di Giuseppe Adernò
Con il rito penitenziale delle sacre ceneri, il digiuno, l’astinenza ed una particolare preghiera per la pace inizia il cammino quaresimale.

I carri armati che invadono l’Ucraina, bombe e missili che distruggono palazzi, stabilimenti, università e chiese; gente che fugge oltre i confini, popolazione affollata nei bunker e nelle metropolitane, sono queste le notizie che trasmettono le TV con informazioni non sempre corrispondenti ai fatti accaduti.

L’invito del Papa per una giornata di preghiera e di digiuno è stato accolto dalla Chiesa di Catania che, con la guida del suo Pastore, Mons. Luigi Renna, alle ore 13 del mercoledì delle ceneri ha guidato nel duomo di Catania la recita del Santo Rosario.

Prima di iniziare  Mons. Renna ha compiuto un gesto semplice, segno di devozione e di amore, ponendo ai piedi della statua della Madonna un cestino di fiori, quindi dall’ambone ha salutato i fedeli spiegando il significato e le finalità della preghiera alla Regina della Pace.

Come ha scritto nella lettera per una “Quaresima di carità a Catania”, Mons. Renna ha evidenziato che “il nostro digiuno diventa condivisione, perché a nessuno manchi il necessario”

Nel transetto della Cattedrale l’Arcivescovo, in ginocchio ha iniziato la recita del Santo Rosario, commentando i misteri gloriosi, intercalati dalla lettura dei brani del Vangelo e dall’invocazione alla Regina della Pace, perché cessi la guerra.

Un particolare ricordo è stato indirizzato alle numerose vittime di civili e militari che hanno perso la vita durante i bombardamenti 

Nell’assurdità di quanto sta accadendo, nell’impotenza delle parole, àncora di salvezza è la preghiera per una vera “pace”, intesa non solo come   tregua, conclusione della guerra, ma come “shalom” che significa completezza, prosperità, benessere di tutti e sicurezza nelle città.

La pienezza di shalom, infatti, si raggiunge nella giustizia e nella verità, ispirando parole di speranza, che impegnano i cristiani ad essere “artigiani di pace”, operai nel cantiere dell’architettura della pace.

Il cammino quaresimale, inseguendo passi di pace, assume così un ritmo diverso ed è orientato alla gioia della Pasqua, che porta rinascita, ripresa, risveglio e resilienza.

L’Arcivescovo ha annunciato, inoltre, che la IV domenica di quaresima, il 27 marzo, in tutte le chiese si farà una colletta “Pro Ucraina” che sarà presentata il giovedì santo, durante la Messa Crismale.

Le lettera dell’Arcivescovo si chiude con l’esortazione:”Questo è il tempo della testimonianza. Il tempo di “disarmare” le nostre menti e rendere accoglienti i nostri cuori”.

Poche ore dopo L’arcivescovo durante la messa delle ceneri ha continuato a parlare di pace, a seguire l’omelia per intero:

Carissimi fratelli e sorelle,

la giornata con cui la Chiesa inizia il percorso di fede verso la Pasqua, quest’anno si caratterizza perche le opere proprie di questo tempo santo sono come “rafforzate”, perché ci sentiamo tutti, in comunione con il Successore di Pietro, impegnati a digiunare in segno di penitenza, a solidarizzare con le vittime della guerra, a chiedere al Signore il dono della pace. Opere quaresimali e impegno per la pace oggi si sposano in un felice connubio riflette, perché la cenere sul capo e l’invito a convertirsi al Vangelo oggi diventano un tutt’uno per quella grande opera che è la riconciliazione. Le ceneri non sono altro che rami d’ulivo, simbolo della sequela di chi è entrato a Gerusalemme cavalcando un umile asino, che si sono ridotte in polvere ogni volta che la superbia e la prevaricazione hanno avuto la meglio nel nostro stile di vita. E quel “Convertiti e credi al Vangelo” è l’invito ad essere uomini e donne che credono che tutte le pagine del Vangelo vadano vissute, dal primo versetto di Matteo, alle ultime parole del Quarto Evangelista, anche quelle che risultano scomode e che non vorremmo fossero mai state tramandate, perché inchiodano la nostra credibilità al muro della mediocrità o del compromesso col peccato. Sul segno delle ceneri e sull’invito grande alla conversione, cadono come un balsamo le parole dell’apostolo Paolo della seconda Lettera ai Corinzi: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio”. Perché queste parole sono un balsamo? Perché sappiamo come è fatta la nostra natura: per quanto ci impegniamo, non riusciamo a progettare nella nostra esistenza una visione che sia quella della shalom biblica, quella in cui “il leone dimora con l’agnello”, e se riusciamo a farlo, non siamo perseveranti, e ci rassegniamo alle analisi tristi di filosofi che definiscono l’umanità come un branco, dove “homo homini lupus”. La riconciliazione non è una conquista nella quale supplichiamo Dio di essere perdonati, rimanendo nell’incertezza di trovare misericordia presso di Lui. No, la riconciliazione è un dono gratuito di Dio, delle sue viscere materne di bontà, e a noi spetta solo il compito di non porle ostacoli, di non fuggire dal Suo abbraccio paterno. Colui che è senza peccato, il Cristo Salvatore in cui non c’è ombra di odio, rancore, vendetta, si è fatto “peccato” tra i peccatori, perché noi potessimo divenire giusti. Perciò non abbimo che da lasciarci riconciliare.

Lasciarsi riconciliare è arrendersi di fronte alle evidenze dei mali che provocano la divisione, il rancore, la vendetta. A volte siamo ottusi e percorriamo sempre la stessa strada che non porta a niente: invece del dialogo, le divisioni, precedute dalla richiesta di “condizioni capestro”, che non sono altro che monologhi; invece della comprensione e dell’intelligenza che comprende le ragioni dell’altro, il tarlo del rancore, che arma la nostra mente di parole e di gesti violenti; invece del perdono ai nostri debitori, esigiamo la vendetta, anzi la meditiamo come un piatto da servire “freddo”. Quando questo avviene nella famiglia, tra amici, nella Chiesa, nella società civile, tra politica ed economia, a livello internazionale, allora la guerra diventa totale; ma la sua radice è unica, il nostro cuore. Lasciarsi riconciliare è imparare  a fare l’esame di coscienza ogni sera, per chiedere perdono a Dio.

Lasciarsi riconciliare significa comprendere che perdonare significa dare vita e futuro. La sera di Pasqua, Il Signore Risorto appare ai suoi salutandoli solo con queste parole: “Pace a voi” (Gv 20,19 ). Non una espressione di rimprovero a Pietro che lo ha rinnegato, nè un rimbrotto agli altri apostoli che sono fuggiti al momento dell’arresto. Lasciarci riconciliare significa fare digiuno di progetti di vendetta e pregare per i nostri nemici.

Lasciarsi riconciliare è cercare il bene dell’altro, perché nei giorni della pandemia abbiamo scoperto che siamo tutti connessi, siamo tutti sulla stessa barca, e l’altro può essere il vicino di letto in ospedale, collegato ad un respiratore; o il vicino di casa che ha perso i genitori anziani per covid o ha i figli che sono in crisi per aver vissuto con le ali tarpate per mesi; o la nazione che non può neppure permettersi di vaccinare il 10% dei suoi abitanti. Cercare il bene del vicino: ecco la nostra elemosina! Quanto è vero per le nostre relazioni brevi, ma anche per il nostro essere uomini e donne che vivono la politica o sono protagonisti dell’ economia, tutte messe a dura prova, ma restie ad far tesoro delle lezioni che si “imparano nella tempesta”. In questa sera esprimo preoccupazione con tutti voi per le sorti dei lavoratori della Pfizer di Catania, e di tutti coloro che, in un momento che dovrebbe essere di serena ripresa, diventa per alcuni ancora di incertezza. E naturalmente ribadisco che ciò che accade in Ucraina ci riguarda, perché riguarda le nostre idee politiche, la nostra adesione ad una Costituzione che ripudia la guerra, la nostra credibilità di cristiani che sanno bene che la guerra è una follia, “alienum est a ratione”, come ebbe a dire Giovanni XXIII nella Pacem in terris, quasi sessant’anni fa.        

Lasciamoci riconciliare, con la cenere sul capo e ritornando sulla strada del Vangelo, tante volte abbandonata da ciascuno di noi, ma da percorrere tutta, per fare Pasqua fra quaranta giorni e vivere da risorti sempre.

Concludo con un richiamo ad una riflessione fatta da don Tonino Bello 30 anni fa, nel febbraio del 1992 (cf Mosaico di pace, 1992/2, 4-5). Richiamando alla memoria un brano biblico di Saul che era invidioso del giovane re Davide, cita un versetto di 1 Re 19,9: “Un sovrumano spirito cattivo si impadronì di Saul. Egli stava in casa e teneva in mano la lancia, mentre Davide suonava la cetra”. E commenta così: “Che tu Saul, stringessi la lancia sui campi di battaglia non provoca meraviglia. (….) ma che la lancia te la portassi in casa, persino a tavola e a letto, è uno di quei  particolari che dà la misura della sindrome della lucida follia a cui ti aveva condotto la diffidenza”(…)Quel giovanotto, Davide, era la tua rovina, proprio perché non usava i tuoi strumenti di lavoro(…) Ora stava stendendo a terra anche te, come aveva fatto con Golia, con un altro tipo di armatura leggera: la cetra. Con quel simbolo della nonviolenza attiva(…). In fondo, non era Davide a farti paura. Era la sua cetra: simbolo della novità, del cambiamento, della fantasia”. Cari fratelli, care sorelle, in questo tempo, deponiamo nei cuori le lance del sospetto, del rancore, della vendetta, e impugniamo la cetre che sanno levare canti nuovi di pace. Lasciamoci riconciliare con Dio! Buona Quaresima a tutti!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *