di Don  Antonino De Maria

Che cosa vuol dire: Chiesa soggetto di evangelizzazione? Innanzitutto come suggerisce Papa Francesco è una Chiesa che si lascia sempre mettere in crisi dal Vangelo e formare a partire da esso. Non una Chiesa che vive una pretesa (tranne la pretesa di Cristo) nei confronti del mondo ma una Chiesa sempre caratterizzata dal cammino di conversione, tesa all’ascolto dell’Amato, a fare la sua Volontà. Esattamente il contrario di una Chiesa che si ferma a trovare i mezzi per rendersi accettabile o per custodire il proprio passato: nell’un caso come nell’altro essa rimane la ragione ultima di se stessa, quell’essere per sé che abbiamo imparato a chiamare autoreferenzialità, parola ormai sulla bocca e negli scritti di molti.

Tuttavia continuiamo a vivere una pastorale della conservazione cercando modi nuovi per trattenere quei pochi che ancora ci seguono dentro un groviglio di sentimenti, di emozioni, di percezioni consolatorie del divino che spesso si traducono in piccoli gruppetti che invece di giocare a carte si riuniscono in casa per dire il Rosario e raccontarsi qualche novità (sugli affari degli altri). Non che sia male recitare insieme il Rosario beninteso: quello che manca è la tensione alla conversione, a farsi forgiare dal Vangelo e quindi viene sterilizzata anche l’efficacia della preghiera evangelica del Rosario che è nata per far memoria degli eventi del Signore e chiedere di entrare in quel conformarsi al Maestro e Signore nella dinamica della conversione: non come impeto etico ma come evento pentecostale dello Spirito.

Una pastorale del genere semmai aveva senso in un ambiente di cristianità dove tutto è ancora permeato dal Vangelo, in qualche modo. Ma oggi viviamo in un ambiente e una cultura  scristianizzati e ciò che resta è la sensazione di essere un resto che vive una doppia vita: nel tempio e fuori.

Per questo, se da un lato la Chiesa è sempre da evangelizzare cioè sempre alla fonte che zampilla acqua viva e non ristagnante della Parola e della liturgia, dall’altro lato diventa una Chiesa preoccupata di annunciare il Vangelo, di evangelizzare: quella che abbiamo imparato a chiamare con Papa Francesco una chiesa in uscita. La fatica che facciamo ad uscire dalle consuetudini delle nostre comunità per annunciare il vangelo a quei battezzati che forse mai sono entrati veramente nella Chiesa o a quelle persone che non capiscono cosa realmente porta e di cosa vive la Chiesa è un sintomo che fa riflettere. Nessuno oggi, come diceva l’autore dell’A Diogneto, riesce a farsi stupire da quel “come si amano”: in questo modo la Chiesa non è più segno di Cristo e al massimo, dove ciò è riconosciuto, è vista come una delle tante organizzazioni che si occupa dei problemi sociali, degli ultimi, dei poveri ma non ha null’altro da dire all’uomo contemporaneo. Anzi infastidisce con quel moralismo che giudica l’uomo del desiderio nella sua ansia di fare ed essere solo ciò che vuole.

Abbiamo molte ricchezze popolari ma abbiamo perso il popolo.

Anche la religiosità popolare non annuncia più nulla, è diventata fine a se stessa. Il problema non sta nella religiosità popolare che in quanto tale è stata espressione di un popolo evangelizzato ma nel fatto che abbiamo smesso di evangelizzare, di formare al Vangelo, di edificare il popolo nella fede. Così l’ansia per il rinnovarsi della possibilità delle processioni nasconde l’attenzione per ciò che è marginale: ma fermarsi al giudizio, senza cercare vie nuove e credibili perché nate dalla fede per far risuonare il Vangelo tra il popolo, non serve. Abbiamo buttato il bambino con l’acqua sporca ed altri lo hanno preso e gestito: la politica, la delinquenza, il mercato economico etc.

Non è eliminando certi gesti e considerandoli “barbari” che miglioriamo la religiosità popolare ne caricando di doveri liturgici i momenti del camminare quanto ridonando senso; quel senso che si è perso strada facendo perché non continuamente evangelizzato. Riprendiamo il senso del cammino fatto insieme nella storia come popolo credente. Il caricarsi della questione della povertà, come nel caso del pane gettato addosso alla statua di san Calogero, padre dei poveri, non esprimeva la comunità esemplata dal Santo che si prendeva cura di chi era in difficoltà, nei momenti duri della storia come le epidemie? Trattiamo con trasparenza le offerte ricevute: perché sia sempre chiaro per cosa le usiamo (fatte salve le spese, anch’esse trasparenti e gestite nella legalità) e quanto realmente servono a progetti non solo assistenziali ma di edificazione di spazi di crescita. Forse è anche per questo che la gente dà sempre di meno….

Rievangelizzare i gesti permette alla liturgia di essere il luogo comunitario dell’incontro con Cristo che si prolunga nello spazio della città e diventa annuncio, che è la missione della Chiesa, e che è lo spazio dei battezzati, il luogo in cui la vita diventa esperienza di salvezza, salvata e salvante, testimonianza viva di ciò che veramente conta per il cristiano e quindi annuncio bello, gioioso.

Sogno una Chiesa della gioia che sappia rendere conto della ragione della sua speranza, dell’amore che la definisce: un volto che annuncia il bene con semplice umiltà e coraggio.

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