di Don Antonio De Maria

Molte persone sono convinte che la liturgia della Chiesa sia sempre stata in un certo modo e prendendo sul serio il detto che ciò che è più antico ha più valore vedono con occhio critico tutto ciò che appare come una novità, un’invenzione moderna, un allontanamento dalle origini.

In realtà tutto questo non ha nessun fondamento: c’è una storia della liturgia come c’è una vita e una storia della chiesa. Anzi la vita liturgica della Chiesa primitiva era molto più ricca, più variegata, dell’attuale, quando dopo il Concilio di Trento comincia ad imporsi il messale romano, cioè il modo di celebrare della Chiesa di Roma, facendo morire l’ampia ricchezza liturgica di chiese particolari e di ordini religiosi.  “Guardando alla storia bimillenaria della Chiesa di Dio, guidata dalla sapiente azione dello Spirito Santo, ammiriamo, pieni di gratitudine, lo sviluppo, ordinato nel tempo, delle forme rituali in cui facciamo memoria dell’evento della nostra salvezza. Dalle molteplici forme dei primi secoli, che ancora splendono nei riti delle antiche Chiese di Oriente, fino alla diffusione del rito romano; dalle chiare indicazioni del Concilio di Trento e del Messale di san Pio V fino al rinnovamento liturgico voluto dal Concilio Vaticano II: in ogni tappa della storia della Chiesa la Celebrazione eucaristica, quale fonte e culmine della sua vita e missione, risplende nel rito liturgico in tutta la sua multiforme ricchezza. La XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, svoltasi dal 2 al 23 ottobre 2005 in Vaticano, ha espresso nei confronti di questa storia un profondo ringraziamento a Dio, riconoscendo operante in essa la guida dello Spirito Santo. In particolare, i Padri sinodali hanno constatato e ribadito il benefico influsso che la riforma liturgica attuata a partire dal Concilio ecumenico Vaticano II ha avuto per la vita della Chiesa (5). Il Sinodo dei Vescovi ha avuto la possibilità di valutare la sua ricezione dopo l’Assise conciliare. Moltissimi sono stati gli apprezzamenti. Le difficoltà ed anche taluni abusi rilevati, è stato affermato, non possono oscurare la bontà e la validità del rinnovamento liturgico, che contiene ancora ricchezze non pienamente esplorate. Si tratta in concreto di leggere i cambiamenti voluti dal Concilio all’interno dell’unità che caratterizza lo sviluppo storico del rito stesso, senza introdurre artificiose rotture (6).”[1]

Dal racconto di san Giustino nelle sue Apologie alla Tradizione Apostolica di Ippolito, dalla Didachè alle forme liturgiche di Antiochia e Alessandria, dal rito Mozarabico al rito Gallicano, dal rito Benedettino ( e le varie riforme del suo monachesimo ) al rito Domenicano, senza dimenticare il rito Ambrosiano e tanti altri, la Chiesa cattolica ha vissuto la sua fede in una ricchezza di forme, pur conservando il significato del suo celebrare il mistero di Dio che continua ad agire nella storia attraverso la sua storia; e mantenendo la fondamentale struttura bipartita della celebrazione: la liturgia della Parola e la liturgia del Memoriale pasquale (poiché tutta la liturgia è eucaristica e non soltanto una sua parte). Tutto ciò che conosciamo della celebrazione domenicale mantiene nel tempo questa struttura che non è scindibile. Poiché è lo stesso Logos creatore, la stessa Parola creatrice che attraversa i libri della Scrittura, rivelandoci il mistero di Dio e dell’uomo, che si è fatta carne per opera dello Spirito Santo, nel seno della Vergine Maria, offrendo se stesso per noi e per tutta l’umanità sulla Croce e donandoci il Suo Spirito di Risorto; facendo sorgere la Chiesa, la nuova creazione, una come uno è il Figlio con il Padre[2], un solo Corpo, pur nella differenza ontologica. Uno solo è Colui che si dà nell’unico corpo totale, Capo e membra, Cristo e la Chiesa, una sola è la sua offerta, il suo sacrificio.

Quando si fa riferimento ad abusi, veri o presunti, per denigrare il rinnovamento liturgico, ci si dimentica che abusi ci sono sempre stati come pretese assolutizzazioni di forme particolari o varie sovrapposizioni di gesti e riti che verranno aboliti già nella riforma tridentina. Così è capitato nel IX secolo quando Cirillo e Metodio hanno continuato l’evangelizzazione degli Slavi, celebrando nella loro lingua e solo l’intervento del Papa ha permesso loro di continuare l’opera e portarla a compimento, insieme ai loro discepoli.[3] Mentre la pretesa degli evangelizzatori franchi di latinizzare tutto (con una forte connotazione politica ) si rivelò di impedimento all’accoglienza della fede cristiana presso gli Slavi.

La scelta che portò all’adozione universale del Messale Romano (il primo testo è del 1474 e base del testo promulgato da Pio V nel 1570; vi furono sei nuove edizioni nel 1604, 1634, 1884, 1920; Pio XII riformo la Settimana Santa e permise l’uso delle lingue moderne durante la Veglia; Giovanni XXIII pubblica l’ultima edizione tipica) fu dettata da una esigenza di contrasto dell’eresia luterana e di unità, nonché di purificazione dei riti, secondo quanto richiesto nell’ultima sessione del Concilio di Trento.[4]

Il processo di rinascita degli studi biblici, liturgici, patristici ha ridato vigore ad una vita liturgica efficace per l’opera dello Spirito eppure asfissiata e incapace di diventare vero respiro della vita della Chiesa. È sempre iniziativa dei Papi il graduale riformarsi della liturgia ecclesiale fino al Concilio Vaticano II che sceglie di far fruttificare il rinnovamento liturgico e dargli forma in quella liturgia che oggi viviamo, anche se non ancora nella pienezza della sua ricchezza. E questo anche per i movimenti di resistenza e quelli invece tentati da corse in avanti forse più deleterie della resistenza stessa. È sempre il sensus fidei della Chiesa nella sua totalità e l’ascolto dell’azione dello Spirito che ha guidato questo reimparare a respirare con la Chiesa intera e lasciarsi conformare da Cristo, attraverso la sua liturgia.

Non è solo adeguazione, dunque, alle lingue vive nazionali ma l’esigenza che la parola della liturgia diventasse essa stessa catechesi, parola viva che entra nella vita dei fedeli.


[1] Benedetto XVI, Esortazione post-sinodale Sacramentum Caritatis, 3

[2] Come dice Gesù nella preghiera sacerdotale di Gv 17, 11. Ma è tutto il capitolo che va letto e meditato

[3] Nel XIII secolo i Domenicani e i Francescani inviati a trattare con le comunità bizantine la loro richiesta di tornare all’unità canonica con la Chiesa di Roma, si opponevano al mantenimento delle forme rituali bizantine creando il malcontento nelle comunità. Un effetto di tutto questo lo troviamo in elementi latini entrati nella liturgia maronita. Essi esulavano dalle direttive papali che, invece, come ricordava Benedetto XV “Memori di così vetusta grandezza, i Nostri Predecessori non solo tutelarono la conservazione delle abitudini e delle tradizioni orientali separatamente da quelle latine, ma ebbero in grande onore i loro magnifici riti, prescrivendo che fossero mantenuti in tutta la loro purezza, affinché meglio risultasse la bellezza della Sposa di Cristo « cinta di vari colori nell’abito dorato ».” Allocuzione Antequam ordinem ai cardinali durante il concistoro segreto nel palazzo vaticano (10-3-1919)

[4]Sessione xxv. Interessante è quanto afferma il Concilio di Trento in questo capitolo VIII della parte riguardante Dottrina e Canoni sul santissimo sacrificio della Messa (Sessione XXII- 17 Settembre 1562): “Anche se la messa contiene abbondante materia per l’istruzione del popolo cristiano, tuttavia non è sembrato opportuno ai padri che dovunque essa fosse celebrata nella lingua del popolo. Pur ritenendo, quindi, dappertutto l’antico rito di ogni Chiesa, approvato dalla santa Chiesa Romana, madre e maestra di tutte le chiese, perché, però, le pecore di Cristo non muoiano di fame, e i fanciulli chiedano il pane senza che vi sia chi possa loro spezzarlo, il santo Sinodo comanda ai pastori e a tutti quelli che hanno la cura delle anime, di spiegare frequentemente, durante la celebrazione delle messe, personalmente o per mezzo di altri, qualche cosa di quello che si legge nella messa e, tra le altre cose, qualche verità di questo santissimo sacrificio, specie nei giorni di domenica e festivi.” Qui il Concilio parla della pluralità dei Riti approvati dalla Chiesa di Roma e della necessità di una catechesi che si svolge all’interno della liturgia stessa. Questa catechesi si deve svolgere in lingua volgare, la domenica e nelle solennità, nei tempi forti di avvento e quaresima e durante la celebrazione dei sacramenti.

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