Riflessioni a Margine dell’Assemblea Sinodale della Consulta delle Aggregazioni Laicali

Domenica 7 aprile. Ottava di Pasqua. Nel ricordo di Gesù Risorto che torna e sta con i suoi, i rappresentanti di Associazioni e Movimenti dell’Arcidiocesi di Catania,accompagnati e sostenuti da Mons. Luigi Renna, si sono incontrati per proseguire nel cammino sinodale.

La fase sapienziale che stiamo portando a compimento è tappa importante dell’esperienza e del processo di comunione, partecipazione e missione che la Chiesa intera sta tenacemente percorrendo non senza difficoltà e resistenze.

Don Vito Mignozzi, Preside della Facoltà teologica pugliese nonché esperto e facilitatore alla XVI Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi dello scorso ottobre, ha condotto la riflessione ricordando che ascoltare e discernere sono azioni che appartengono all’esperienza della fede. L’ascolto è l’atteggiamento di Gesù verso le persone che incontra. Deve perciò diventare “esercizio di Chiesa”, acquisizione permanente, stile con il quale i nostri vissuti ecclesiali si strutturano. E i movimenti e le associazioni laicali sono questo strumento di ascolto e di formazione perché non c’è scuola migliore che apra alla fede, tanto dei piccoli quanto dei grandi, di quella rappresentata dal modo evangelico con il quale abitiamo la vita ordinaria, dall’esperienza concreta del vivere da cristiani,che dona un senso all’esistenza di ciascuno.

Se l’ascolto è il cuore del servizio il discernimento ci rivela cosa la Chiesa deve cambiare di sé, in che cosa deve convertirsi per imparare ad annunciare il Vangelo nel nostro tempo; nell’esercizio di queste due azioni, sottolinea don Vito, è importantesapere coniugare l’esperienza sinodale reale e concreta della nostra chiesa locale con quella della chiesa universale, per non scivolare nel provincialismo e nell’autoreferenzialità -anche associativa- che è quanto di più antisinodale riusciamo a produrre.Invece, alzando lo sguardo alla dimensione universale si scopre con stupore che lo Spirito parla alla Chiesa e, attraverso l’ascolto del popolo di Dio, fa emergere riflessioni comuni e problematiche condivise in ogni continente, oltre a tratteggiare una nuova forma di Chiesa che per proseguire in modo credibile nella propria missione di annuncio del Vangelo, riesca a “stare” nella storia, la nostra storia, la storia di questa umanità già profondamente ferita all’alba del terzo millennio. Una Chiesache sappia amare, alla maniera di Dio, il mondo così com’è e non come vorremmo fosse secondo le nostre categorie.

Personalmente costatare l’intervento e l’azione dello Spirito che con pervicace dolcezza ispira, suggerisce ed esprime gli stessi “gemiti” in ogni angolo della terra mi fa esclamare,come Tommaso davanti al Risorto, “Mio Signore e mio Dio”. Che meraviglia vedere lo Spirito all’opera! Che consolazione!

Le piaghe di Gesù crocifisso e risorto vannoviste ancora e ancora toccate da questa Chiesa incredula, smarrita e rintanata nei cenacoli delle sue presunte sicurezze e che, come i discepoli all’indomani del Golgota, ha paura di affrontare il mondo nel quale è stata mandata, o peggio crede di avere il diritto di giudicarlo e talvolta di condannarlo.

In questo esaltante percorso di consapevolezza ritornano con insistenza questioni quali la vocazione, il ruolo, lo spazio che appartengono ai laici e alle laiche, uomini e donne che – si ribadisce in tutti i pronunciamenti magisteriali e in tutte le sintesi sinodali ad ogni livello – hanno pari dignità dei ministri ordinati e dei consacrati e sono con essi coinvolti e impegnatinella comune missione della Chiesa.

Missione che – lo dicono le comunità ecclesiali sparse per il pianeta, compresa la nostra chiesa diocesana -è, (o meglio, dovrebbe essere) quella di ridiventare casa e famiglia di Dio, vicina alle persone, esperta di umanità, che come il Maestro sa accompagnare, curare e guarire, che non fa sentire nessuno sbagliato ma sa accogliere tutti e dare forma e senso alla vita e alle scelte di ogni vivente.

Ma è veramente così? E se per caso non fosse così cosa occorrerebbefare per tradurre queste dichiarazioni di principio, questi desideri, questo sogno di Chiesa in realtà concreta?

Don Vito ci ha invitati a sperare e ad avere pazienza, ad attendere come in Avvento ciò che lo Spirito ha in gestazione.

Verissimo! Ma questo utero che è la Chiesa (che siamo noi)per diventare fecondo e generare vita nuova a cosa è disposto a rinunciare?

Recentemente ho avuto modo di seguire su YouTube un piacevolissimo quanto profondo intervento del teologo Michael Davide Semeraro il quale sul cammino sinodale ricorda che non si tratta di una sorta di maquillage che, come un buon fondotinta, riesce a mascherare rughe e macchie o di strategie escogitate per conservare e conservarci, come gattopardi redivivi. L’espressione “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione” rischia di rimanere solo uno slogan se in questo percorso la Chiesa non è disposta a rinunciare a determinate posizioni.

Quando si rinnovano le promesse battesimali prima di rispondere alle diverse interrogazioni con un fiero “Credo” è necessario ribadire con altrettanta decisione un netto “Rinuncio”.

Tradotto… per parlare con compiutezza di comunione, partecipazione, missione la Chiesa è disposta a rinunciare, per esempio, alla disparità di genere, ai privilegi, al trionfalismo e ai poteri mondani, al clericalismo pernicioso anche dei laici, alle ideologie “cristianiste”, al fascino del sacro che rende insensibile all’umano?  a considerarsi la gendarmeria del mondo?  a trasmettere se stessa e le sue abitudini?

Se non muore questo tipo di Chiesa muore il Vangelo. Se non si rinuncia a questo lungo elenco di incrostazioni antievangeliche non si può proclamare con autenticità quel “Credo”.

E come per ogni gravidanza c’è un tempo giusto per partorire, così il cammino sinodale deve sapere attendere il tempo giusto nel quale, dopo tanto camminare, verrà alla luce la Chiesa rigenerata dallo Spirito.Ogni madre sa però che quando giunge il momento del parto bisogna fare in fretta, la vita ha urgenza di venire fuori. Non sa e non può più attendere perché il rischio è soffocarla e perderla.  Nella Scrittura si nota in più passaggi la necessità di procedere “in fretta” quando un fatto, un percorso è compiuto.

Credo sia urgente per la comunità ecclesiale, dopo la fatica e il travaglio dell’ascolto e del discernimento, intravedere l’alba di una Chiesa nuova che“in fretta” sappia dare senso e scopo al cammino compiuto,riuscendo a tracciare sentieri nuovi di evangelizzazione.

A noi laici, uomini e donne che viviamo immersi in questo mondo tanto amato da Dio, la responsabilità di essere e stare come Cristo in ogni piega della nostra umanità sofferente e meravigliosa.

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