“Occorre tornare a guardare ai problemi reali della gente e non fermarsi sulle dottrine che dividono. Tornare a prendersi cura gli uni degli altri. Non si potrà fare tutto. Ma si può dare a pensare con uno sguardo concreto, che attivi le persone e le politiche. E così Gesù cambia registro”. Così Monsignor Enrico Trevisi, vescovo di Trieste, nella sua meditazione presso il Seminario interdiocesano di Catania per la Giornata della Santificazione sacerdotale. Il vescovo di Trieste, la diocesi che il prossimo luglio ospiterà la Settimana sociale dei cattolici italiani, ha sviluppato in particolare il tema della vocazione sacerdotale al “servizio dei laici e delle loro responsabilità secolari”.
In questo cammino – ha detto monsignor Trevisi – siamo chiamati a farci compagni di viaggio nella ricerca, aiutando ad indentificare le domande vere che ci sono poste (a prescindere dalle motivazioni polemiche) a ad incoraggiare la ricerca con altre domande che inducono alla responsabilità della ricerca”. E ha aggiunto: “Anche nelle persone di oggi c’è un disorientamento perché pur volendo spegnere la dimensione religiosa, poi ritornano le questioni di senso nelle modalità ed esperienze più diverse”.

“Non possiamo precipitarci a dare le soluzioni sul salario minimo o sull’autonomia differenziata o sulla gestione dei migranti. Dobbiamo aiutare a farsi le domande che poi portano ad assumersi la sintesi delle scelte”.

“Riguardo ai temi sociali –ha ricordato il vescovo – anche la Chiesa ha elaborato dei principi di dottrina sociale della Chiesa che permangono come punti di riferimento: la dignità della persona umana, il bene comune, la solidarietà, la sussidiarietà, la destinazione universale dei beni e la proprietà privata… ecc. Anzitutto dobbiamo capirli e comprenderli correttamente… E poi dobbiamo tenerli uniti e non scadere in versioni unilaterali in cui ideologicamente se ne prende uno contro l’altro”.

“Interessiamo ai capi-partiti – ha proseguito il vescovo di Trieste – solo se gli diamo ragione. Diverso invece è il ruolo di aiutare le persone a ragionare, a rimettersi in ascolto di Gesù. Come di un cammino per il quale non abbiamo ricette. Mi piace richiamare quanto papa Francesco ci ha aiutato a comprendere già nella Evangelii gaudium (222-237): il tempo è superiore allo spazio; l’unità prevale sul conflitto; la realtà è più importante dell’idea; il tutto è superiore alla parte. Ecco allora l’importanza dello sguardo alla vita reale, alle persone con le loro fragilità, ai processi da avviare più che alle azioni di forza da intraprendere. E questo in ogni ambito: dalle povertà delle persone alle grandi questioni geo-politiche. In questo ritornare dai principi alla concretezza delle persone e delle loro ferite ci sta pure una crescita delle coscienze”.

“Lasciarci coinvolgere nelle ferite di chi è sulla nostra strada”

Cosa significa in questa prospettiva formare le coscienze? Per il vescovo di Trieste significa “aiutare a prendere coscienza che tutti abbiamo una libertà di lasciarci coinvolgere nelle ferite di chi è sulla nostra strada, è la consapevolezza che tutti abbiamo un qualcosa di noi e di nostro con cui comprometterci”.

“Questo deve essere il nostro stile nel formare le coscienze: allargare la mente e il cuore ma non diventare noi i capi- partito, chi stende i programmi, chi invade il campo dei laici. La questione della prossimità, dei legami interpersonali, del contrastare l’individualismo deve essere una priorità”.

“Per formare le coscienze – ha aggiunto monsignor Trevisi – molti sono gli strumenti, le lezioni, le scuole, i libri, l’autoformazione, la preghiera… Qui segnalo il registro narrativo, usato così spesso da Gesù. Quel raccontare che fa pensare, che dilata cuore e mente. Esercitiamoci, anche a raccontare esempi belli, testimonianze vere. Parabole e metafore che possano restare feconde e germinare continuamente. L’obiettivo di fondo però rimane quello dell’educare a farsi carico del prossimo”.

“Se c’è una questione sulla quale avere costante attenzione – ha concluso il vescovo – è per gli scartati, per chi più fatica, per chi rischia di rimanere ai margini. Una prospettiva che deve risultare evidente dalla concreta vita ordinaria della Chiesa e che deve coinvolgere anche chi si espone a farsi carico della vita sociale e delle istituzioni. L’attenzione a queste persone non deve mai mancare. L’inquietudine per una maggiore prossimità a chi più fatica nella vita è il segnale che si rimane in ascolto del Vangelo”.

Al termine della conversazione con il vescovo di Trieste, nella chiesa del seminario s’è tenuta la concelebrazione eucaristica, e il nuovo vicario generale, don Vincenzo Branchina, ha prestato giuramento.

(Nella foto, da sinistra: il vescovo di Trieste Enrico Trevisi, il vicario generale etneo don Vincenzo Branchina, l’arcivescovo di Catania Luigi Renna, il nunzio emerito Alfio Rapisarda, l’arcivescovo emerito di Catania Salvatore Gristina e il vicario generale emerito Salvatore Genchi)

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