di Don Antonio De Maria

Nel contesto del libro X del De Civitate Dei, nel quale Agostino paragona la religione cristiana, come vera religione, alla religione pagana, e alla teurgia neoplatonica, soprattutto porfiriana, egli afferma che ai demoni è stato dato un tempo nel quale provocare l’odio contro i cristiani: un potere non dannoso “ perché si compia il numero dei martiri. La città di Dio li ritiene cittadini tanto più illustri e onorati quanto con maggiore fortezza combattono fino all’effusione del sangue contro il peccato di idolatria.”[1] Il martirio esprime, dunque, la vittoria della Città di Dio sulla falsa religione, del Vero Dio sui falsi dei, non con i doni ma con il valore che viene da Dio.

La falsa religione, prima ancora che una determinata forma di religione, con i suoi dogmi e la sua visione di Dio, è una concezione della realtà che asserva l’uomo ad un’altra creatura, innalzata a idolo: un’immagine incompiuta di Dio, che pur si riflette in ogni sua creatura; che pretende di essere dio, mentre ne è solo un segno, stravolto dalla sua pretesa di porsi al posto del Creatore (Cfr Rom, 1, 18-23). L’uomo diventa non solo l’artefice di questa storpiatura ma anche la sua coscienza. Eppure non è solo colpa dell’uomo: quel Nemico, che pone la zizzania nel campo, è anche colui che suggerisce alla coscienza dell’uomo questa falsificazione del Volto di Dio. L’uomo che accoglie questa versione errata di Dio non è più capace di coglierlo in sé e intorno a sé: tutto gli è nemico, pur anche se stesso.

Per questo, dice Giovanni, il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi e nessuno può vedere Dio se non attraverso il Verbo umanato (cfr Gv 1, 1-18). Allora tutta la storia di adesione dell’uomo a Cristo assume la dimensione del martirio: nello stare in Lui per non ricadere nella paura, dice Paolo, la paura dell’idolo che schiavizza l’uomo.

Prima ancora che nella testimonianza cruenta di chi subisce nella propria carne l’odio dell’idolo verso il vero Volto di Dio, c’è la testimonianza quotidiana di questo stare in Cristo che può, solo nello Spirito, nella barca della Chiesa, accadere come dono, come grazia.

Oggi continua l’uomo a preferire l’idolo al Volto amoroso del Padre e l’altro, chiunque esso sia può essere solo nemico o socio della mia ubriachezza e della mia schiavitù, ancor di più quando mi ricorda quel Volto che sembra specchiarmi, riflettere la mia incompiutezza, mentre, in realtà, mi offre la Sua mano tra le onde che mi affondano. Per questo, l’odio contro i Cristiani, non è solo irragionevole ma è un odio contro la vita.

La testimonianza, oggi, della bellezza della vita, è, ancora una volta, drammaticamente, la testimonianza della Bellezza fattasi uomo, della vera umanità.

In questi giorni abbiamo festeggiato Euplo e la traslazione delle reliquie della martire Agata e continuiamo a chiederci se c’è ancora bisogno di martir,i oggi, nel nostro tempo o se, forse , è meglio accordarsi con il mondo e sopravvivere, magari continuando a credere che stiamo guardando Agata e non il suo busto reliquiario: il segno piuttosto che la sua testimonianza viva, di cui facciamo memoria, attraverso la custodia del suo corpo, fragile compromesso con la morte. Agata vive e ci attende indicandoci la via della fede, della croce assunta per la libertà donataci da Cristo.


[1] Sant’Agostino, De civitate Dei X, 21

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