di Don Antonino De Maria

Chissà se dalla fine del IV secolo, quando a Gerusalemme si cominciò a rievocare, nella domenica precedente quella della Pasqua, l’ingresso solenne di Gesù a Gerusalemme, narrato da tutti e 4 gli evangelisti, con il Vescovo, rappresentante Cristo, cavalcante un puledro figlio di asina, e la comunità osannante con le palme e i mantelli distesi al suo passare – o dal VII secolo a Roma – chissà se da allora questa non sia la prima volta senza palme e senza benedizione di palme.

Molti nei giorni precedenti si preparavano intrecciando le palme o tagliando i rami di ulivi per venderli davanti alla Chiesa o nelle strade precedenti, sperando che la folla di quel giorno solenne, non ne lasciasse alcuna e il ricavato fosse cospicuo.

Altri già dalla messa vespertina del sabato o l’indomani uscivano di casa per tornarvi carichi di questi rami benedetti dal prete all’inizio della celebrazione per portarli a casa, magari senza aver partecipato alla lunga liturgia del giorno.

Chissà se quei primi cristiani, felici dopo secoli di persecuzioni, di poter lietamente manifestare la propria fede, potessero incontrarsi con questi fratelli, ai quali di tutto il mistero cristiano è rimasto solo un pezzo di vegetale: chissà cosa direbbero loro.

Penso che direbbero loro con un grande, amorevole sorriso, che quel gesto era un modo per annunciare a tutti che il Messia atteso da secoli era entrato nella sua Gerusalemme, città del Re e di Dio, come Colui che avrebbe sacrificato se stesso, come sacrificio di soave odore (Ef 5,2), per liberare l’uomo da sacrifici inutili e riscoprire, nella libertà dei figli Dio, che un altro sacrificio era quello gradito a Dio, quello della carità, che rende simili a Dio: “Camminate nella carità, nel modo in cui Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio” (Ef 5, 1s). A nulla vi serve quella palma senza la fede e l’esperienza di quell’amore, senza un altro ingresso, quello sulla via del Golgota, dove Cristo è assiso come sul suo trono regale. È per aver percorso questo duplice ingresso che siete salvi e risorti con Lui dalla morte.

Che la Pasqua diventa vera, viva in voi e per i vostri cari, per il mondo intero. E quella palma diventi segno che non vi siete fermati a quel primo ingresso, a quello glorioso, quello delle masse esultanti, che poi grideranno Crocifiggilo; che avete sperimentato la vittoria di Cristo; che questa è la vostra fede e la vera pace, quella del Risorto, che entrando nel Cenacolo, tra i discepoli impauriti, sorride e dice: “Pace a voi, ricevete lo Spirito santo, a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi…”. Lì sperimenti che puoi perdonare; che la pace può tornare con quella persona cara che era morta nel tuo cuore – ma anche il tuo cuore era morto.      

Io sono la risurrezione e la Vita: questa è la più grande, eterna novità. Buona Pasqua, buona domenica delle palme, senza palme ma non senza Cristo.

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