
Nel dibattito nazionale sull’integrazione e il futuro del nostro Paese, si è espressa, attraverso un comunicato, la Conferenza Episcopale Siciliana, assieme a Caritas e Migrantes di Sicilia.
“Cittadinanza e seconde generazioni: Rilanciare il dibattito, educare alla comunità”, è il titolo del documento firmato da mons. Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo e delegato per le migrazioni, e mons. Giovanni Accolla, arcivescovo di Messina e delegato per la carità. Un testo che rappresenta un chiaro impegno educativo e culturale della Chiesa a promuovere l’inclusione e la dignità di ogni persona.
Più del 50% degli alunni con retroterra migratorio è nato in Italia
Il testo prende le mosse da un dato di fatto: il recente esito del referendum sulla cittadinanza, che, pur non avendo raggiunto il quorum e avendo registrato un significativo 34,7% di voti contrari, non può e non deve chiudere una riflessione che la Chiesa di Sicilia ritiene centrale per il futuro dell’Italia e, in particolare, della Regione. La questione al centro è quella delle cosiddette “seconde generazioni”, decine di migliaia di giovani che, pur essendo nati o cresciuti in Italia, condividendo lingua, cultura e quotidianità con i loro coetanei italiani, rimangono “stranieri” nei documenti.
Le cifre ufficiali del Ministero dell’Istruzione e del Merito sono eloquenti: nell’anno scolastico 2022/2023, in Sicilia, c’erano 28.738 alunni con retroterra migratorio. Di questi, ben 15.047 – pari al 52,5% – sono nati in Italia. «Sono bambini e ragazzi che frequentano le nostre scuole, vivono nei nostri quartieri, crescono accanto ai nostri figli, eppure la cittadinanza per loro resta un orizzonte lontano, spesso inaccessibile fino al compimento della maggiore età», si legge nel testo della CeSi.
Questa situazione genera una “dissonanza profonda”: «essere italiani de facto, ma stranieri de iure». Una condizione che alimenta frustrazione, un senso di esclusione e che, alla base, mina l’idea stessa di comunità nazionale. Eppure, come sottolineato nel testo, «la componente straniera residente in Sicilia da decenni ha ormai interiorizzato molti dei tratti culturali propri della popolazione autoctona, contribuendo in modo significativo alla costruzione della società odierna».
Ius scholae, una possibile via da percorrere
Il rilancio del dibattito pubblico su queste tematiche diventa quindi un’urgenza. Le scuole e le classi sono indicate come veri e propri “laboratori di inclusione”, luoghi dove la diversità è una risorsa e la convivenza quotidiana testimonia che l’integrazione non è un’utopia, ma una realtà già in atto. In un’Italia e una Sicilia che affrontano una progressiva denatalità, con il 14% dei bambini classificati come stranieri alla nascita, «si rende sempre più urgente accorciare i tempi per l’ottenimento della cittadinanza, almeno per chi in Italia è nato e si è formato».
In tal senso, il documento spinge per un confronto serio e articolato sullo ius scholae, una possibile via per riconoscere la cittadinanza a chi ha compiuto un percorso scolastico stabile nel nostro Paese. Questa proposta, più di ogni altra, «tiene conto del vissuto reale delle nuove generazioni e affida alla scuola un ruolo di “motore civico” oltre che educativo».
Caritas e Migrantes in Sicilia, operando quotidianamente a contatto con queste realtà, hanno ascoltato, accompagnato e sostenuto migliaia di giovani e famiglie che vivono questa condizione di sospensione. Forte di questa esperienza, competenza e sensibilità, la Chiesa di Sicilia intende offrire “strumenti concreti” ai decisori locali e all’opinione pubblica per rendere più giusto e inclusivo il nostro ordinamento. Per questo, è stata annunciata la volontà di ritrovarsi nei prossimi mesi per riaprire il confronto sul tema della cittadinanza, coinvolgendo rappresentanti delle istituzioni, del mondo culturale, scolastico e associativo, ma soprattutto le nuove generazioni senza cittadinanza, che si vuole ascoltare e coinvolgere come «protagonisti attivi di questo percorso». «La novità del nostro tempo – come si legge ancora nel testo – è che sono proprio le seconde generazioni a chiedere con voce propria il riconoscimento della cittadinanza e non più solo le associazioni del terzo settore. È una spinta dal basso che non può più essere ignorata», e la Chiesa sente la responsabilità di raccoglierla, valorizzarla e accompagnarla. Un impegno che, lungi dall’essere scoraggiato da tempi non propizi, trova proprio in essi una ragione in più per agire.