di Don Antonino De Maria

Su Prospettive nella seconda metà di agosto ponevo l’accento sul valore universale (uno dei significati del termine cattolico) della testimonianza martiriale e del duplice verso, centripeto e centrifugo, che la presenza delle sue reliquie in un dato luogo comporta. In quell’occasione citai sant’Ambrogio che, parlando del ritrovamento delle reliquie di Gervasio e Protasio e la loro deposizione sotto l’altare, sottolineava la centralità dell’eucarestia. Perché il vivo e vero mistero celebrato è il cuore della vita della Chiesa, del suo essere stesso in quanto Vero Corpo di Cristo: costituito da ogni battezzato, in ogni tempo e luogo, ma anche da tutti coloro che già, attraversata la morte e in attesa della resurrezione, contemplano insieme agli Angeli e alla Vergine già trasfigurata dalla resurrezione, il Volto di Dio partecipando della Sua Gloria.

Anche il luogo in cui sono custodite le reliquie o sacello, ha senso e rimanda veramente alla testimonianza del martire di cui custodisce il corpo se non diventa il punto focale ma è de-centrato cioè orientato al cuore della Chiesa, all’eucarestia, dove cattolicamente si edifica e si configura la Chiesa, nella sua realtà permixta, fatta di peccatori in cammino verso la santità, e la Chiesa gloriosa che intercede insieme a Cristo perché nessuno si perda e, anzi, altri ancora, di generazione in generazione, divengano parte dell’unità dell’unico Cristo totale. In ogni Chiesa, intesa come luogo, e in ogni eucarestia, questa unità si compie, si realizza, nell’attesa della Sua venuta, come recitiamo nel credo. Per questo non ci può essere concorrenza tra un luogo e un altro, tra una comunità e un’altra, tra un celebrante e un altro celebrante, che chiaramente, sia in comunione con il Vescovo e con il Papa, in quanto presiede la Chiesa che a sua volta presiede nella Carità l’insieme cattolico delle Chiese, esso stesso presiede e serve l’unità del Corpo di Cristo, il cui Capo è Cristo e la cui vita è dono dello Spirito Santo.

Credo che sia molto importante nella nostra catechesi ri-centrare tutto eucaristicamente: non nel senso di una formale partecipazione ad una messa ma nel senso pienamente ecclesiale del mistero pasquale, per cui la Chiesa nasce e vive dall’eucarestia cioè dall’unico sacrificio e dall’unica vittoria del Risorto. De-centrare cioè spostare l’attenzione dal sacello o dalle camere che tengono nascoste le effigi dei Santi significa riorientare la devozione popolare al cuore, lì dove ciascuno di noi nasce e riceve lo Spirito di santificazione con-formandosi a Cristo e, quindi, divenendo capace del martirio, cioè della testimonianza quotidiana della fede. La testimonianza del Martire o del Santo ritorna sotto l’altare dell’Eucarestia (anche quando il suo corpo riposa in un altro luogo) a indicarci la Via che è Cristo e ad aiutarci a percorrerla insieme per essere insieme nella gloria dei figli di Dio.

Ciò non significa che i gesti della devozione popolare siano insignificanti, errati: essi con la loro carica affettiva riconoscono, anche senza comprenderlo a pieno, un legame vero tra il Santo, presente in modo iconico (nel suo senso pieno, poiché l’icona non è solo un’immagine dipinta ma un sacramentale che indica la presenza misterica di colui che vi è “scritto” o dell’evento cristologico, e il suo essere nella Chiesa celebrante) sia con i propri resti mortali sia con l’effige, con la loro stessa esistenza cristiana, in questo tempo e in questo spazio. Significa semplicemente questo ri-orientamento cristologico e pneumatologico-ecclesiale nel quale il devoto e il Santo vivono la loro comunione vitale, così che realmente ci sia intercessione, segno della comunione reale tra il glorificato e il pellegrino e non sostituzione, tra il Glorificante e il glorificato.

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