio di Pilato”, l’opera di Hans Kelsen (1881-1973), filosofo del diritto . Egli ha definito Pilato il più grande democratico della storia. Il governatore romano, un nichilista (“cosa è la verità?”, così si era rivolto a Gesù, senza attendere risposta [vd Gv 18,38]), non potendo rispondere alla domanda sulla verità riguardo all’innocenza o meno di Gesù, ha rimesso la decisione finale al giudizio del popolo e ad essa si è scrupolosamente attenuto. Ha rispettato le regole della procedura democratica, accettando la volontà della maggioranza di liberare Barabba, in carcere per una sommossa scoppiata a Gerusalemme e per omicidio, e di condannare a morte Gesù, pur riconoscendo di non trovare in lui nessuna colpa (vd Lc 23,18 ss). Pilato non si preoccupava della “verità oggettiva” e, cioè, se Gesù di Nazaret fosse colpevole oppure no, a lui bastava conoscere l’opinione della maggioranza, nel suo caso della folla urlante, radunata davanti al pretorio!

In sintesi, in una simile visione delle cose non ci si chiede se coloro che hanno votato erano convinti davvero della loro scelta, oppure erano stati corrotti, plagiati, comprati, come tante volte è accaduto anche nel nostro Paese, nel corso degli anni, quando i candidati promettevano agli elettori in cambio del voto, ad esempio un pacco di alimenti, o la benzina, oppure, in anni più recenti, un cellulare o un tablet, fino a un posto di lavoro!

E che dire quando le votazioni sono truccate e somigliano piuttosto a una farsa grottesca?

Guai, però, a chi denuncia, in tal caso, i brogli elettorali e le disfunzioni perché, molte volte, paga con la vita, come ad esempio accadde nell’Italia fascista al deputato Giacomo Matteotti, cento anni fa (1924). In questi eventuali contesti, a noi sembra impossibile fare derivare giudizi di valore da quella che sembrerebbe una geometria variabile della maggioranza. E d’altronde, già Platone avvertiva che non è che “i più” per il fatto stesso di essere “i più” abbiano ragione. Saremmo di fronte a un pericoloso “relativismo etico”, “[…] che induce a ritenere inesistente un criterio oggettivo e universale per stabilire il fondamento e la corretta gerarchia dei valori”(Compendio DSCh, n 407). Da qui il passo è breve per arrivare a quella che Benedetto XVI definiva “dittatura relativistica”. E il magistero sociale della Chiesa osserva che si tratta di “uno dei rischi maggiori per le attuali democrazie”.  Infatti, “un’autentica democrazia non è solo il risultato di un rispetto formale di regole, ma è il frutto della convinta accettazione dei valori che ispirano le procedure democratiche: la dignità di ogni persona umana, il rispetto dei diritti dell’uomo, l’assunzione del « bene comune » come fine e criterio regolativo della vita politica. Se non vi è un consenso generale su tali valori, si smarrisce il significato della democrazia e si compromette la sua stabilità” (Compendio DSCh n 407). Bisogna allora dire che una democrazia senza valori universali condivisi, senza fondamento etico, per cui ha valore, è giusto o no, è bene o male, solo ciò che la maggioranza decide, e il bene comune della comunità politica è variabile a seconda dei diversi equilibri politici, è una democrazia in crisi, che rischia di implodere su stessa. E di conseguenza anche la politica, così, diventa liquida, come del resto la stessa società contemporanea (vd Baumann). In altre parole affermare che l’agnosticismo e il relativismo scettico sono la filosofia e l’atteggiamento fondamentale rispondenti alle forme politiche democratiche, ci consegna a un clima nichilistico. Si tratta di un “ospite inquietante”, come lo ha definito il filosofo Galimberti, che si aggira nella nostra società e che in ogni caso non bisogna sottovalutare!  E infatti, come scrive Benedetto XVI: “Se i diritti dell’uomo trovano il proprio fondamento solo nelle deliberazioni di un’assemblea di cittadini, essi possono essere cambiati in ogni momento e, quindi, il dovere di rispettarli….. si allenta nella coscienza comune” (Caritas in Veritate n 43).

Siamo di fronte ad un’emergenza politica? A nostro avviso, una democrazia vera non può andare d’accordo con il nichilismo né con il relativismo etico, diversamente si ridurrebbe ad una larva di democrazia.

Di conseguenza, è fondamentale curare  una seria formazione socio-politica dei cittadini

se si vuol puntare ad una democrazia autenticamente partecipativa. Su questa tematica così scottante, la comunità ecclesiale italiana, a Luglio a Trieste organizzerà la Settimana sociale dei cattolici che sono in Italia. E a proposito dell’importanza della formazione, bisogna notare che è lodevole l’esperienza di un gruppo di laici della nostra diocesi che, con “Un cantiere per Catania”, da due anni, porta avanti una simile esperienza con il seminario di formazione. L’auspicio è che possa crescere la domanda di formazione a tal punto che potrebbe riprendere (ovviamente rinnovandola e adattandola ai nuovi scenari politici) l’esperienza delle scuole di formazione al sociale e al politico degli anni ’90, che vide fiorire nelle diocesi italiane circa 200 scuole. Tra cui anche quella della nostra diocesi, che tra gli anni della prima edizione voluta da Mons. Bommarito,  e poi con la seconda edizione promossa da Mons. Gristina, ha formato alla cittadinanza attiva e alla partecipazione una folta schiera di persone, alcune delle quali poi si sono impegnate attivamente in politica diventando, sindaci, assessori, e qualcuno anche parlamentare.

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