Immersi ancora nella gioia dell’ottava di Natale, nel giorno della festa di San Giovanni apostolo ed evangelista, in Cattedrale in un clima di esultanza l’Arcivescovo Mons. Luigi Renna ordina Diaconi don Sebastiano Scamporrino, in vista del presbiterato, della parrocchia di S. Agata al Borgo in Catania, del quale ha curato il commino formativo il rettore del Seminario don Salvatore Cubito, e don Vincenzo Ciravolo, accompagnato dalla moglie e dai suoi quattro figli, della parrocchia Spirito Santo in Paternò, il cammino formativo del quale è stato curato da don Antonio Gentile, responsabile per i Ministeri e il Diaconato permanente.

Di seguito si riporta il testo integrale dell’omelia di Mons. Renna:

Eccellenza carissima,

carissimi presbiteri e diaconi,

carissimi fratelli e sorelle,

mentre in queste giornate dell’ottava i nostri occhi non si staccano dal mistero di Dio fatto uomo, facciamo memoria festosa di colui che ci ha donato la sua esperienza di testimone del Verbo di Dio incarnato, morto e risorto nel Quarto Vangelo, nelle tre Lettere a lui attribuite, nell’Apocalisse: l’apostolo Giovanni.

Ritengo opportuno ordinare i ministri nelle feste della Beata Vergine Maria, degli Apostoli dei Padri della Chiesa, e quindi in questo giorno di san Giovanni in modo particolare, perché a voi, cari Vincenzo e Sebastiano, nei riti esplicativi dell’ordinazione diaconale consegnerò il libro dei Vangeli con queste parole: “Ricevi il Vangelo di Cristo del quale sei divenuto l’annunziatore: credi sempre ciò che proclami, insegna ciò che hai appreso nella fede, vivi ciò che insegni”.

Invito voi e me vostro pastore, i ministri ordinati e tutto il popolo di Dio a rileggere questa “consegna” alla luce dell’esperienza dell’apostolo Giovanni, che apre la sua Prima Lettera, così come abbiamo ascoltato, esponendo il senso della sua epistola, che non è altro che un’alta testimonianza di credente e di evangelizzatore.

L’apostolo parla di un’esperienza: “Quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contempliamo e che le nostre mani toccano” (1 Gv 1,1). Commentando l’essenziale della vita credente, Papa Benedetto XVI aveva scritto nella sua prima lettera enciclica “Deus Caritas est”: “Abbiamo creduto all’amore di Dio. Così il cristiano può esprimere la scelta fondamentale della sua vita. All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (Deus Caritas est, 1).

All’inizio della nostra vita cristiana c’è certamente il Dono della Grazia, la testimonianza di un discepolo credibile, la fede della comunità, ma tutte queste esperienze diventano decisive e fanno di noi dei credenti e dei testimoni, solo quando il nostro incontro con Cristo diventa personale. Esso ci fa intravedere un nuovo orizzonte: pensiamo a quello che è stata la nuova visione che nel libro dell’Apocalisse rilegge la storia, anche la persecuzione e il mistero del male, alla luce del Signore che viene a rinnovare la creazione. “Dà una direzione decisiva”: è quella della sequela di Cristo nell’Amore.

Cari Vincenzo e Sebastiano, cari fedeli tutti: all’inizio della nostra storia di salvezza c’è l’incontro con Cristo. Tutti gli anni di formazione al diaconato, e per te Sebastiano anche al presbiterato, in continuità con la vostra originaria esperienza di fede, non saranno serviti a nulla se non avrete incontrato il Cristo. Vi potrà capitare anche di perdere l’entusiasmo di annunciarlo, in alcuni passaggi oserei dire, inevitabili, della vita; ma allora ricordatevi di quanto ci consiglia Papa Francesco: “Se non proviamo l’immenso desiderio di comunicarlo, abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera per chiedere a lui che torni ad affascinarci. Abbiamo bisogno di implorare ogni giorno, di chiedere la sua grazia perché apra il nostro cuore freddo e scuota la nostra vita tiepida e superficiale” (EG 264).

L’apostolo Giovanni usa il linguaggio dei sensi per descrivere l’incontro con il Verbo di Dio fatto carne: l’udito, la vista, la contemplazione (che è uno sguardo più profondo), persino il tatto. Egli poteva ben dirlo da quando aveva visto il Messia sulle rive del lago di Galilea e lo aveva riconosciuto Risorto nell’albeggiare di un mattino di primavera, mentre era con gli altri sulla barca; lo avevo udito e aveva toccato il suo petto in cui batteva forte il cuore nel cenacolo; aveva sentito le sue dita che gli asciugavano i piedi in quell’insolito rito – testamento e poi aveva toccato le sue membra dissanguate il Venerdì Santo, adagiandole sulle ginocchia di Maria. La sua, e quella degli altri apostoli, è stata un’esperienza viva, graduale, ma vera. Noi invece “vediamo” grazie alla fede e perciò commenta Sant’Agostino: “Essi videro presente nella carne il Signore stesso, da quella bocca raccolsero le sue parole e ce le hanno trasmesse. Perciò anche noi abbiamo sentito, sebbene non abbiamo visto. Siamo forse meno felici di quelli che videro ed udirono? (…) Essi videro, noi no, e tuttavia ci troviamo insieme: la ragione è questa, che abbiamo comune tra noi la fede” (In Io. Ep. Tr. 1,3). La nostra fede si alimenti nella preghiera, trovi slancio nella speranza, si consolidi nella carità. Non dimentichiamo l’invito di Papa Francesco, che spesso ci invita a “toccare la carne di Cristo” che sono i poveri. Questo vedere, udire, toccare il Cristo nella Sua Parola, nei Sacramenti, nel “sacramento del povero” che ci evangelizza, rende la nostra fede cristiana completa teologicamente e ci dona di vivere le tre virtù teologali. Ecco il vostro compito, cari diaconi, ecco la missione che ci attende come Chiesa: come Giovanni fare esperienza di fede con i nostri sensi, nella concretezza della vita, incarnando il Vangelo e annunciandolo senza posa.

Perché annunciare? Per creare comunione con Dio e tra di noi! A volte perdiamo di vista il senso della nostra missione, dell’evangelizzazione, della vocazione presbiterale, diaconale, religiosa e laicale! San Giovanni ce la ricorda: il fine non è “occupare spazi”, perché questo sarebbe “mondanità spirituale”, tradimento del Regno dei cieli che non è un luogo, ma è una condizione di appartenenza a Dio. Il fine è la comunione con la Trinità, entrare in quel mistero che si è chinato sulla terra, ed ha fatto esclamare a Gesù Cristo: “Dio ha tanto amato il mondo da donare a noi Suo Figlio” (Gv 3,16). Che abbiate l’ansia di far entrare in questa comunione il maggior numero di fratelli e sorelle, senza disprezzare alcuno; vivete quell’amicizia che non è di una consorteria religiosa, ma comunione con il Padre, col Figlio, nello Spirito, per mezzo della Chiesa. Ecco vi sarà consegnato il Vangelo: fate esperienza che è il Verbo di Dio fatto Parola; fate esperienza che è carne che chiede gesti di prossimità che si accordino con l’intelletto; annunciate il Vangelo affinché ogni figlio di Adamo ed Eva riscopra di essere figlio di Dio.

Quale sarà la vostra ricompensa? Giovanni ne parla: la gioia giunta a pienezza! Spendetevi per evangelizzare e la scoprirete; ambite alla stessa “carriera” di Giovanni: la gioia traboccante! Non è altro che il pegno della pienezza di vita che il suo cuore vergine ha ricevuto sulle rive di Galilea, nel Cenacolo, sul Calvario, a Patmos!

+ Luigi

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