di Don Antonino De Maria
“Ma in questo tempo, in questi giorni malvagi, non solo dal periodo della presenza corporale del Cristo e dei suoi Apostoli, ma dallo stesso Abele, il primo giusto ucciso dal fratello scellerato, e di seguito fino alla fine del tempo la Chiesa si evolve pellegrina fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio”. (Agostino, La città di Dio, XVIII, 51, 2)
Il mondo di cui parla Agostino non è quello che è fuori, esterno alla Chiesa (proprio quando scrive sono finite le persecuzioni dell’impero pagano), ma quel “mondo” che vive al suo interno, a causa dei peccati di coloro che si dicono cristiani e non lo sono e per i quali il nome cristiano viene bestemmiato.
Quelli che si dicono cristiani e non lo sono: non si tratta della consapevolezza di essere peccatori perché la Chiesa è permixta ma di quelli che ostentano il proprio peccato, di quelli che non cercano la via della conversione, dei falsi profeti e di quelli che amano calunniare tentando di distruggere la buona fama degli altri.
In questo periodo in cui anche il Papa (che oggi compie il suo cinquantesimo anniversario di ordinazione sacerdotale) è preso di mira da critiche esterne e interne alla chiesa, e accuse molto spesso infondate, la parola di Agostino, quel grido di Abele risuona più forte e più volte.
A che serve distruggere la buona fama del fratello? quale demonio ti ha irretito che vuoi distruggere il tuo fratello? Che strano senso del dovere! Il falso profeta e il calunniatore soffrono di delirio di onnipotenza e non si rendono conto che è la storia stessa a giudicarli, a smontare questa meschina superbia.
Se comprendessimo l’incarnazione ci renderemmo conto che il Potente è sceso nell’umiltà dell’essere creaturale e lo ha reso partecipe della sua grandezza, senza gelosia dice San Paolo ai Filippesi. Non il superbo fariseo che aveva smarrito il comandamento dell’amore del prossimo ma il “povero” di cuore, l’accusato è tornato a casa giustificato, egli che non aveva taciuto i suoi peccati ed era stato calunniato dal superbo.
Ma anche questi sarebbe salvato e sperimenterebbe l’amore di Dio se solo riconoscesse che tutto è grazia. E la grazia si è fatta carne nella concretezza di un’umanità, di un volto umano: il volto umano di Dio che si fa bimbo in una donna e si offre, uomo tra gli uomini, per la vita di tutti.
Così il mistero del martirio continua ad essere profondamente e cristologicamente presente nell’esperienza della Chiesa, nel suo essere nel mondo ma non del mondo. Il Natale non si contrappone all’evento pasquale: entrando nel mondo il Figlio di Dio fa già l’esperienza dell’innocente ingiustamente perseguitato e nello stesso tempo liberamente offrentesi per la vita di coloro per i quali è venuto, compresi i Giuda che Egli stesso chiama, secondo il mistero di quel Dio che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi.
Per questo Buon Natale