«Un padre lo si riconosce nei suoi figli»: è la parafrasi, forse molto essenziale, di uno dei passaggi chiave del libro del Siracide. Monsignor Giuseppe Baturi – arcivescovo di Cagliari e Segretario generale della CEI – utilizza questo riferimento biblico per parlare di “don Ciccio”, monsignor Francesco Ventorino – il teologo, filosofo e saggista catanese che ha portato in Sicilia l’esperienza di Comunione e Liberazione e il carisma di don Luigi Giussani – di cui nel 2025 ricorre il decimo anniversario dalla morte.

La platea a cui parla l’arcivescovo (anch’egli catanese e amico di don Ciccio, a cui si rivolge, appunto, come un figlio nei confronti di un padre) è quella del Meeting di Rimini, che tra i suoi appuntamenti ne ha dedicato uno alla memoria e la presenza, ancora oggi, di Ventorino. Accanto a Baturi ci sono Lucetta Scaraffia, storica, e Felice Achilli, cardiologo: anche loro, per circostanze diverse, hanno conosciuto personalmente don Ciccio diventandone amici. Un incontro organizzato da Tracce – la rivista internazionale mensile di CL – e moderato dal neo-direttore, Stefano Filippi.

Lucetta Scaraffia: «Il suo sguardo era carico di amore infinito, la sua amicizia generosissima ed esigente»

«L’ho incontrato per la prima volta qui al Meeting ormai diversi anni fa», racconta Scaraffia, che non nasconde un certo imbarazzo nel parlare della figura di Ventorino davanti ad un pubblico così vasto. «Sono stata colpita dal suo sguardo. Uno sguardo che mi ha letteralmente trapassata, di quelli che guardano oltre l’immagine che tu vorresti dare agli altri, e nello stesso tempo carico di un amore infinito. Uno sguardo quanto più vicino al modo in cui Gesù guardava le persone». Un’amicizia «generosissima ed esigente», soprattutto con i carcerati al quale monsignor Ventorino ha dedicato gli ultimi anni della sua vita come cappellano a Piazza Lanza. Proprio i carcerati sono stati quelli che, a detta di Scaraffia, «più di tutti hanno risposto sempre e costantemente alla sua richiesta così forte di verità e di coinvolgimento profondo nel rapporto».

Felice Achilli: «Don Ciccio aveva compreso che se l’amore è la legge della vita, il vertice è l’offerta di quest’ultima»

Il cardiologo Felice Achilli ha raccontato del suo incontro con don Ciccio avvenuto esattamente 16 anni prima, al Meeting. Era una circostanza drammatica, se non tragica: «Da due mesi era morto Andrea, mio figlio, in un incidente stradale. Alla fine di un incontro che avevo seguito si alza quest’uomo seduto davanti a me e mi dice: “È un mese che ti cerco. Voglio venire a casa tua”. Ho rivisto in questa richiesta l’episodio di Zaccheo». In quella casa don Ciccio affrontò subito la questione della morte del figlio, «chiedendo a me e mia moglie se fosse per noi vero che ciò che era accaduto non fosse solamente una disgrazia, ma che ci fosse da scoprire ciò che Dio dà e compie. Don Ciccio era certo che se Cristo è risorto la vita di Andrea è immersa nella sua risurrezione proprio a causa della sua morte prematura e violenta, fino ad apparire ingiusta».

Achilli ha operato don Ciccio in uno dei suoi ultimi interventi al cuore, dopo una lunga malattia: «Se devo morire, voglio che sia tu ad accompagnarmi», gli disse. «Aveva compreso – racconta ancora Achilli – che se l’amore è la legge della vita, il vertice è l’offerta di quest’ultima».

Baturi, segretario CEI: «Dai figli si riconosce un padre. Ecco la sua eredità»

In un’intervista rilasciata ai microfoni di Radio Meeting, e curata da chi scrive, monsignor Baturi ha risposto ad altre domande, dal personale al generale, inerenti alla figura e l’eredità di Ventorino: «L’occasione di oggi – ha detto – è stata un modo non appena per restituire un’intera conoscenza della figura di don Ciccio, ma per testimoniare un incontro davvero generativo. Io ho conosciuto don Ciccio a 16 anni, è stato anche mio professore, e fino alla morte avvenuta 10 anni fa ho avuto modo di stargli vicino. Non posso non ricordare il momento in cui per la prima volta mi chiese di prendere in considerazione la possibilità di farmi sacerdote. Ma anche nell’ultimo tratto della sua vita: la sua serenità di fronte all’esperienza della morte. La sua eredità – continua Baturi – è quella di un padre: le opere che sono nate grazie a lui hanno visto la luce anche per via dell’educazione che lui ha dato ai suoi “figli”, che la esercitano in vari rami dell’esperienza umana: dalla famiglia, al lavoro, alle opere di bene, di carità, all’accuratezza professionale. Anche da questo, dai suoi figli, si riconosce un padre».

Di seguito l’intervista a monsignor Baturi a cura di Radio Meeting e il video integrale dell’incontro al Meeting di Rimini.

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