di Filadelfio Grasso

Non offendere la patria di Agata…

E’ il monito che si fa risalire al tempo della disputa tra Federico II e il Papato, quando improvvisamente l’imperatore cambiò idea sul fatto di voler passare a ferro e fuoco la città di Catania. Non si sa da chi fu espresso, o come giunse all’orecchio del terribile imperatore, ma la certezza di quella affermazione era inconfondibile: non oltraggiare la terra di sant’Agata, non offendere chi si affida al suo aiuto poiché essa sa come tutelarlo.

Agata, ha sempre difeso i suoi fedeli. La sua protezione manifestata nei secoli nei confronti di epidemie, terremoti, eruzioni laviche, viene celebrata ogni anno in una unica festa (che ai giorni nostri ne ingloba altre che venivano celebrate in altrettanti periodi dell’anno), quella del 17 agosto, che ricorda il ritorno delle reliquie della Santa a Catania.

Questi i fatti. Il valoroso condottiero Giorgio Maniace per riparare a una negligenza commessa nella lotta contro i Musulmani in Sicilia (si era lasciato sfuggire il comandante Abd-Allah, sebbene non per colpa sua ma di Stefano, fratello dell’Imperatore Michele IV), decise di portare come bottino di guerra i due più grandi tesori presenti nell’isola: i corpi delle sante martiri Agata e Lucia. Così ai primi di gennaio del 1040, fra lo sconforto del popolo catanese e del clero che non mancò di far sentire le proprie proteste, il corpo di sant’Agata venne posto in una imbarcazione per essere traslato nella chiesa di Santa Sofia, a Costantinopoli.

I catanesi, addolorati e impotenti, salutarono nel porto la loro amata santa Concittadina.

Come vuole la tradizione, poco più di ottanta anni dopo questo fatto, Agata apparve in sogno a Gisliberto un soldato della guardia bizantina, chiedendogli di riportarla in Patria. Il sogno si ripetè diverse volte così da costringere il soldato a confidarsi col compagno d’armi Goselmo, di origini calabresi. Assieme, confidando nell’aiuto della Santa, decisero di tentare l’impresa.

Trafugarono le reliquie e le imbarcarono, ben occultate, su una nave con destinazione Catania.

Giunte prima a Messina e poi ad Acicastello, furono accolte dal vescovo Maurizio e portate processionalmente fino alla città etnea.

La sera del 17 agosto del 1126, dopo 86 anni di esilio, la santa martire Agata tornava nella sua Catania.

I Normanni, nei decenni precedenti, avevano riportato il cattolicesimo latino in Sicilia, ma persisteva ancora il vivo ricordo della dominazione Araba, erano altresì presenti abitanti di lingua e cultura greco-bizantina e anche minoranze ebraiche. La situazione religiosa risultava alquanto confusa.

Il ritorno di Agata nella città che l’aveva vista nascere, testimoniare Cristo e morire martire per il suo Signore, fu sicuramente una preziosa occasione per rinsaldare la fede cristiana e ristabilire ordine nel caos, con benefici anche in ambito sociale.

Da quel tempo, in un crescendo di fede e devozione, Agata, la buona, è un modello affascinante al quale guardare e ispirarsi.

Ma per il catanese, Agata è soprattutto la Donna da amare.

E’ madre spirituale, pronta a indicare la strada giusta, a guidare e a sorreggere i suoi devoti. Ad ammonirli ma anche a consolarli.

E’ sorella, che ha condiviso le gioie e i dolori della famiglia umana. Conosce le miserie dell’uomo perché (seppur giovane nella sua età), ha vissuto vicende e situazioni quotidiane unite a esperienze forti e intense.

E’ fidanzata e sposa, ricca di una bellezza che non è solo fisica e materiale (che bellezza fisica avrebbe potuto avere una ragazzina “sminnata”?) ma che deriva dal suo essere libera, sicura e salda nei suoi principi per i quali lotta fino in fondo e che con coraggio dona la sua fedeltà al suo Sposo e per Lui e con Lui non ha paura di affrontare qualsiasi tormento.

In un tempo che vede un rimescolamento e, a volte, un ribaltamento dei principi etici, morali e sociali, in una società definita liquida, Agata ci parla di solidità dei valori, ci parla di chiarezza di idee, ci indica la bellezza della giustizia e della legalità che può farci camminare sempre a testa alta.

Quindi, sebbene oggi non potremo sentire la vicinanza fisica del suo corpo (custodito dentro il busto reliquiario), sentiremo il suo spirito presente tra le strade e nelle piazze.

La sua figura splendidissima, nell’intimo di ogni catanese, di ciascun devoto che sa guardarla con gli occhi della fede, sussurrerà il suo amore, pronuncerà la sua esortazione ad andare avanti, porrà il suo invito a camminare a testa alta per le strade della vita. Sempre. Nonostante tutto.

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