di Alfio Lanaia

Nonostante la popolarità che continua ad avere il culto di Sant’Agata a Catania, sono ormai pochi a conoscere e usare il nome tradizionale del velo di Sant’Agata: la grimpa. Tranne che su google-libri, infatti, la ricerca di questa parola sulla rete dà pochi risultati, segno della sua obsolescenza.

Ma vediamo un po’ più da vicino questa parola, insieme alle varianti grìmpia e lìmpia, nella lessicografia (cito da Iride Valenti, Gallicismi e francesismi nel siciliano. Vocabolario storico-etimologico): 1. ‘fazzoletto da testa di seta grezza, che faceva parte dell’abbigliamento femminile. 2.  ‘velo muliebre per il capo’. 3.  ‘velo di Sant’Agata’. Su quest’ultimo sappiamo che si tratta di ‘un velo di lino, bordato a fili d’oro’, conservato nella cattedrale di Catania in uno scrigno d’argento insieme ad altre reliquie della santa.

Secondo le credenze religiose e popolari la grimpa di Sant’Agata è un velo incombustibile e miracoloso che nel corso della storia è stato più volte portato in processione per fermare la lava dell’Etna.

D’altra parte, esiste anche almeno un’altra tradizione sul velo di Sant’Agata. Secondo questa tradizione, riportata anche dal Pitrè, la santa catanese sarebbe stata una tessitrice di straordinaria bellezza che, a un tale che l’aveva chiesta in matrimonio, aveva promesso di accettare l’offerta solo quando avesse finito di tessere un velo che di giorno tesseva e di notte disfaceva. Da questa leggenda, modellata evidentemente su quella omerica della tela di Penelope, è scaturito il modo di dire palermitano èssiri comu la lìmpia di sant’Aàti, cui corrisponde il catanese èssiri comu la tila di sant’Àita ‘per indicare qualcosa che non giunga mai a fine, essere cioè come la tela di Penelope’.

Un frammento di questa credenza si potrebbe cogliere in alcuni passi de I Malavoglia di Giovanni Verga, allorquando leggiamo, ad esempio, che «Mena (Filomena) era soprannominata Sant’Agata, perché stava sempre al telaio». In un altro passo si legge che «La Mena aveva lasciato il telaio e s’era affacciata al ballatoio anch’essa. – Oh! SantAgata! esclamarono le vicine; e tutte le facevano festa. – Che non ci pensate a maritar la vostra Mena? chiedeva sottovoce la Zuppidda a comare Maruzza».

Veniamo adesso all’origine del nome: grimpa, insieme alle sue varianti, è un prestito dall’antico francese glimpe, guimple, guimpe, ‘ornamento per il capo’, un nome portato in Sicilia dai Normanni e documentato nella forma glimpa dal XIII secolo. La parola francese deriva a sua volta dal francone, una lingua germanica, *wimpil, ed è presente nell’inglese wimple ‘copricapo di stoffa che copre la testa, il collo e i lati del viso, un tempo indossato dalle donne e ancora oggi da alcune suore’.

Il prestito è documentato anche nel romanesco vimpa, vippa ‘velo’ e nell’abruzzese di area marsicana vimbë ‘sfoglia di cipolla’. Un simile significato, ‘pellicola sottilissima e trasparente, ad esempio della cipolla’ si trova nel ragusano linfa, mentre in area messinese troviamo grinfa col significato di ‘omento del maiale’.

In definitiva, la storia di questa parola ci ha fatto scoprire un interessante intreccio di popoli, di leggende devote, credenze e pietà popolari. Abbiamo inoltre potuto vedere che nelle aree urbane il prestito designa(va) un referente prestigioso, come il velo di Sant’Agata, nelle aree rurali dei referenti legati alla vita di campagna.

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