di Don Antonino De Maria

Questa domanda non è senza senso: ripensare rimanda a qualcosa di nuovo che si vuole edificare mentre pensare significa immergersi in una realtà viva che mi precede e nella quale sono inserito per grazia, per chiamata,  da Chi l’ha fondata per essere quel luogo tempo-spazio nel quale la storia della salvezza continua a raggiungere gli uomini nei loro contesti, nel loro tempo-spazio che non è mai immobile ripetizione di gusti estetici ma sempre vivo essere di Cristo in mezzo a noi.

In questo modo non c’è niente di preconfezionato e nello stesso tempo non c’è niente senza un fondamento dato, la “teologia” del suo mistero che viene appunto da Dio che viene tra gli uomini.

Siamo cosi indaffarati che a volte il fare precede il pensare, la coscienza e la consapevolezza di Chi siamo, di chi è la Chiesa. Ma se l’agere consegue all’essere ciò pone un problema: veramente le cose che facciamo nascono da ciò che siamo? Si tratta di una riflessione dalla quale non si può prescindere per non correre il rischio di “aver corso invano” come scrive Paolo. Questo è un tempo propizio se camminiamo pensando, meditando sulla nostra radice e sull’albero che cresce portando frutti.

Dove trovare le chiavi per comprendere e meditare questo mistero (mistero della Chiesa – riprendendo la lezione dei Padri, ricostruita da p. De Lubac e dal rinnovamento patristico dell’inizio del XX secolo – così inizia la Lumen Gentium ) che è comprensibile solo alla luce di un altro grande Mistero che risale dalla Creazione alla Redenzione come insegna san Giovanni nel Prologo: il mistero di Cristo, Parola creatrice che si fa carne perché l’uomo ricomprenda il suo mistero, la sua realtà e risorga nuovo, per grazia. La Chiave è il dirsi e il darsi della Parola incarnata non solo nella Scrittura, che è anche parola umana investita da Colui che è Altro, al di sopra di tutte le cose; ma, anche come vita nella quale questa parola investe del suo Spirito una umanità da redimere e redenta, riconciliata.

Questo è un tempo propizio per fermarsi ad ascoltare, a pregare, a ri-leggere lo statuto del nostro mistero, specchiandoci nel Volto di Cristo e guardarci attorno riscoprendo ciò che ci precede non come obsoleto passato ma come fluire della vita che attraversando i limiti dello spazio e del tempo ci raggiunge e ci vivifica e ci fa ciò che siamo, parte del flusso della storia di Dio tra gli uomini, abbracciato ed amato, sempre antico e sempre nuovo, in questa generazione, in questo contesto e sempre aperti alla generazione che viene, perché la vita che nasce da questa storia faccia vivere ancora un uomo che non ha bisogno di rimpiangere qualcosa di un passato mitizzato ma nello stesso tempo non si sente come se tutto cominciasse adesso. Questo fluire è grazia, dono e non ne siamo padroni semmai figli, chiamati a diventare padri in Colui che ci precede come Padre.

Ringrazio il Signore perché non devo inventare nulla e ringrazio il Signore per la fatica di vivere il suo dono oggi perché accada un nuovo domani.

Vorrei ringraziare anche Mons. Peri per l’accorata conferenza di ieri[1] in cui come dice spesso ha voluto disorientare per orientare e, sentendo in modo casuale qualche reazione, c’è riuscito benissimo.


[1] La conferenza è stata tenuta il 1 ottobre in occasione del 10 anniversario della consacrazione episcopale di Mons. Raspanti, nella cattedrale di Acireale.

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