Ricorrono quest’anno i 10 anni dalla salita al cielo di don Francesco Ventorino (avvenuta il 17 agosto 2015). Don Ventorino(1932-2015) ha guidato in Sicilia per oltre 50 anni Gioventù studentesca e Comunione e liberazione, formando alla fede e all’impegno culturale e sociale migliaia di giovani e adulti. E’ stato anche insegnante di religione e, poi, di Storia e filosofia nel licei statali; docente di Ontologia ed Etica allo Studio teologico San Paolo e, da ultimo, cappellano dell’istituto penitenziario di Piazza Lanza a Catania. Don Ventorino è stato uno dei più stretti collaboratori di don Luigi Giussani nella guida di CL in Italia. Per ricordare don Ventorino (don Ciccio, per i suoi amici) pubblichiamo il contributo di un suo ex allievo, oggi astronomo dell’Istituto nazionale di Astrofisica.

Di Antonino Lanza*
(Foto Condorelli)

Ho incontrato per la prima volta don Francesco Ventorino nell’autunno del 1982 quando frequentavo a Giarre la quarta classe del Liceo scientifico.​Nel suo primo incontro con noi ragazzi ci disse di sé di essere un prete e che dovevamo prendere appunti delle sue lezioni di filosofia e storia. Fino ad allora per noi il prete era sempre stato il professore di Religione e nessun docente si sarebbe mai sognato di chiederci di prendere appunti dato che il contenuto delle sue lezioni si poteva comodamente trovare sui libri di testo. 

​Sin dalla sua prima lezione, dedicata al passaggio tra la cultura medioevale e quella umanistica secondo l’interpretazione datane da Nikolaj Berdjaev, emergeva una caratteristica che distingueva don Ciccio da tutti gli altri docenti del triennio: la capacità di una sintesi culturale autonoma e la proposta di una prospettiva interpretativa dei filosofi e delle correnti del pensiero che ne mettesse in luce gli aspetti fondamentali separando ciò che è determinante da ciò che è secondario nel loro modo di vedere l’uomo ed il mondo. In altre parole, don Ciccio era l’unico che insegnava con autorità e ciò colpiva grandemente in un ambiente in cui il ruolo del docente era quello di mero espositore del contenuto del libro di testo. 

Gli appunti delle sue lezioni ci permettevano per la prima volta di comprendere veramente quanto scritto sul libro di testo ed anche di paragonare le grandi domande dei filosofi con quelle di noi ragazzi adolescenti. Per la prima volta, la filosofia cominciava ad apparire ai nostri occhi come un’attività pienamente umana, dotata di senso e di valore, e non come un mero esercizio tecnico o, peggio ancora, vuota retorica.

“Don Ventorino ci aiutava a paragonare le nostre domande con quello che studiavamo”  

La raccomandazione che sempre don Ciccio ci faceva era di paragonare tra loro gli autori che studiavamo e, soprattutto, di paragonarli con noi stessi, con le nostre umane domande che sorgevano dall’esperienza della vita, secondo un criterio di esaltazione della ragione che mai mi era stato proposto prima con una così ampia e comprensiva apertura. Ricordo che le sue interrogazioni erano uno spettacolo: non si limitava a far ripetere l’alunno, ma sempre gli poneva domande che lo costringevano a pensare e, alla fine, a paragonarsi con quello che ci proponeva di studiare. Ci ripeteva spesso che la sua più grande battaglia era quella combattuta affinché tutti gli uomini utilizzassero pienamente la loro ragione.

L’impressione di una straordinaria singolarità nel tempo si trasformò in affezione a lui che ci voleva bene ben oltre il suo ruolo di docente: ricordo che una volta andammo a trovarlo a casa sua durante le vacanze di Natale ed un’altra volta organizzammo una festa a sorpresa in classe per il suo compleanno.

Quel legame profondo fra fede e ragione

Il ricordo dell’incontro con quest’uomo eccezionale mi accompagnò dopo la fine del Liceo e per tutto il periodo degli studi universitari, anche se non lo rividi più per quasi cinque anni. Se l’uomo più intelligente che io avessi mai incontrato era un prete, voleva dire che tra il Cristianesimo e la ragione doveva esserci una corrispondenza che io non riuscivo a cogliere, ma che era sicuramente attestata dal fatto che c’era lui, dalla sua presenza a scuola e da quello che mi aveva dimostrato di sé e del modo di usare la ragione.

“Il Cristianesimo mi appariva nell’insegnamento di don Ciccio come ipotesi ragionevole e verificabile per rispondere alle domande della mia vita”

Avevo un collega di università ed altri amici di Giarre che mi invitavano periodicamente agli incontri pubblici che lui teneva e, soprattutto, alle vacanze estive che guidava per i giovani universitari sulle Dolomiti. Io per cinque anni ho sempre declinato l’invito, fino all’autunno del 1988 quando ho finalmente accettato di partecipare all’incontro di presentazione di un libro intitolato “All’origine della pretesa cristiana” che don Ciccio faceva nell’aula magna della Facoltà di Chimica a Catania. Mai potrò dimenticare la profonda ed eccezionale impressione che mi fecero le sue parole: per la prima volta, il Cristianesimo mi appariva non appena come un’eredità ricevuta dalla mia famiglia e dal contesto in cui ero cresciuto, ma come un’ipotesi pienamente ragionevole e verificabile per rispondere alle domande fondamentali della vita.  Alla fine della sua presentazione, don Ciccio ci invitò a verificare la verità di quella pretesa proponendoci un itinerario da percorrere insieme. Da allora, pur con tutti i miei limiti ed errori, pur con tutta la mia pigrizia e desiderio di padroneggiare la mia vita, attardandomi e sviandomi, grazie al richiamo costante di tanti amici, ho goduto della grazia immerita di poter continuare a seguire la via che lui ci ha proposto.

* Astronomo dell’Istituto nazionale di Astrofisica presso l’Osservatorio Astrofisico di Catania

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