di Don Antonino De Maria

Sant’Agostino ha più volte predicato durante la quaresima e di questa predicazione conserviamo 7 discorsi e un frammento dal 205 al 211/A. In questo tempo vorrei proporvi il primo di questi discorsi.

Agostino introduce la sua omelia spiegando che lo scopo è quello di far in modo che la parola di Dio alimenti il cuore mentre il corpo si mortifica irrobustendosi. È l’uomo interiore che regge il suo corpo, proponendosi di rivivere il mistero della croce, attraverso la mortificazione del corpo, secondo quanto scrive Paolo nella lettera ai Galati 5,24.

Il mistero della croce è rivissuto nell’intera vita cristiana, rappresentata da questi 40 giorni, per rivestirsi di Cristo: “Cristiano, vivi sempre così in questa vita; se non vuoi impantanarti nel terreno limaccioso, non scendere da questa croce.” (205,1).

L’uomo di oggi fa fatica a comprendere la croce nel desiderio estetico, dionisiaco, di una felicità vissuta in un mondo gioioso, effimero, leggero, senza sofferenza. Tuttavia il cristianesimo non è la religione del dolore compiaciuto ma dell’amore crocifisso: salire la propria croce è imparare l’amore.

La preghiera, il digiuno si fanno più intensi, per aderire a Dio con preghiere più frequenti e fervorose. “Tutti concordi, tutti fedeli coerenti (fideles fideliter), tutti, in questo pellegrinaggio, sospirando e ardendo per l’amore dell’unica patria” (2). Sospirando e ardendo, non disprezzando ma desiderando, tesi verso la patria che è Cristo stesso, risorto, vittorioso, libero e ardente dell’amore. Per questo “nessuno invidi, nessuno disprezzi nell’altro un dono di Dio che non ha. Nei beni spirituali ritieni come tuo ciò che ami nel fratello; e lui ritenga come suo ciò che ama in te.”

Per questo digiunate dalle liti e dalle contese: non questo digiuno, non il grido della contesa ma quello dell’amore, né della voce ma del cuore: “Perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato. Queste sono le due ali della preghiera, con le quali essa arriva fino a Dio: se a chi sbaglia si perdona l’errore che ha fatto e se si dona a chi è nel bisogno”. (3)

Potremmo dire che la quaresima è l’antitesi della gioia? Che la croce annulla il desiderio di felicità in una morale da schiavi, da sconfitti? No: è la logica della Pasqua che va oltre il male per liberarlo; che va oltre la guerra perché cerca la pace; oltre la contesa perché cerca la riconciliazione. Che ama il nemico perché è suo fratello e non permette che l’inimicizia, la cattiveria deturpi il volto dell’uomo che è fatto per essere figlio di Colui che con gioia ha fatto ogni cosa e fratello di chi, come lui, è fatto per amore. L’inimicizia sia di un momento, la riconciliazione e la gioia del perdono siano per sempre.

Per questo viviamo nel passare dei giorni che chiedono conto dell’affanno che viviamo senza afferrare veramente alcunché: viviamo perché la trama dell’amore di cui siamo fatti resti per sempre, vinca sull’egoismo e la pretesa e renda liberi, nella verità e nella carità come dice san Giovanni nella sua lettera. Digiuniamo per fare spazio all’altro; preghiamo per avere il cuore di Dio e andiamo incontro al povero per ritrovare il volto del noi, in cui ogni io trova veramente sé stesso. Ama.

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