In occasione della solenne Messa del Crisma nella Giornata Sacerdotale a chiusura del tempo penitenziale quaresimale, presieduta dall’Arcivescovo Mons. Luigi Renna, hanno gremito la Basilica Cattedrale Diaconi, Seminaristi e centinaia di Sacerdoti diocesani ed appartenenti a congregazioni ed ordini religiosi, per la rinnovazione comunitaria e rituale delle promesse sacerdotali e il rito della benedizione dell’olio degli infermi e dei catecumeni e della consacrazione del Santo Crisma. Alla solenne liturgia si sono associati anche Mons. Salvatore Gristina e l’abate benedettino dom Ildebrando Scicolone. Mons. Salvatoree Genchi, Vicario generale ha espresso il saluto iniziale all’Arcivescovo a nome del Clero diocesano.

Di seguito l’omelia di Mons. Luigi Renna:

Eccellenza carissima, carissimi fratelli e sorelle della Chiesa che è in Catania,

carissimi fratelli presbiteri e diaconi,

carissimi religiosi e religiose,

celebriamo con gioia la solenne liturgia della Messa Crismale che ci fa pregustare i frutti della Pasqua: il dono dello Spirito alla Chiesa, il dono di essere Chiesa sacramento “ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen gentium 1), il dono dei sacramenti di salvezza, in particolar modo dell’ordine sacro. Viviamo questa Eucarestia nel corso del cammino sinodale, consapevoli che è l’Eucarestia “la sorgente e il paradigma della spiritualità di comunione” (CTI, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, 109).

Vogliamo rimanere nell’atteggiamento di ascolto dello Spirito e dei fratelli, come Maria di Nazareth, la Madre del Signore; come Maria di Betania, icona per tutte le Chiese che sono in Italia della postura ecclesiale in cui vivere la sinodalità. Ci sentiamo in comunione con la Chiesa universale e sentiamo di far nostro quanto emerso nel Documento di lavoro per la Tappa Continentale che ha affermato: “ciò che emerge dall’esame dei frutti, dei semi e delle erbe cattive della sinodalità sono voci di grande amore per la Chiesa, voci che sognano una Chiesa capace di testimonianza credibile, una Chiesa che sappia essere una famiglia di Dio inclusiva, aperta ed accogliente” (DTC, 16). È la Chiesa che “videro” gli apostoli nel giorno di Pentecoste; è la Chiesa che vogliamo sognare anche noi a Catania. Sappiamo che quando si ascoltano varie voci si può rischiare di rimanere intrappolati nel conflitto tra diversità e tensioni. In tal caso, è il medesimo documento che ce lo ricorda: “gli orizzonti si restringono, si perde il senso dell’insieme e ci si frammenta in sotto-identità. È l’esperienza di Babele e non di Pentecoste, ben riconoscibile in molti tratti del nostro mondo” (DTC 30). Nell’Eucarestia noi troviamo sempre motivo di riprendere il nostro cammino nell’unità, di comporre visioni diverse, nella comunione che si apre all’unica missione della Chiesa.

Lasciamoci guidare dalla preghiera che tra poco eleverò al Signore per consacrare il Sacro Crisma, l’olio misto a balsamo, simbolo dell’unzione che discende dal Cristo e che ungerà i battezzati, i cresimati e coloro che saranno ordinati presbiteri. Giova ricordare che in quest’olio è confluito l’olio del Giardino della Memoria della strage di Capaci donatoci dal Questore, così come è stato fatto in tutte le Chiese che sono in Italia. È segno che la Chiesa è “di parte”, sta con coloro che sono stati vittima della violenza della mafia e che la testimonianza di chi ha dato la vita per la giustizia e per estirpare il male, è il segno di quella unzione di salvezza con la quale il Messia vuole rinnovare l’umanità.

Innalzerò a Dio Padre una preghiera che farà anzitutto memoria della “santa unzione” con la quale il Signore ha voluto assistere le guide del suo popolo Israele, dai sacerdoti, ai giudici, ai re, fino alla “pienezza dei tempi”, nella quale la luce della salvezza risplende sul suo amatissimo Figlio. Ascolteremo con emozione le parole della liturgia: “Il Cristo nostro Signore, compiuta la redenzione nel mistero pasquale, riempì di Spirito santo la tua Chiesa”. Sentiamo in queste espressioni quanto sia vero quello che noi crediamo e cioè che l’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito hanno reso partecipe la Chiesa del loro mistero di Amore. Ci istruisce sant’Agostino che affermava: “Le persone divine sono tre: la prima, il Padre che ama quello che da lei nasce; la seconda, il Figlio, che ama quella da cui nasce; la Terza è lo stesso amore, lo Spirito Santo” (De Trinitate VI, 5,7). Cosa è questa unzione dello Spirito santo che sarà significata dal Crisma, se non un atto di amore del Dio unitrino verso l’umanità? Lo Spirito santo che si posò sul Figlio e sulla Chiesa nascente, si posa su di noi, perché “se nella Trinità lo Spirito Santo esprime l’intimità di Dio, fuori della Trinità esprime l’estasi: la spinta che Dio dà a donarsi e comunicarsi” (Mariano Magrassi).

Chi agisce in noi battezzati e crismati, chi agisce in noi che siamo stati consacrati nel giorno dell’ordinazione presbiterale ed episcopale? Non tanto la nostra volontà di aderire al Signore, non un desiderio autoreferenziale di vivere la missione che Dio ci ha affidato nella nostra vocazione, ma il dono dello Spirito: ogni volta che viviamo la nostra vocazione e missione, permettiamo allo Spirito di comunicarsi e di donarsi ancora. Davanti a questa memoria delle meraviglie di Dio che continuano nella nostra vita ecclesiale, si chieda ciascuno di noi quanto si lascia coinvolgere dallo Spirito, quanto vive le dimensioni della comunione e della missione, quanto cammina con la Sua Chiesa, persuaso nell’intimo di essere parte di un progetto di amore più grande della sua vita, della sua parrocchia, del ministero che sta vivendo.

La preghiera che fra poco reciterò sul crisma continua così: “(Il Cristo Nostro Signore) arricchì la tua Chiesa di una mirabile varietà di doni e di carismi, perché divenisse per tutto il mondo segno e strumento della salvezza”. La ricchezza della nostra assemblea liturgica oggi manifesta questa varietà che è volta dal Signore e attuata dallo Spirito: sono le diverse vocazioni nel popolo di Dio; sono le diverse esperienze di vita religiosa che hanno arricchito con il carisma dei loro fondatori la vita ecclesiale; sono i diversi ambiti in cui voi battezzati esprimete l’indole secolare della Chiesa, santificando la famiglia, la scuola, il lavoro, i luoghi di cura. Oggi il nostro sguardo si posa grato, da parte di tutto il popolo di Dio su di voi, cari presbiteri, che tra poco rinnoverete le promesse sacerdotali. A voi va il grazie mio e di tutto il popolo di Dio per il vostro servizio, per la vostra dedizione, per la fedeltà di chi, pur consapevole di essere fragile come un vaso di creta, sa di portare in sé un grande tesoro, da custodire in una vita in cui la dimensione spirituale è la forza della incisività del proprio ministero e del dono prezioso ed esigente del celibato. Chiedo al Signore che illumini i vostri occhi perché siano capaci di scorgere i doni e i carismi nel popolo di Dio e valorizzarli.

A voi è affidato il compito di scoprirli e di accompagnarli nella formazione, senza mai sentirvi i “padroni” di una vocazione laicale o presbiterale che sia: Ce lo ricorda il Concilio vaticano II nel decreto Presbyterorum ordinis: “Perciò spetta ai sacerdoti, nella loro qualità di educatori nella fede, di curare, per proprio conto o per mezzo di altri, che ciascuno dei fedeli sia condotto nello Spirito Santo a sviluppare la propria vocazione personale secondo il Vangelo, a praticare una carità sincera e attiva, ad esercitare quella libertà con cui Cristo ci ha liberati.” (n.6). Voi siete coloro che fanno discernimento; voi accompagnate, voi siete chiamati a valorizzare, nello spirito di chi promuove e mai spadroneggia sul popolo di Dio, come ci ricorda San Pietro nella sua Prima Lettera: “Pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge.” (I Pt 5,2-3). La sinodalità, la vitalità del popolo di Dio, la corresponsabilità, cari presbiteri, passa attraverso questi atteggiamenti, che riconoscono l’opera dello Spirito Santo, con i doni che Egli fa, e che mai ostacola la sua azione. Chiediamoci in questa giornata se viviamo questa sintonia con Colui che agisce nella Chiesa per renderla popolo regale, sacerdotale e profetico. La varietà di doni e di carismi non richiede una omologazione, né una uniformità che spenga la voce dello Spirito, ma quel discernimento che riconosce e che rispetta, che mette da parte quei sentimenti che possono incrinare la comunione, come le invidie e le gelosie, la mancanza di considerazione, il “chiacchiericcio”.

Infine il testo della preghiera di consacrazione invocherà il Signore con queste parole: “Padre santo, nel segno sacramentale del crisma tu offri agli uomini i tesori della tua grazia, perché i tuoi figli, rinati nell’acqua del Battesimo e resi più somiglianti al Cristo con l’unzione dello Spirito Santo, diventino partecipi della sua missione profetica, sacerdotale e regale”. Il fine della consacrazione, di ogni consacrazione, è rendere simili a Cristo. Qui ci fermiamo pensosi perché non ci troviamo davanti ad una scelta secondaria per le nostre vite, ma davanti all’essenza della vocazione battesimale e presbiterale, che è orientata alla santità. Il Vangelo di oggi, riprendendo la profezia di Isaia, ci fa scorgere nell’esistenza messianica di Cristo, nel suo andare incontro ai poveri per fasciare le piaghe dei cuori spezzati, il senso di questo esserGli più somiglianti. In fondo è ciò per cui mettiamo impegno ogni giorno: lo chiediamo nella preghiera, vi aspiriamo nelle nostre scelte, orientiamo a questo fine la formazione dei più giovani nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità parrocchiali, nei seminari e nelle case religiose.

Essere più somiglianti a Cristo: è ciò che dovrebbe essere la nostra aspirazione più grande. È il fine per cui il Signore ti ha chiamato ad essere cristiano, religioso, diacono, presbitero, come ci ricorda San Paolo: “… finché Cristo non sia formato in voi” (Gal 4,19). È ciò a cui aspira l’ascesi più antica, quella della Imitazione di Cristo ed è l’invito costante di Sant’Ignazio di Loyola negli Esercizi, che culmina nella contemplazione per ottenere l’amore. Le parole della liturgia ci riportano però al senso di un cammino di fede che non è solitario, ma comunitario e comunionale: la santità cristiana non è mai propria di chi vuole vivere isolato. Siamo partecipi della sua missione: non è la nostra missione, ma la sua missione, di Cristo.

Noi siamo protesi verso di Lui, e ce lo ricordava il Concilio: “Cristo è la luce delle genti: questo santo Concilio, adunato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura (cfr. Mc 16,15), illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che risplende sul volto della Chiesa” (LG 1). Per questo è necessario un cammino sinodale che segni d’ora in poi la vita ecclesiale; per questo è necessaria una sinodalità che non sia episodica, ma diventi uno stile. Doroteo di Gaza ci rammenta con una semplice immagine che camminare verso il Signore significa incontrare necessariamente l’altro: “Considerate che il mondo sia un cerchio, che al centro sia Dio, e che i raggi siano le differenti maniere di vivere degli uomini. Quando coloro che, desiderando avvicinarsi a Dio, camminano verso il centro del cerchio, essi si avvicinano anche gli uni agli altri oltre che verso Dio. Più si avvicinano a Dio, più si avvicinano gli uni agli altri. E più si avvicinano gli uni agli altri, più si avvicinano a Dio”. La partecipazione all’unica missione di Cristo re, sacerdote e profeta, ci vede tutti “unti” di quell’olio cantato dal Salmo, nei quali, consacrazione, e comunione parlano lo stesso linguaggio, di benedizione e di gioia:

Ecco quanto è buono e quanto è soave
che i fratelli vivano insieme! E’ come olio profumato sul capo,
che scende sulla barba,
sulla barba di Aronne,
che scende sull’orlo della sua veste (Sal 133).

Scenda quest’olio e consacri. Scenda e formi un popolo regale, sacerdotale e profetico; il profumo che si spanderà nelle nostre comunità quando nella Messa in coena Domini saranno accolti gli olii, e ogni volta che celebreremo i sacramenti, faccia rivivere in noi il desiderio di essere un popolo unico, che vuol crescere nella comunione, partecipe della vocazione e della missione del Messia.

+ Luigi Renna, Arcivescovo metropolita di Catania

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