di Don Antonio De Maria

Mentre non si acquietano le discussioni per il trailer di un documentario su Papa Francesco, che per farsi pubblicità estrapola e manipola le parole di un’intervista e le fa passare per la pubblicità più autorevole alla bontà dell’“amore” LGBT, – una vera falsità dal punto di vista giornalistico che nasconde anni di magistero e di dichiarazioni contrarie compresa Amoris Laetitia -, questa giornata che è successiva all’assemblea della Consulta delle aggregazioni laicali alla luce del piccolo e aperto libro di Giona.

È la storia di un profeta che non voleva profetizzare perché non capiva e non accettava la sua missione: perché Dio invece di mandare un fuoco dall’alto sulla nemica grande città, Ninive, la corrotta, manda lui ad avvisarla? Oggi si direbbe a chiamarla a conversione. Questo Dio che non punisce i cattivi e che invece li avverte, come diceva Ezechiele, perché si convertano e vivano, è ingiusto: si fa prendere per i fondelli da questi malnati di Niniviti, si preoccupa di non distruggerli, anzi da loro un tempo (40 giorni, il tempo di Dio).

Sembra la risposta a tutto questo sconquasso ideologico che strattona il Papa per accaparrarselo, quasi una sorta di sponsor, e che smuove i moralisti di sempre che credono che la Bibbia sia il manuale del buon Inquisitore, del giudice che ha fretta di mandare all’Inferno questo e quest’altro. Questo Dio ci invita a non aver fretta a giudicare, a strappare la zizzania ma ad avere compassione. La compassione che si erge muta sulla Croce ma che poi grida, come un ennesimo atto d’amore: Padre, perdona loro… Eppure molti sono scandalizzati da questo Dio che sembra ingiusto, che rinunzia ad esercitare la giustizia e che, quasi con ingenuità, afferma:” Sei forse geloso perché io sono buono?”

La bontà di Dio, non il falso e ipocrita buonismo degli uomini che cerca di accaparrarsi consensi e legittimazioni, guarda a te, alla tua fragilità, come un padre guarda il figlio intirizzito, grondare d’acqua, l’acqua della tempesta che nella sua disobbedienza poteva ucciderlo e gli porge l’asciugamano e lo abbraccia perché sente freddo, sussurandogli parole affettuose perché il figlio comprenda che non è l’amore del padre che verrà mai meno e ricominci da lì, da quello sguardo. Lo sguardo dell’amore che frena la mano della giustizia e ingoia le lacrime della compassione.

In questo tempo di paura, di difficoltà e di incomprensione per qualcosa che sfugge al nostro controllo, a partire da questo sentirsi persi, ritrovare la strada è custodire la memoria di questo sguardo e continuare a vivere per questo sguardo, per questo cuore, con i piedi per terra ed il  viso rivolto all’Amore, vivo e presente e perciò agente nella nostra vita, nella vita delle nostre comunità, nella casa della nostra comunione, in cui siamo stati generati, curati e sanati e la cui porta è sempre aperta per accogliere il figlio lontano, quando tornerà, quando vorrà tornare, sperando contro ogni speranza.

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